Per introdurre il discorso sul risveglio della coscienza vorrei citare Primo Levi, da “Se questo è un uomo”:
Ecco Pikolo apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento ho dimenticato chi sono e dove sono. Pikolo mi prega di ripetere. … forse è qualcosa di più: forse nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie; e che riguarda noi due, che osiamo ragionar di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle.
….
E’ tardi, è tardi, siamo arrivati alla cucina, bisogna concludere:
Tre volte il fe’ girar con tutte l’acque,
Alla quarta levar la poppa in suso
E la prora ire in giù, come altrui piacque…
Trattengo Pikolo, è assolutamente necessario e urgente che ascolti, che comprenda questo “come altrui piacque”, prima che sia troppo tardi, domani lui o io possiamo esser morti, o non vederci mai più, devo dirgli, spiegargli del Medioevo, del così umano e necessario e pure inaspettato anacronismo, e altro ancora, qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro esser oggi qui…
Siamo ormai nella fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Kommandos. I nuovi giunti si accalcano alle spalle. –Kraut und Ruben?- -Kraut und Ruben-. Si annunzia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape: -Choux et navets. –Kàposzta és répak.
Infin che il mar fu sopra noi richiuso.
E’ un esempio di cognizione, di risveglio della coscienza. Un insight (uno squillo di tromba, come la voce di Dio… nell’intuizione di un attimo, forse il perché del nostro destino, del nostro esser oggi qui…) permette all’autore e al suo compagno di percepire l’essenza della dimensione umana, oltre il contesto in cui si trovavano a vivere. E’ questo insight in quella condizione di prigionia, il cui fine era l’annientamento fisico e storico dei personaggi, che rende loro la consapevolezza del loro essere umani. Proprio questa consapevolezza li porta ad essere diversi dagli animali, ed è il modo per sopravvivere in condizioni che non solo non avevano rispetto della dignità umana, ma mettevano costantemente in discussione la sopravvivenza fisica.
Maslow parla di soddisfacimento dei bisogni primari prima di poter progredire con sicurezza verso l’apprendimento, verso la cognizione. Eppure il mantener viva la cognizione è il modo in cui questi due ebrei prigionieri ad Auschwitz, in situazione di estremo pericolo di sopravvivenza fisica, scampano all’abbrutimento.
Quando lasciamo che a guidarci siano solo i bisogni fondamentali, il cibo (cavoli e rape: -Choux et navets. –Kàposzta és répak) allora c’è la morte del Sé: Infin che il mar fu sopra noi richiuso.
Certamente per i due personaggi del racconto non si può parlare di condizioni di normalità, l’uomo medio in generale non si trova a dover “lottare per mezzo pane”, non “muore per un sì o per un no”. Eppure spesso l’uomo preso nella sua vita “normale” non si pone domande sul significato della vita stessa, non si commuove per un tramonto, non va in estasi guardando un’opera d’arte.
Si può allora parlare di psicopatologia della normalità quando ci si accontenta di vivere in condizioni che sono poco più che animalesche, quando cioè riteniamo che basti soddisfare i bisogni primari legati alla sopravvivenza fisica.
Per molti fortunatamente questo stadio è superato e pensano che realizzare la propria essenza sia legato a una altro dei bisogni primari descritti da Maslow: l’accettazione e il supporto sociale. Tuttavia confondono questi bisogni con il successo materiale, si danno da fare per realizzarlo: bella casa, auto di grossa cilindrata, beni di lusso. In questo modo cadono in una forma di psicopatologia mascherata di “normalità” appunto. Del resto “normale” significa appunto “conforme alla regola”.
Normale in trigonometria è la retta perpendicolare al piano, retto ha anche il significato di giusto, corrispondente alle norme appunto. Una normalità sana è quella in cui si trova l’individuo realizzato, in equilibrio con se stesso; una normalità patologica è quella dell’individuo che si allinea a norme esteriori ma che comportano una mancata realizzazione della sua vera essenza. Tornando all’esempio della trigonometria la normalità sana è quella che permette questo rapporto di 90° tra il Sé e il piano di realtà; viceversa è patologica quando per raggiungere i 90° dobbiamo rinunciare ad un nostro piano di normalità e allora il piano di realtà si inclina pericolosamente o il nostro Sé è percepito come inclinato, spezzato.
Conformarsi alla regola dell’ambito sociale in cui viviamo è indice di normalità, non di sanità, intesa come stato “esente da malattie, infermità o disturbi”. Ed inoltre è sano chi non manifesta disturbi o chi non prova disturbi? Anche senza dire che la società bolla come non sano chi non si adegua alle norme imposte, è pur vero che accettiamo di dirci sani, arrivando a credere di esserlo, per adeguarci alle norme sociali, o per un senso di accettazione da parte del gruppo. E’ possibile una terza via? Realizzare se stessi all’interno del contesto sociale, in armonia con le norme di quel contesto. Questo è esser sani, se per “sani” si intende realizzazione del Sé, definito come totalità psichica dell’uomo.
Possiamo leggerlo anche secondo lo schema dei quadranti di Ken Wilber, in cui ogni livello di sviluppo si può svolgere sia ad un livello individuale, come vissuto interiore che come comportamento verso l’esterno, sia ad un livello collettivo, sia esso culturale o sociale. Un Sé pienamente realizzato non avvertirà atrito in nessuno dei quattro quadranti.
L’evoluzione della coscienza avviene per gradi, sempre citando Wilber, partiamo da un livello prepersonale e, passando da uno personale, arriviamo ad uno transpersonale.
O per dirla secondo il pensiero orientale quando ci liberiamo della schiavitù dei sensi e dei bisogni primari del corpo, o secondo la visione occidentale quando ci liberiamo della nostra storia personale, solo allora possiamo realizzare il Sé nella sua vera essenza e pienezza.
Questo processo avviene per gradi in un percorso di crescita individuale. Spesso eventi esterni ci fanno cogliere la ristrettezza della dimensione personale, mandando in frantumi le nostre misere certezze, ed è proprio allora, quando il sistema di riferimento viene meno, quando attraversiamo una crisi transpersonale, che possiamo approfittarne per seguire la coscienza unitiva.
La crisi transpersonale si ha quando ci accorgiamo che non siamo solo la nostra piccola storia personale, ma ci sono altre dimensioni dell’essere che possiamo esplorare e in cui possiamo scoprire un significato più profondo della nostra esistenza. Si può verificare per un evento esterno, come un lutto o una perdita. Si può verificare per l’incontro con una dimensione spirituale. L’importante è saper cogliere l’opportunità di crescita interiore che tale evento sa offrire.
E’ come essere persi in un incubo e sentire la sveglia che interrompe il sonno: se ti svegli del tutto e ti alzi, se hai coraggio e lasci la calda certezza delle coperte, puoi uscire dal sogno, se ti rigiri nel tepore che ti pare tanto sicuro, puoi anche ripiombare in quell’incubo con la sensazione di non riuscire a svegliarti più.
E’ realizzare quella che Pierluigi Lattuada chiama la triade sciamanica di malattia-morte-guarigione. Laddove la malattia è il limite, l’ostacolo, il confine, è l’ombra, le identificazioni e le corazze. Spesso le vediamo davvero grazie ad eventi acuti, come lampi nel buio che illuminano la scena. La morte è il passaggio alla coscienza unitiva, il realizzare lo zero, lo scomparire ai contenuti dell’io e della storia personale. La guarigione è la forza vitale, il processo di auto guarigione, è Dio, è l’intento, l’axè. E’ il coraggio di passare ad una visione transpersonale.
Nella visione transpersonale non c’è più normalità o psicopatologia, nella visione transpersonale è il Sé che si manifesta.
Quelli sono attributi dell’ego, nel Sé c’è l’essenza autentica.
Note bibliografiche
P. Lattuada, Oltre la mente. Teoria e pratica della psicologia transpersonale. Franco Angeli ed. 2009
P. Levi, Se questo è un uomo. Einaudi ed.1973, pg151-153
A.H. Maslow, Verso una psicologia dell’essere. Ubaldini ed., 1971
K. Wilber, The integral Vision. Shambala Pub. 2007