La scomposizione psicoanalitica della personalità operata da Freud, dopo aver scoperto l’Inconscio ed i modi per accedere ad esso, è una Teoria generale della Psiche. La Psiche è una unità complessa ed intimamente conflittuale.
Mi riferisco alla “seconda topica”, quella elaborata dopo il 1920, che distingue tre fluide, fluttuanti regioni psichiche. Esso non conosce né il bene né il male è, amorale obbedisce unicamente “all’inesorabile principio del piacere”, è al di là dello spazio e del tempo (in quanto costituito da pulsioni rimosse che vivono in una sfera aspaziale ed atemporale), ed ignora le leggi della logica, a cominciare dal principio di non contraddizione (in esso impulsi contraddittori sussistono uno accanto all’altro, senza anhttp:\\/\\/psicolab.netarsi a vicenda).
Il Super-Io è ciò che comunemente definiamo come coscienza morale, è l’insieme delle regole e delle proibizioni inculcate dai genitori e dagli educatori nei primi anni di vita dell’uomo e che ci accompagnano sempre, anche in forma inconsapevole. Esso può essere più o meno rigido.
Ed è il principale responsabile della rimozione, oltre che il regolatore dei rapporti tra l’Es e l’Io (rimuove pulsioni o consente il riaffiorare del rimosso). L’Io, la coscienza, è la parte organizzata, razionale della personalità, che si trova a fare i conti con tre “severi padroni”:
L’ES, IL SUPER-IO, IL MONDO ESTERNO.
E lotta per “stabilire l’armonia tra le forze e gli impulsi che agiscono in lui e su di lui”. Normalità o disturbo della personalità e del comportamento dipendono dal rapporto che l’io ha con i suoi padroni, ma soprattutto dalla tipologia del SUPER-IO. Scrive Musatti (illustre psicanalista Italiano):
<<Nell’individuo normale l’Io riesce abbastanza bene a padroneggiare la situazione. E fornisce, agendo sulla realtà, parziali soddisfazioni all’Es, senza violare in forma clamorosa gli imperativi e le proibizioni che provengono dal SUPER-IO. Ma se le esigenze dell’ES sono eccessive, o se il SUPER-IO è troppo debole, o troppo rigoroso e poco duttile, allora queste soluzioni pacifiche non sono più possibili. Può in tal caso accadere che l’ES abbia il sopravvento e travolga un SUPER-IO troppo debole, e l’IO è condotto allora a comportamenti asociali o proibiti:
il soggetto diventa un delinquente o un perverso.
Oppure può accadere che il SUPER-IO troppo rigido provochi la rimozione, o altri processi di difesa; le istanze dell’ES divenute inconsce si manifestano allora con sintomi nevrotici>>.
Dall’individuazione e descrizione dei fenomeni di resistenza (blocco delle associazioni libere, transfert negativo, atti mancati come dimenticanze, distrazioni, lapsus) ma anche dall’analisi dei sintomi nevrotici e dall’interpretazione dei sogni, Freud giunse a formulare una delle pietre miliari della dottrina psicoanalitica : la Teoria della rimozione.
In questo modello esplicativo, l’amnesia non è più vista come un processo passivo, ma come un processo attivo, in cui una barriera energetica via opposta alla libera circolazione del ricordo. Gli isterici semplicemente non sanno ciò che non vogliono sapere. Tanto la dimenticanza che il ricordo sono tendenziosi. La rimozione è un’operazione psichica alla quale si oppone il lavoro psicoanalitico. Essa non soltanto produce il vuoto dell’amnesia, ma più spesso lo ammanta con vividi colori di un altro ricordo, che ha la funzione di copertura di ciò che si vuole dimenticare. Freud cita, in proposito, un ricordo della sua infanzia, rievocato in autoanalisi, nel quale rammenta di aver strappato di mano ad una bambina un mazzo di fiori gialli. Apparentemente il ricordo sembra insignificante, ma la scomposizione e ricomposizione analitica dei suoi elementi lo collegano ad un episodio successivo: il primo innamoramento adolescenziale nei confronti di una coetanea con un vistoso abito giallo. L’accostamento che si produce tra i due ricordi, tramite il colore giallo, rivela la funzione di copertura del primo, dove strappare i fiori dalla mano sta per deflorare, fantasia a carattere sessuale, inaccettabile dalla coscienza e pertanto rivestita con contenuti mnestici più neutrali ma lo spostamento così avvenuto si avvale di un anello associativo (il giallo) che permette di decostruire il lavoro psichico inconscio e rilevarne gli effetti: un innocente ricordo infantile è posto a copertura di un’inaccettabile fantasia adolescenziale.
Ne “L’interpretazione dei sogni”, Freud individua il sogno come un “appagamento camuffato di un desiderio rimosso”.
All’interno del sogno c’è un contenuto manifesto (la scena onirica così come viene vissuta dal soggetto) ed un contenuto latente (il desiderio censurato).
Il contenuto manifesto è nient’altro che la forma elaborata, travestita, simbolica, in cui i desideri latenti si manifestano sotto l’effetto della censura. L’interpretazione psicoanalitica consiste nel ripercorrere a ritroso il processo di traslazione del contenuto latente in quello manifesto, al fine di cogliere i messaggi segreti dell’Es.
In Psicopatologia della vita quotidiana, invece, prende in esame quei contrattempi della vita di tutti i giorni, che prima di lui si era soliti attribuire al caso.
In base al determinismo psichico, essi hanno sempre un preciso significato: sono anch’essi manifestazione camuffata dell’Inconscio, ma nella forma di un compromesso tra intenzione cosciente e pensieri inconsci. Così come i lapsus (apprezzare la “spogliatezza”, per es.), gli atti mancati (dimenticare certi nomi o smarrire certi oggetti) sono associati a sentimenti spiacevoli o non confessabili. In ogni caso, nella normalità, gli impulsi rimossi sono sempre di natura sessuale.
E’ per questo che Freud pone al centro della sua analisi della psiche la Teoria della sessualità. Avendo già parlato della concezione pre-freudiana della sessualità, per la quale erano inspiegabili tutte le tensioni psicosessuali differenti dal coito, come la sessualità infantile (pre-genitale), la sublimazione (trasferimento di una carica originariamente sessuale su oggetti non sessuali, come il lavoro l’arte, la ricerca scientifica, ecc.), ma anche e soprattutto le perversioni (attività sessuali che perseguono il piacere indipendentemente dal fine riproduttivo).
Riguardo a queste ultime è da notare che Freud usa il termine in funzione puramente descrittiva, senza alcuna connatazione valutativa, mettendo profondamente in discussione il concetto di normalità sessuale (si pensi alla masturbazione, il voyerismo, l’esibizionismo, l’omosessualità, per esempio), ed ampliando il concetto di sessualità, anzi “rifondandone il concetto stesso”, sino a vedervi un’energia suscettibile di dirigersi verso le mete più diverse ed in grado di investire gli oggetti più disparati.
Energia che Freud chiamò Libido, un’energia “nomade”, caratterizzata da un flusso migratorio localizzato di volta in volta, in corrispondenza dello sviluppo fisico, in alcune parti del corpo, dette “zone erogene”, ovvero generatraci di piacere erotico.
In quest’ottica, il bambino non è più un “angioletto asessuato”, ma un “essere perverso polimorfo”, perverso perché capace di perseguire il piacere indipendentemente da scopi riproduttivi, e polimorfo perché lo persegue mediante i più svariati organi corporei.
Freud distingue tre fasi dello sviluppo psicosessuale, ciascuna delle quali è caratterizzata da una specifica zona erogena:
la fase orale, la fase anale, la fase genitale.
La fase orale (da 0 a 1 anno e mezzo) ha come zona erogena la bocca ed è connessa con il poppare. In questa fase il bambino trae piacere dall’incorporare ciò che è buono e dallo sputare ciò che non lo è, sia esso il cibo (importanza del seno materno, che non ha solo una funzione di nutrimento fisico, ma anche erotico-affettivo; c’è un “seno buono” ed un “seno cattivo”), un dito, un oggetto. Un vissuto non pienamente soddisfacente in fase orale, comporta –senza parlare di traumi e di conseguenti nevrosi- abitudini comportamentali successive che possono essere ricondotte ad esso: per esempio il fumare o mangiarsi le unghie o l’alterazione del comportamento alimentare.
La fase anale (da 1 anno e mezzo a 3 anni) ha come zona erogena gli sfinteri (anale, ma anche urinario) ed è collegata con le funzioni escrementizie, che per il bambino sono di particolare interesse e piacere. Nel periodo dell’educazione sfinterale, trattenere o espellere costituisce uno scambio amoroso, un dono che il bambino fa alla madre, soddisfacendone le aspettative. Si tratta anche di un modo per attirare l’attenzione su di se (sia in positivo, che in negativo se si pensa alla regressione del primogenito che rifà la pipì a letto dopo la nascita del fratellino). Il vissuto in fase anale influenza il carattere adulto comportando la tendenza ad essere prodigo o avaro.
La fase genitale ha come zona erogena i genitali e si articola in due sottofasi: la fase fallica (da 3 a 5 anni) e, dopo un periodo di latenza (durante il quale gradualmente l’energia libidica si indirizza al primato delle zone genitali), la fase genitale in senso stretto (che inizia dopo la pubertà).
La fase fallica è così chiamata per due motivi:
1. perché la scoperta del pene costituisce un oggetto di attrazione sia per il bambino che per la bambina, che, in ordine alla Freudiana ipotesi della originaria bisessualità del bambino, soffrono entrambi di un “complesso di castrazione”: appagando il desiderio di guardare e di essere guardati, esplorando il proprio corpo e l’altrui, il maschietto vive la “minaccia dell’evirazione”, mentre la femminuccia prova “invidia del pene”;
2. perché l’organo di eccitamento è il pene o il clitoride (considerato come l’equvalente femminile del pene).
La fase fallica è caratterizzata, oltre che dal complesso di castrazione, dal “complesso edipico”. Esso consiste in un attaccamento libidico verso il genitore di sesso opposto ed in atteggiamento ambivalente verso il genitore dello stesso sesso, con componenti positive di affettuosità e tendenza all’identificazione e componenti negative di ostilità e di gelosia. Questa fase è la più delicata ed importante, perché, a secondo della sua risoluzione o meno, determina la futura strutturazione della personalità. Questa fase il bambino non distingue ancora tra realtà fattuale e vissuto fantastico, perciò la relazione seduttiva nei confronti del genitore di sesso opposto assume caratteri di particolare importanza, ed un eventuale trauma può segnare definitivamente lo sviluppo dell’identità personale. E’ importante ricordare quanto in questa fase sia determinante l’atteggiamento dei genitori, che influenza positivamente o negativamente la risoluzione del complesso edipico. Ne l’introduzione alla psicoanalisi, Freud scrive in proposito:
“Si vede facilmente che il maschietto vuole avere la madre soltanto per sé, avverte come incomoda la presenza del padre, si adira se questi si permette segni di tenerezza verso la madre soltanto per sé, avverte come incomoda la presenza del padre è assente. Spesso dà diretta espressione verbale ai suoi sentimenti, promette alla madre che la sposerà…
Quando il piccolo mostra la più scoperta curiosità sessuale per la madre, quando pretende di dormirle accanto la notte, insiste per essere presente alla sua toelette o intraprende tentativi di seduzione, la natura erotica del legame è garantita contro ogni dubbio…Quanto alla femmina, il complesso edipico si configura in modo del tutto analogo, con le necessarie varianti. L’attaccamento affettuoso al padre, la necessità di eliminare la madre come superflua.e di occuparne il posto, ed una civetteria che mette già in opera i mezzi della futura femminilità, contribuiscono a dare della bambina, un quadro incantevole che ci fa dimenticare il lato serio e le possibili gravi conseguenze che giacciono dietro questa situazione infantile. Non trascuriamo di aggiungere che spesso gli stessi genitori esercitano un’influenza decisiva sul risveglio dell’atteggiamento edipico del bambino, abbandonandosi anch’essi all’attrazione sessuale e, nel caso vi sia più di un figlio, anteponendo nel modo più evidente nel proprio affetto il padre la figlia, la madre il figlio”.
Occorre ancora rilevare la duplicità di aspetti del complesso edipico:
1) attrazione per il genitore del sesso opposto (che cade sotto il tabù dell’incesto);
2) attrazione per il genitore dello stesso sesso (che cade sotto il tabù dell’omosessualità).
Ma ora richiamiamo alla memoria la tragedia di “EDIPO RE”, nella drammatizzazione di Sofocle. Laio, re di Tebe, per sfuggire alla profezia che gli aveva predetto un erede che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre, ordina d un servo di uccidere suo figlio Edipo. Ma il servo, impietosito, abbandona il piccolo alle pendici del monte Citerone. Il bimbo viene trovato da un pastore, che lo porta al re di Corinto, il quale lo adotta come suo figlio. Edipo giovinetto, ignorando la sua vera nascita ed insospettito dai lazzi dei suoi coetanei, si reca al santuario di Apollo dove apprende la profezia. Per sottrarsi al destino, lascia Corinto e si reca a Tebe. Durante il viaggio viene a diverbio, per motivi di precedenza, con un anziano passante accompagnato da una scorta reale, e lo uccide. Giunto alle porte di Tebe, viene fermato dalla Sfinge, un essere metà uomo metà bestia che gli impone la soluzione di un enigma, pena la morte. Edipo risolve il quesito e la Sfinge sconfitta si uccide, mentre le porte della città si aprono davanti a lui.
Quale vincitore, viene offerto ad Edipo la mano della regina Giocasta, rimasta vedova di Laio, misteriosamente restato ucciso con la sua scorta. I due si sposano e vivono felici generando quattro figli, finché una terribile pestilenza devasta Tebe. Interrogato, l’oracolo di Delfi risponde che la città sarà salvata solo quando sarà da essa scacciato l’assassino di Laio.
Edipo, ignaro di aver compiuto il suo destino, chiede aiuto all’indovino Tiresia e scopre di essere l’assassino del padre e l’amante della madre. Preso dall’orrore si acceca, mentre Giocasta si toglie la vita. La tragedia mette in scena, congiuntamente, l’esaudimento del desiderio (sposare la madre ed uccidere il padre) con l’interdizione (la cecità e la morte).
Nell’interpretazione freudiana, ciò che è rappresentato come tentativo di uccisione da parte del padre (l’abbandono del neonato) viene vissuto nell’immaginario del bambino come paura di castrazione (il pene, zona erogena della fase fallica,è la parte che rappresenta il tutto), tanto da indurre il bambino ad abbandonare l’impari contesa col padre, cioè rimuove il Complesso edipico (“Il tramonto del complesso Edipico, 1924”). Così gli investimenti oggettuali abbandonati vengono sostituiti dalle “identificazioni”. Il bambino si identifica con il rivale, lo introietta, costruendo il nucleo del super-io, l’istanza psichica che rappresenta il sistema di valori e di divieti introiettato, e che risulta erede del complesso edipico. Tale sistema etico, non si forma tanto ad immagine dei genitori, quanto ad immagine del loro super-io, rappresentando quindi la continuità delle generazioni.
E’ da notare che Freud ritiene che divenire adulti significa avere ucciso il padre , vale a dire aver sviluppato un’autonomia morale. Ma il percorso del superamento di una morale eteronoma con raggiungimento di una morale autonoma è lungo ed ha bisogno di ulteriori identificazioni con figure “educative”, gli insegnanti in primo luogo (ed è durante il periodo di latenza che il bambino è particolarmente educabile).
L’intera società concorre alla disedipazione del bambino attraverso le sue intuizioni, quali l’autorità politica, la religione, l’istruzione e la cultura, così che sia possibile la sublimazione, la neutralizzazione del desiderio originario con lo spostamento del potenziale energico lipidico su altri oggetti, socialmente accettabili. Nell’ultimo periodo della sua vita Freud si è anche espresso su temi più generali, quali la Religione e la Civiltà, in particolare in Totem e Tabù, L’avvenire di un’illusione, Il disagio della civiltà, Mosè ed il monoteismo.
Il discorso merita maggior spazio.
A partire dagli anni Venti, in Freud crebbe sempre più la convinzione che la Psicoanalisi fosse la chiave di volta per comprendere non solo alcuni aspetti della civiltà, ma l’origine e i caratteri della civiltà nel suo insieme.
Nel 1935 egli asserirà di essersi accorto “che gli eventi della storia, gli influssi reciproci tra natura umana, sviluppo civile e quei sedimenti preistorici di cui la religione è il massimo esponente, altro non sono che il riflesso dei conflitti dinamici fra IO, ES e SUPER-IO, studiati dalla Psicoanalisi nel singolo individuo: sono gli stessi processi ripresi su uno scenario più ampio”.
Nel 1927, il pensatore austriaco aveva pubblicato L’avvenire di un’illusione, in cui affrontava la problematica della religione.
Egli, analogamente a quanto diceva Nietzsche per la religione greca, scorgeva nella religione un insieme di rappresentazioni sorte dal bisogno di rendere sopportabile l’infelicità e la miseria umana. Essa svolgeva quindi una mansione positiva per alcuni individui, soprattutto l’aveva svolta in epoche passate, ma comportava costi assai elevati, in quanto finiva per essere dannosa per la mente e così Freud poteva dire che “la religione è un narcotico con cui l’uomo controlla la sua angoscia, ma ottunde la sua mente”. Di fronte alle critiche della scienza, la religione non era in grado di reggere per Freud, ma era destinata a rivelarsi sempre più come un’illusione e, quindi, a soccombere. In questo Freud si riallacciava alla tradizione Illuministica, per un verso, della critica alla religione in nome della ragione e, per un altro verso, a quanto avevano detto, non molto tempo prima di Freud, Marx (la religione è l’oppio del popolo) e Nietzsche (Dio è una risposta grossolana, un’indelicatezza contro noi pensatori). Al tempo stesso Freud precisava che la scienza moderna, proprio perché consapevole dei propri limiti, non era un’illusione come la religione e che sarebbe stato pernicioso pretendere di ottenere di ottenere per vie alternative ciò che essa non era in grado di fornire. Il messaggio che Freud ricavava da tali ragionamenti era che “Se l’uomo distoglierà dall’aldilà le sue speranze e concentrerà sulla vita terrena tutte le forze rese così disponibili, riuscirà probabilmente a rendere la vita sopportabile per tutti e la civiltà non più oppressiva per alcuni”.
La trattazione più organica e generale lasciataci da Freud sulle radici psichiche della cultura e della società è contenuta in una delle sue ultime opere, intitolata Il saggio della civiltà (1930); Freud aveva già da tempo riconosciuto che uno dei principi psichici basilari è la pulsione di morte, che, proietta all’esterno, si configura come pulsione di aggressività ma lasciata completamente libera di esprimersi e di espandersi, potrebbe avere effetti devastanti e distruttivi.
Per evitare questo pericolo, che comprometterebbe radicalmente la sopravvivenza dell’uomo, occorre che alla libido individuale siano sottratte energie per mettere a disposizione della società, cioè volte ad istruire e a rinsaldare i legami dagli uomini: ed è su queste basi che si regge la civiltà.
Essa non è altro che l’insieme delle realizzazioni e degli ordinamenti che distinguono la vita umana da quella dei suoi antenati animali; il fine di essa è sostanzialmente, come già diceva Hobbes, la salvaguardia degli uomini e della loro sopravvivenza, nelle loro relazioni con la natura e con i loro simili. A questo provvedono le tecniche, le norme igieniche e di convivenza, gli ordinamenti sociali e politici. Alla base di questa transizione dalla natura alla cultura vi è sublimazione, cioè lo spostamento di energie lipidiche dalle mete sessuali ad altri fini maggiormente apprezzati sul piano sociale, come l’arte, la cultura, l’illusione religiosa o l’amore del prossimo.
Ma questo non implica una vittoria definitiva dell’eros e, di conseguenza, una scomparsa delle componenti aggressive nei rapporti fra gli uomini: la civiltà per Freud è e sempre sarà un campo di battaglia di forze contrapposte, Eros e Thanatos.
Il primato del principio di realtà non elimina il principio del piacere, che sussiste e continua ad essere operante nell’apparato psichico e che si scontra con la realtà, la quale non appare costituita in modo da poter rendere felice l’uomo, cioè libero dal dolore e in grado di perseguire liberamente il piacere. Il fatto che una pulsione non possa essere soddisfatta produce frustrazione, la quale ha la sua prima genesi a partire dai divieti imposti da ordinamenti esterni all’individuo (divieto di incesto, di cannibalismo, di aggressività, ecc..). Questi divieti però sono progressivamente interiorizzati e fatti propri del Super-Io, che svolge dunque una mansione essenziale per l’esistenza della civiltà.
Questo significa che la base della morale è fondamentalmente istintiva e consiste, per lo più, nell’interiorizzazione dell’energia lipidica per reprimere le pulsioni stesse. Ad alleviare il senso di frustrazione possono provvedere i processi di sublimazione,che, in quanto tali,non sono costretti da forze esterne a spostare le energie lipidiche verso mete non sessuali, ma questo non elimina il fatto che alla base della civiltà ci siano una rinuncia e un sacrificio non solo di pulsioni sessuali, ma anche di aggressività.
La repressione di tali pulsioni, indispensabile per la sopravvivenza, produce un grande dispendio di energia, in quanto per frenare le pulsioni aggressive l’individuo le getta dentro e le rivolge contro se stesso, dando luogo alla coscienza e al senso di colpa, che può restare inconscio, ma anche venire alla luce ed essere sentito come un disagio ineliminabile.
In conclusione, ritornando al più volte ribadito nesso tra teoria e prassi terapeutica, è opportuno porci un’ulteriore domanda: “Quanto dura una terapia”?
Per Freud l’analisi è interminabile: può avere un fine prestabilito (la guarigione del corpo psichico) ma non una fine predeterminata. Infatti, il soggetto (in quanto Io) può interrompere la terapia o prolungarla all’infinito.
L’Io è spesso alleato infido, in quanto i suoi meccanismi di difesa (poi studiati approfonditamente da Anna Freud) sono insieme fisiologici e patologici: il rifiuto del paziente di abbandonare il sintomo deriva dal fatto che il sintomo ha una funzione di soddisfacimento sostitutivo del desiderio, della spinta pulsionale, ed il suo abbandono implicherebbe frustrazione.
Infine: “Quali sono le modalità della terapia Freudiana?”
Per Freud, il primo passo nell’intraprendere una terapia analitica sarà quello di accettare il paziente in via provvisoria, per sondare l’opportunità di affrontare un trattamento del quale non si possono fissare anticipatamente la durata e il costo complessivo. Ovviamente, occorrerà non stabilire coi pazienti e con i loro familiari rapporti di amicizia, o comunque relazioni sociali. Quanto al tempo, sarà necessario un legame serrato e costante. Freud soleva dedicare a ciascun paziente un’ora al giorno, e riteneva estremamente importante farsi retribuire anche le ore utilizzate, onde evitare eventuali forme camuffate di resistenza al trattamento.
Quanto al denaro, esso è, oltre che fonte di guadagno e di sussistenza per l’analista, un mezzo per evitare di stabilire legami di dipendenza e di gratitudine che ostacolerebbero la positiva risoluzione del transfert ( “Se paghi sei motivato”. E i non abbienti? Di solito, sostiene Freud, hanno problemi materiali tali che difficilmente sviluppano nevrosi).
Nel setting, il paziente è sdraiato su un lettino, in posizione di abbandono. Il terapeuta è alle sue spalle. Vietato guardarsi, così che il discorso si stacchi dallo scambio intenzionale e reciproco tra emittente e ricevente e divenga autonomo rispetto all’ individualità di chi lo pronuncia, così da poter fluttuare in un altro ambito, quello dell’ inconscio, appunto. Compito del paziente è dire, quello del terapeuta ascoltare, senza selezione alcuna.
Talvolta l’analista prende appunti, ma tale pratica, pur essendo utile sul piano teorico, non ha alcuna efficacia terapeutica, anzi.
Nella patologia, il parlare, è un adattarsi all’altro che studiato, guardato etc.
Sul divano è favorito il rapporto compiuto e soddisfacente nel moto esclusivo del parlare, esso favorisce la riabilitazione dell’idea di rapporto: “ togliti l’idea che sia un lettino e che sia un lettone”. Il divano è unico momento di castrazione.
Il suo secondo tempo è anticipazione di guarigione dove il tempo del lettone è recuperato come rapporto S-A e come rapporto U-D non modificato dal matrimonio (cioè dal lettone nella stanza chiusa dove i figli non hanno accesso). Tra lettino-[1]lettone il divano è già una correzione dell’errore “la sessualità” e “ la famiglia” :
1. Come secondo tempo del lettino del medico (forse non per caso diventato, il medico di famiglia) il divano corregge due errori:
a. l’errore del porsi come malato, ponendo la povertà e la sofferenza “poverino” come evidenza ( non imputabile ma causata) di necessità (non domanda) di cura;
b. l’errore del porse come “ carcassa” e non come corpo pulsionale ormai al di là della natura: ossia l’errore di una castrazione (come complesso) che tenta come soluzione di togliersi il sesso (anziché togliersi il pensiero sessualità) dichiarandolo puro oggetto di osservazione medica
2. Come secondo tempo del lettone di papà-mamma, o del lettone matrimoniale, luogo di rapporto di coppia, interazione di ruoli o figure genitoriali, il divano corregge l’errore della “sessualità” come oggetto da stanza chiusa, istintivo, complementare, e quindi oggetto di consumo obbligato ( necessitato o impedito, goduto o non goduto che sia) anticipando già nel rapporto con l’analista la verginità che è della guarigione.
Scrive Freud, in proposito: “ si tratta di una particolare comunicazione: quella tra due INCONSCI, per cui l’analista deve rivolgere il proprio inconscio come organo ricevente verso l’inconscio del paziente che trasmette, deve disporsi rispetto all’analizzato come il ricevitore del telefono rispetto al microfono trasmittente”. Per esemplificare tale rapporto, egli utilizza la metafora della
“ potenza virile”, secondo la quale l’uomo può si generare, ma non senza una donna, e non fa che avviare un processo estremamente complicato che si conclude con il distacco del bambino dalla madre.