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Cervello

LE STRATEGIE DI DIFESA OLTRE LA FUGA E L’ATTACCO


QUANDO LA PAURA CI PARALIZZA

Il sistema nervoso autonomo dei mammiferi si è progressivamente sviluppato, creando diverse tipologie di difese che coinvolgono circuiti neurali differenti. Ciò risulta un’utile spiegazione di tutti quei casi in cui la risposta al pericolo non si limita alla reazione fly or fight attivata dal sistema simpatico, ma si esprime attraverso una immobilizzazione globale cui conseguono comportamenti di stasi passività assoluta, tanto da indurre a parlare di “morte apparente”.

La teoria Polivagale evidenzia come nel sistema nervoso autonomo (SNA) esistano tre circuiti specifici, diversi per evoluzione e funzioni, a loro volta in grado di attivare strategie difensive più o meno evolute. Il primo circuito, considerato il meno evoluto dal punto di vista filogenetico, è quello Dorso Vagale (DV) una porzione non mielinizzata del Nervo Vago, che si forma già dalle prime settimane di vita e a cui è deputato il controllo degli organi posti al di sotto del diaframma e l’attivazione degli stati passivi; esiste poi un circuito più evoluto, quello del Sistema nervoso simpatico (SNS) chiamato a governare l’azione metabolica e specificamente attivato durante le reazioni attacco-fuga, tipica strategie di difesa dei mammiferi; e infine il circuito Ventro Vagale (VV), più recente ed evoluto, che si forma soltanto nelle ultime settimane di gravidanza o nei primi giorni di vita, e che, per una corretta evoluzione, necessita di un ambiente materno rassicurante e responsivo; si tratta dunque di un fattore contesto-dipendente al quale sono deputate le funzioni di controllo degli organi posti sopra il diaframma, e l’ attivazione di stati di calma, di mantenimento e di controllo.

In condizioni di normalità è quest’ultimo circuito a dominare. La sua funzionalità è garantita dal freno vagale, che impedisce l’attivazione del sistema nervoso simpatico e lo stato di allerta ad esso conseguente. Ma nel momento in cui l’organismo percepisce uno stimolo ambientale potenzialmente pericoloso, il freno vagale viene disinnescato per lasciare il posto ad una reazione di fuga o di attacco con finalità auto conservativa- la reazione fly or fight -che, una volta attivata, provoca una risposta corporea immediata: il cuore accelera, il respiro si fa più affannoso, il sangue viene spinto verso gli arti, i muscoli subiscono una decompressione, le pupille si allargano, la temperatura si fa più elevata; sono le funzioni strettamente necessarie alla lotta o alla fuga, suscitate dall’attivazione del SNS.

SCAPPARE O COMBATTERE NON SEMPRE SERVE

Ma può accadere che la strategia di attacco o fuga non si mostri sempre la scelta più opportuna, o comunque quella più attuabile, specie in presenza di uno stimolo ambientale considerato invincibile. Accade così che, quando lo stato di mobilizzazione ottenuta attraverso l’attivazione del SNS si è rivelata fallimentare, e dunque il soggetto non è riuscito ad evitare la minaccia né con la fuga né con l’attacco, l’organismo allerta il circuito neurale meno evoluto e più arcaico dal punto di vista filogenetico, quello controllato dal Dorso Vagale, la cui attivazione comporta l’instaurarsi di uno stato immobilità e ottundimento emotivo dal quale discende l’annullamento di ogni reazione comportamentale.

Anche la condizione fisica si mostra coerente con questa dimensione di non azione, dando luogo a sintomi come bradicardia neurogenica, abbassamento di temperatura, ipotensione. Ma possono verificarsi altresì collasso, insensibilità agli stimoli dolorosi, flaccidità muscolare, disimpegno dell’attività di regolazione viscerale fino a mancanza di controllo degli sfinteri, uniti ad uno stato di prostrazione caratterizzato da muscoli flaccidi, cuore bradicardico e movimento del collo all’indietro (il movimento della tartaruga, come a volersi nascondere).

Il corpo è stanco e pesante e tende al movimento verso il basso; si verifica un rallentamento delle risposte muscolari e scheletriche con riduzione dell’apporto di ossigeno; la mimica facciale è impassibile, stereotipata, e anche lo sguardo manca di una direzione orientata specifica. Non a caso si parla, in questi frangenti, di morte apparente, una reazione estrema attuata di fronte ad un pericolo che si ha la consapevolezza di non poter eludere.

L’attivazione di questi tre circuiti neurali e delle rispettive strategie di difese osserva un ordine sequenziale gerarchico: in caso di percezione di pericolo si passa dal sistema più evoluto, e dunque quello VV, a quello mediamente evoluto, ovvero il SNS, per arrivare a quello evolutivamente inferiore, ovvero il DV, che viene attivato come extrema ratio, solo dopo il fallimento degli altri due.

LO STATO DI FREEZING: AZIONE O NON AZIONE?

Una reazione frequentemente utilizzata di fronte all’esperienza traumatica è nota con il nome di “freezing”, uno stato di tensione-immobilizzazione provocato dalla contemporanea attivazione  del circuito DV (dorso-vagale) e VV (ventro-vagale): non si tratta quindi un autentico collasso reattivo, come nel caso dell’immobilità suscitata dal DV, quanto piuttosto di un conflitto tra attivazione e congelamento che, rendendo impossibili l’uno e l’altro, si pone a metà strada tra i due dando vita a sintomi come rigidità muscolare ed espressiva, atteggiamenti di resa e sottomissione (abbassare lo sguardo, flessione dello schiena, tremito delle mani, posizione …), azioni mirate ad interrompere le azioni aggressive o a renderle il più possibile innocue. Il soggetto vorrebbe agire e reagire, ma le sue capacità, emotive e fisiologiche, sono come paralizzate- congelate- dall’esperienza traumatica.

Anche la memoria si distacca dal vissuto contestuale: l’immagazzinamento mnestico è infatti impedito dalla disconnessione tra la corteccia prefrontale e i circuiti sottocorticali, attivata dal DV, e dalla massiccia emissione di glucocorticoidi causata dall’esperienza traumatica, che va a compromettere la funzionalità dell’ippocampo. La memoria dell’evento viene così impressa a livello sub simbolico nell’amigdala, provocando un’elevata risposta reattiva di fronte ad ogni elemento in grado di rievocare il vissuto traumatico.

Più che una memoria integrata e coerente, dunque, si tratta di un’elaborazione scomposta incontrollata e priva di coordinate spazio temporali specifiche, con una struttura riproduttiva più che ricostruttiva. Chi rievoca un evento traumatico non lo ricorda né lo racconta, ma si limita a riattualizzarne il contenuto, con un forte coinvolgimento corporale e viscerale.

TRAUMA REITERATO E REAZIONE DORSO VAGALE

L’esperienza traumatica, diversamente da una più comune esperienza stressante, si accompagna ad un senso di impossibilità di fronteggiare l’evento, generando convinzioni di abbandono, impossibilità di salvezza e di aiuto, che non consentono di organizzare comportamenti reattivi o di difesa, ma semplicemente di trincerarsi al di là di una “non azione” che blocca il comportamento e il pensiero razionale.

Tale strategia, in caso di traumi reiterati come quelli provocati da abusi e violenze intrafamiliari– può tramutarsi in una condotta comportamentale rigida e automatica cui sono collegati stati fisico-emotivi di resa e sottomissione, vissuti di impotenza appresa, percezione somatiche di stanchezza, atonia, debolezza. Soggetti vittime di gravi violenze fisiche, sessuali o altrimenti sottoposti a contesti traumatici ripetuti e fortemente coercitivi, si mostrano paralizzati dal terrore, passivi e incapaci di agire in autonomia. In questo atteggiamento di passivizzazione possiamo leggere la conseguenza più grave del freezing traumatico, il quale può divenire con il tempo l’unica strategie di difesa possibile, la cui attivazione ,rigida e automatica, preclude alla vittima il ricorso a strategie di difesa più evolute, consapevoli e adattive, che siano finalizzate al contrasto del pericolo e quindi all’autoconservazione.

Bibliografia

Porges, S.W. (2014), – “La teoria polivagale” – Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione, Fioriti, Roma, 2016

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M.Rebecca Farsi

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