Il rapporto tra il governo russo post-sovietico e il mondo dell’informazione è stato caratterizzato da diversi periodi di transizione. Dalla fine degli anni ’80 ad ora, la politica relativa alla comunicazione pubblica nella nazione più estesa al mondo è notevolmente cambiata. La televisione, riconosciuta come mass media democratico per eccellenza nel ventennio scorso, ha ricoperto un ruolo centrale nelle delicate fasi di passaggio dalla società ‘chiusa’ del Soviet a quella ‘aperta’ post-comunista. Il primo politico russo a riconoscere nella TV una fondamentale leva strategica fu Gorbachev, il quale usò proprio la sua immagine televisiva per imporre alle alte leve del partito quelle innovazioni che avrebbero poi cambiato tutta la Russia.
In un sistema abituato in gran parte alla carta stampata ed alla radio, le immagini del piccolo schermo dischiudevano ai russi un mondo nuovo, dando visibilità ai meccanismi decisionali del potere, visti prima come mondi lontani e che ora si aprivano alla partecipazione comune. Sembrava, in un primo momento, che i dettami principali di cooperazione sociale che il Comunismo aveva portato avanti per oltre un cinquantennio si stessero realizzando proprio nel periodo in cui la Russia si stava allontanando da essi.
A differenza di quanto accaduto in Occidente, dove la libertà e l’indipendenza dell’informazione sono state raggiunte nel corso di decenni e dopo molti cambiamenti sociali e politici, in Russia coloro che si occupavano di giornalismo negli anni Novanta credevano che i mass media del paese avessero raggiunto già l’apice del loro possibile progresso. Purtroppo la maturità delle fonti di informazione e di coloro che se ne occupavano non era stata assolutamente ottenuta. Infatti, nel giro di poco tempo, si ebbe una progressiva politicizzazione dell’informazione, dovuta sia alla crisi economica di molte testate, sia alle imminenti elezioni presidenziali.
Come spiega Ivan Zassoursky (2004) si arriva in questo periodo ad un paradosso: da una parte i media diventano il centro della vita politica, dall’altra perdono libertà ed indipendenza dal potere politico.
Questa situazione ha come assoluto protagonista l’attuale primo ministro russo Vladimir Putin: infatti, la sua elezione ed il suo primo mandato da presidente, ora lasciato al suo “delfino” Dmitrij Anatol’evic Medvedev, sono caratterizzati da un sistema dei media apparentemente aperto, ma tenuto a bacchetta da una sapiente costruzione dell’immagine e da una considerevole partecipazione economica statale in molte testate.
– LE FORME DI CONTESTAZIONE RUSSE: UNA DONNA CONTRO IL REGIME
Nell’ultimo ventennio sono nate numerose redazioni dissidenti nei confronti del potere centrale del Cremino, che hanno tentato di recuperare informazioni che non erano già state manipolate dagli uffici governativi. Mosca ha deciso di utilizzare nei loro confronti decreti che autorizzino la cosiddetta “mano pesante”, cioè coloro che “infangano” il nome del presidente Putin, del suo staff e delle operazioni e progetti che devono essere attuati dal governo in tutta la Federazione degli Stati Russi, devono essere arrestati e il loro lavoro distrutto.
Un esempio di tutto questo è il settimanale moscovita liberale “Novaja Gazeta”, per cui ha lavorato la giornalista Anna Politkovskaja e che tuttora subisce periodicamente approfondite perquisizioni da parte del FSB, acronimo dei servizi segreti russi.
Anna Politkovskaja, assassinata da sicari ancora ignoti il 7 ottobre 2006 mentre ritornava nella sua abitazione, è un raro esempio di deontologia giornalistica e professionale in Russia. Diceva di non considerarsi “un magistrato inquirente”, ma piuttosto “una persona che descrive quello che succede a chi non può vederlo”, dal momento che in Russia “i servizi trasmessi in tv e gli articoli pubblicati sulla maggior parte dei giornali sono quasi tutti di stampo ideologico”1.
La sua filosofia di lavoro prevedeva tre valori principali: semplicità, chiarezza e verità, poiché il giornalista dovrebbe produrre reportage, servizi e interviste, descrivere ciò che vede, mettere insieme i fatti e analizzarli, senza aggiungere altro. Questa era la risposta della Politkovskaja all’ostile contesto socio politico russo: la schiettezza contro la censura.
La sua uccisione, oltre che gettare ancora più in cattiva luce l’operato di Putin nei confronti dei media russi, ha deteriorato i rapporti diplomatici tra il Cremlino e i guerriglieri ceceni. Infatti, Anna Politkovskaja, grazie alla sua decennale esperienza sulla guerra civile cecena, era stata una mediatrice in prima linea tra le autorità russe e i ribelli. Per esempio, durante il sequestro degli ottocento ostaggi al teatro Dubrovka a Mosca per opera di un gruppo di rivoltosi indipendentisti ceceni era stata lei a trattare con i rapitori, poiché richiesta direttamente da loro. Quindi, anche se russa, la Politkovskaja era rispettata dai Ceceni proprio per la sua professione di giornalista e l’etica con cui riusciva a farla.
Anna era sempre in prima linea e il suo modo di fare giornalismo d’inchiesta lo dimostrava poiché era partecipe: non si limitava ad osservare da spettatrice, ma tentava di dare giustizia alle vittime. Inoltre la giornalista moscovita firmava sempre i suoi articoli perché pensava che chi si sentisse nel giusto non aveva bisogno dell’anonimato, anche se questo comportava mettere a repentaglio la propria incolumità quotidianamente.
Nota
1 Anna Stepanovna Politkovskaja Cecenia: disonore russo, Fandango, Roma, 2003 [estratto]