Georgia O’Keeffe rappresenta una voce originalissima del panorama artistico americano, fortemente al di fuori delle mode; la sua arte somiglia ad un flusso di coscienza che vuole distillare lo spirito della natura attraverso la rappresentazione della sua carnalità e dei suoi nessi più segreti.
Aderente alla lezione di Kandiskiana, ebbe ben presente che l’arte ha solide matrici spirituali e nel suo caso specifico furono mirabilmente testimoniate dalla originale relazione con l’infinito, dalla purezza delle linee, dall’essenzialità di forme non umane eppure traboccanti di sensualità e di bellezza.
L’essenziale e astratta forma della natura tipica del lavoro di Georgia O’Keeffe, non poteva trovare luogo migliore d’ispirazione che il deserto del Nuovo Mexico a Taos. In lingua Navaho, Taos significa “ salice rosso”; ai margini di questo deserto pieno di spirito, anno dopo anno, lei seppe dar forma ed espressione alla propria odissea spirituale fatta di ferite difficili da guarire, di cicatrici profonde e scheletri incontaminati, ad un mondo interiore pieno di vibranti passioni e di struggimento verso un arcaico maternale da dove ripartire con una nuova integrità.
Il lavoro della O’Keeffe è volto alla ricerca di una spiritualità intesa come unità e collegamento con il sacro femminile arcaico e all’esplorazione dei legami naturali infranti dal dolore e dalla paura, nella speranza di recuperare il sacro legame con il passato e la terra.
Di certo non fu casuale che anni prima David Herbert Lawrence si fosse recato a Taos per lo stesso motivo; nel suo caso il pretesto fu la turbecolosi che lo affliggeva, in realtà anche il suo spirito era alla ricerca di un lenimento. Lawrence, nella sua produzione letteraria, ci aveva ben descritto il modo in cui esseri umani danneggiati finiscono a loro volta con il creare l’inferno in sé stessi e nelle loro disgraziate relazioni, come la tragica condizione dell’uomo moderno diviso tra la sua testa e le sue emozioni, alienato dalla propria verità viscerale, che lo conduce inevitabilmente verso una realtà delirante dove, sempre più incapace di abbandonarsi all’estasi della pienezza del proprio sentire, si autocondanna a vivere una vita fustigata dal bisogno di purezza e di superiorità ad una perenne frammentazione psicotica dei sensi e della propria identità.
Una umanità che fatica a respirare fatta di individui sempre più agitati ed irreali, che si muovono sull’orlo dell’abisso interiore, dove l’angoscia è perennemente in agguato; perché la prima conseguenza di un essere umano, che non ha senso della realtà, è vivere in un perenne stato di angoscia.
Sia Georgia O’Keeffe, che D.H Lawrence, incontrarono la disapprovazione dei benpensanti; la causa apparente fu la sensualità di cui la loro opera era intrisa; entrambi erano anticonformisti ed in grado di leggere oltre la superficiale apparenza di perbenismo e purezza dei loro contemporanei.
Il trait d’union tra la O’Keeffe, Lawrence e il New Mexico, fu Mabel Dodge Luhan, una ricca ereditiera estremamente aperta nei confronti della cultura e delle avanguardie. Nel suo ranch a Taos, un semplice luogo desertico ma ricco dello spirito dei Navahos, sotto un cielo intensissimo blu cobalto vi trassero grande ispirazione le migliori menti del XX secolo.
In questa terra magicamente vuota, il deserto silenzioso diviene complice di un processo di introversione che può nei migliori dei casi catalizzare una potente esplosione di visioni ed espressioni.
Una condizione ideale per facilitare la logica binaria, la quale riesce a beneficiare contemporaneamente della dimensione irrazionale emotiva, quanto di quella razionale analitica. Una condizione del tutto differente da quanto nel corso dei secoli è accaduto all’uomo post rinascimentale.
Il vuoto del deserto, che vuoto poi non è, ma piuttosto: Qualcosa di intatto che non si potrà mai spezzare; un luogo sacro al quale ci si può solo arrendere e che costituì una nuova partenza, sia per Georgia O’Keefe, che per D.H. Lawrence, un modo di anhttp:\\/\\/psicolab.netarsi dalla confusione e dell’ambivalenza emotiva, una rinascita, una nuova apertura dei sensi dove lo sguardo, riguadagnando il suo naturale percorso, inizia a vedere nuovamente l’essenziale ed il significativo.