La relazione terapeutica è un concetto sovraordinato, composto da diverse parti tra cui l’alleanza terapeutica. Quest’ultima rappresenta solo una delle variabili che possono portare alla costruzione della relazione terapeutica, malgrado potrebbe essere considerata la più importante da identificare per valutare l’efficacia della psicoterapia. Il concetto di alleanza terapeutica, dunque, nasce in ambito psicoanalitico e riguarda la creazione della relazione terapeutica nel qui ed ora.
Da tale definizione è possibile evincere che l’alleanza e, conseguentemente, la psicoterapia in senso lato, si delineano come un lavoro collaborativo tra due soggetti interagenti ed entrambi attivi, ciascuno nel proprio ruolo. In particolare, il legame affettivo tra paziente e terapeuta, terzo elemento costitutivo dell’alleanza nonché fattore aspecifico di grande efficacia clinica, emerge dall’interazione tra due variabili principali: da una parte i comportamenti, le emozioni e i pensieri del terapeuta, dall’altra le proiezioni transferali che nascono dalle esperienze passate del paziente. Ecco che dunque entrambi gli elementi della diade clinica, paziente e terapeuta, ciascuno dotato di una propria storia evolutiva e di un proprio mondo interno, divengono di estrema importanza nella costruzione dell’alleanza e nella conduzione di una terapia avente buon esito.
Il principale strumento di lavoro in una psicoterapia è la relazione terapeutica, ovvero la relazione che si stabilisce tra lo psicoterapeuta ed il paziente, la quale prevede che paziente e terapeuta lavorino insieme, in un clima di reciproca fiducia, per raggiungere obiettivi condivisi. Le caratteristiche di un buon terapeuta dovrebbero essere, in primo luogo, l’empatia ed in secondo luogo la presenza di specifiche competenze tecniche che gli consentano di comprendere l’inconscio del paziente e di aiutarlo. In tal modo può nascere una collaborazione tra paziente e psicoterapeuta, finalizzata al raggiungimento di un obiettivo comune ad entrambi, ovvero la risoluzione dei problemi del paziente ed il raggiungimento da parte sua di un maggiore benessere intrapsichico ed interpersonale. All’interno di questa relazione, il terapeuta mette le proprie conoscenze e competenze a disposizione del suo paziente, affinché questi possa meglio riuscire ad attuare quei cambiamenti emotivi, cognitivi e comportamentali che desidera introdurre nella gestione della propria vita.
Nella relazione terapeutica assumono un ruolo fondamentale sia il terapeuta che il paziente.
Tra le variabili troviamo i cosiddetti aspetti umani dell’intervento terapeutico, che sarebbe meglio chiamare “relazionali”, spesso impliciti e lasciati alla discrezionalità del terapista, ma che costituiscono un fattore assai rilevante nello svolgimento della terapia e quindi, per questo, vanno individuati. Il terapista deve avere ben chiaro che sono elementi agenti nel lavoro che sta affrontando.
Infatti, essere in un rapporto terapeutico vuol dire, prima di tutto, avere di fronte a sé un individuo, con la sua specificità, che ha bisogno di essere aiutato a risolvere o limitare un disturbo. “Fare terapia” significa fornirgli dei mezzi per venire a capo, in parte o in tutto, del problema; allenarlo all’uso di questi mezzi; motivarlo al lavoro a volte faticoso, ripetitivo, apparentemente troppo facile o troppo complesso per il suo stato. Ma, ogni volta che ci si trova di fronte a una persona che inizia un trattamento, bisogna considerare che si è dinanzi a una precisa richiesta d’aiuto per uscire da una situazione che crea disagio, in cui sono presenti elementi perturbatori che vanno al di là del disturbo stesso, che possono essere sintomo di difficoltà personali più profonde.
Questo è sempre valido nei disturbi funzionali, ma non bisogna tralasciare che anche i disturbi a base organica, proprio perché investono e limitano l’espressione di sé e le relazioni con gli altri, comportano quasi sempre coinvolgimenti a livello di personalità.
Ogni volta che si inizia un rapporto terapeutico ci si trova di fronte a un’implicita richiesta di aiuto per uscire da una situazione disagevole per cui il paziente si affida al terapista con la convinzione che possieda i mezzi e gli strumenti per trarlo fuori da tale situazione: ne consegue che il rapporto terapeuta-paziente ha un carattere anche educativo, vale a dire è una dinamica che tende ad aiutare la persona.
Quindi, se vogliamo aiutare la persona a riconoscere e a fare ricorso alle sue potenzialità per affrontare il disturbo, i terapeuti, per primi, devono osservare con interesse e attenzione il paziente per individuare le sue caratteristiche e mettere a punto le situazioni più adatte in cui possa esprimere e sviluppare le proprie potenzialità.
Inoltre, se si interpreta la terapia come rapporto educativo, è facilmente comprensibile quale importanza rivestano in un tale interscambio i concetti di autorevolezza e sicurezza: sia riferiti al terapeuta come elementi fatti propri, sia riferiti al paziente come traguardi da raggiungere in un più ampio articolarsi della sua personalità in relazione al disturbo.
Nella maggioranza dei casi la persona che inizia una terapia ha il desiderio di risolvere il suo disturbo, ma si trova in una condizione di stress proprio per il disturbo che patisce, per le difficoltà che esso gli crea, in alcuni casi per la malattia che lo ha preceduto o lo accompagna, per la paura di non essere in grado di venirne a capo. Può nutrire dei dubbi sulla persona che ha di fronte, chiedendosi se avrà le giuste competenze per aiutarlo veramente.
Molto spesso non sa bene che cosa andrà a fare e come. Insomma, porta con sé molti dubbi e molti interrogativi, anche pregressi, che di rado ha avuto modo di esprimere e che ancor più raramente hanno trovato ascolto e risposta.
Quindi, il terapeuta si trova a fronteggiare inizialmente una persona che presenta un disturbo. Ma con la necessità di lavorare su quel disturbo in modo proficuo ascoltando ed entrando in relazione con il piccolo universo costituito dall’individuo che lo patisce e con tutto quello che ciò comporta; se non gli concediamo il tempo di farci il racconto di ciò che sta vivendo e provando, e non diamo a noi stessi
il tempo per ascoltarlo attentamente in modo da poter raccogliere spunti ed elementi da utilizzare poi nel trattamento e per conoscere maggiormente la sua personalità e il suo modo di agire.
Alla base del lavoro riabilitativo ci sono quindi l’incontro tra due persone, il terapeuta e il paziente, e la comunicazione, lo scambio esplicito e implicito che stabiliscono, ma non solo.
Il terapeuta possiede una specifica capacità professionale che risponde al bisogno del paziente di essere aiutato a risolvere o a contenere il problema che lo limita. Ha il potere delle sue conoscenze, il paziente soffre il disturbo che lo rende dipendente dall’aiuto dell’altro per essere affrontato. Ecco un altro elemento che bisogna considerare con attenzione: il sentimento di vulnerabilità e di dipendenza del
paziente. Tenere conto di tale sentimento è importante, non solo come caratteristica legata alla patologia, quindi una fragilità del corpo e delle sue prestazioni, ma come elemento che entra a far parte della relazione. Di conseguenza, la relazione è asimmetrica, dato che il terapeuta è contraddistinto da elementi che si possono definire di potere (la conoscenza professionale, il ruolo ), mentre il paziente è contraddistinto dalla fragilità (il bisogno della cura, la patologia di cui soffre, i sentimenti negativi che accompagnano il disturbo).
Finiamo per concludere che la relazione è dappertutto e in nessun luogo, e ci si chiede quindi anche in che misura sia controllabile, quanto sia passibile di miglioramenti ottenibili attraverso un suo uso sempre più consapevole e quanto abbia senso una formazione e un modello che privilegino questa abilità che è al tempo stesso sofisticatissima e alla portata di tutti.