La crescente importanza dei sondaggi ha reso ancor più essenziale un’attenzione specifica alla loro qualità scientifica e di realizzazione, accentuando il dibattito attorno a questi temi. Uno dei limiti principali dei sondaggi è costituito dalla scarsa informazione di chi risponde. Vengono posti infatti quesiti sui temi più diversi, che l’intervistato spesso ignora totalmente o sui quali ha una conoscenza generica e approssimativa (un esempio recente riguarda il referendum sulla fecondazione assistita). Di conseguenza le risposte sono spesso improvvisate, o basate sul sentito dire. Per la verità, un problema analogo si pone spesso anche in occasione delle elezioni e dei relativi sondaggi, ai quali si finisce di frequente con il rispondere sulla base di mere impressioni, senza avere la possibilità, ma molto spesso anche la voglia, di approfondire realmente le diverse proposte con le quali gli elettori hanno la possibilità di confrontarsi, per poi prendere una posizione.
Il politologo americano James Fishkin (2003) propose un metodo che si prefigge l’obiettivo di superare questo limite dei sondaggi.1
La metodologia elaborata, consiste nel riunire fisicamente, nel corso di un weekend, un campione rappresentativo della popolazione (di dimensioni necessariamente limitate) e sottoporre a quest’ultimo tutte le informazioni necessarie affinché possa esprimere più consapevolmente la sua opinione su un determinato tema. L’esperienza mostra che le posizioni espresse, dopo aver ricevuto un’informazione adeguata, sono significativamente diverse da quelle rilevate prima che il campione fosse adeguatamente informato. Ma gli effetti sono ancora più ampi, Fishkin (2003) propone infatti che l’intero processo del sondaggio deliberativo (questa è la denominazione che dà alla sua metodologia) sia trasmesso in diretta o attraverso una sintesi dalla televisione.
In questo modo si diffonderebbero su larga scala le conoscenze sul tema trattato e contemporaneamente anche la voglia di continuare ad approfondire l’argomento in modo individuale.
Nel suo insieme, questo procedimento può portare anche, secondo lo studioso, a un migliore funzionamento della democrazia.
Egli infatti ritiene che alla base di un sistema politico che possa definirsi democratico, debba esserci, oltre al diritto di voto per tutti i cittadini, anche la diffusa possibilità, da parte di questi ultimi, di disporre facilmente di un’ampia gamma di valutazioni contrapposte sugli argomenti politici, cioè il diritto all’informazione.
Fishkin non si propone dunque solo di migliorare la tecnica dei sondaggi d’opinione, ma, soprattutto, di contribuire a una più ampia e completa realizzazione della democrazia rappresentativa. Dovremmo, allora, passare dalla mera rilevazione dell’opinione pubblica al vero «giudizio pubblico», o meglio, a ciò che rappresenterebbe l’opinione pubblica se questa fosse adeguatamente informata.
Si tratta naturalmente di una simulazione, di un modello conoscitivo. Si prescinde necessariamente da alcuni fattori, come il reale influsso di una campagna elettorale o il fatto che nel sondaggio deliberativo i partecipanti siano in vario modo stimolati a partecipare attivamente e a documentarsi; nella realtà di tutti i giorni, invece, i cittadini si dimostrano spesso ostili, o svogliati, a documentarsi su tutto quello che ha a che fare con la politica, anche perché quest’ultima è sempre più di frequente investita di valori negativi.
Il modello proposto da Fishkin (2003), malgrado questi inevitabili limiti della sua estendibilità, rappresenta un importante passo in avanti verso una migliore realizzazione dei sondaggi d’opinione (o, almeno, verso una maggiore comprensione dei loro limiti) e, da molti punti di vista, verso un progresso della vita democratica, attraverso una partecipazione più consapevole e informata.
Proviamo ora, attraverso un esempio che ci possa riguardare da vicino, a capire cosa significa concretamente attuare un sondaggio deliberativo.
Ipotizziamo che il Governo Italiano stia considerando un intervento legislativo sul tema dell’immigrazione. Una questione di grande interesse popolare, ma anche di difficile soluzione tecnica. Sarà, perciò, necessario intervenire con leggi popolari, ma anche efficaci. Ecco allora che si ricorre a un esperimento di democrazia deliberativa. Viene selezionato un campione rappresentativo di popolazione di alcune centinaia di persone, quindi si effettua un primo sondaggio che servirà da riferimento.
Quel gruppo di persone è successivamente riunito in un luogo più o meno isolato, dove per alcuni giorni viene impegnato in una serie di incontri e gruppi di lavoro con esperti di immigrazione, politici di diversa ideologia, amministratori pubblici. Al termine si conduce nuovamente il sondaggio e lo si confronta con il primo. Il risultato finale costituirà la base dalla quale partire per prendere le dovute decisioni in tema di immigrazione, non senza aver prima diffuso l’opinione del campione informato fra tutta la popolazione, attraverso un’ampia copertura mediatica.
Per Fishkin, osserva Giancarlo Bosetti direttore della rivista “Reset” e tra i maggiori divulgatori della teoria deliberativa in Italia, si tratta di ricreare nelle grandi democrazie contemporanee, le condizioni di quella «democrazia del villaggio»2da molti vista come ideale di partecipazione. Non a caso, nella scienza della politica i suoi sostenitori si sono meritati il titolo di neo-tocquevilliani. «Fu Tocqueville – osserva ancora Bosetti – a sottolineare con ammirazione la capacità delle comunità di coloni americani di garantire un’ampia e informata partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche»3. E’ inseguendo quella capacità che, negli ultimi quindici anni, la democrazia deliberativa è stata applicata per ben 18 volte in tutto il mondo anglosassone: dagli Stati Uniti al Regno Unito, fino all’Australia. In tutti i casi gli spostamenti d’opinione tra il primo e il secondo sondaggio sono stati rilevanti: su alcuni quesiti si è registrato un vero e proprio ribaltamento del parere espresso.
L’esperimento forse più incisivo per le ripercussioni dirette sulle politiche pubbliche è avvenuto in Texas nel ’96. Una legge approvata dallo Stato richiedeva che le compagnie elettriche consultassero il pubblico su come produrre l’energia, ma non specificava come la consultazione dovesse avvenire. La sorte di centinaia di milioni di dollari dipendeva dalla “razionalità” di un pubblico pochissimo informato. Si tennero otto sondaggi deliberativi, con l’assistenza di Fishkin. L’intero processo fu trasparente e trasmesso dalle tv pubbliche. I cittadini giunsero a ragionevoli combinazioni tra gas naturale e mulini a vento. Il Texas è divenuto un leader nelle fonti rinnovabili di energia.
Per Bosetti «è giunto il momento di avviare questo esperimento in Italia», la scelta, infatti, «sarebbe particolarmente opportuna in un Paese come il nostro dove la stampa quotidiana non riesce a raggiungere neanche saltuariamente i due terzi della popolazione»4. Un modo, dunque, per arricchire l’asfittica discussione pubblica italiana. Perché, in fondo, «la sovranità popolare – come osserva Giuliano Amato, curatore dell’edizione italiana del testo di Fishkin – è un prius intangibile, ma vale per gli elettori quello che valeva per i vecchi re degli Stati assoluti; essere sovrani non vuol dire avere per ciò stesso un’opinione informata su tutto. Caso mai richiede che si sia messi in condizioni di averla». In Italia non ci sono, però, soltanto sostenitori del sondaggio deliberativo. Angelo Panebianco, politologo, ad esempio, in un articolo pubblicato dal “Corriere della Sera”5, espone le sue perplessità riguardo alla teoria di Fishkin.
Lo studioso osserva che troppo spesso si indica la causa della poca democrazia nella scarsità di cittadini informati e desiderosi di prender parte alla vita pubblica. I vari progetti di democrazia partecipativa, infatti, si sono sempre scontrati con l’indifferenza, giudicata da alcuni mancanza di senso civico. Le proposte di Fishkin per colmare le lacune prodotte dall’ignoranza del pubblico, rientrerebbero, secondo la prospettiva di Panebianco, in questo filone.
C’è molto di giusto nelle critiche al funzionamento della democrazia, tranne il fatto che il grosso dei cittadini è disinformato e disattento alla vita pubblica ovunque, in tutte le democrazie. Questa considerazione appare, al politologo, eccessivamente superficiale e generalizzante, infatti sembrerebbe che l’opinione pubblica di tutto il mondo fosse prigioniera di un’ignoranza che le impedisce di avere pensieri ponderati, e non essendo questo il reale stato delle cose, non basta certo un sondaggio deliberativo per far progredire un modello di governo di tipo democratico.
Note
1 Fishkin , J. S. (2003), La nostra voce. Opinione pubblica & democrazia, una proposta , Venezia, Marsilio Editori.
2 Tratto dall’articolo di F. Forquet, Il fascino della democrazia del villaggio, pubblicato su “Il Sole 24 ore”, 22 maggio 2003.
3 Ibid.
4 Ibid.
5 Articolo di A. Panebianco, Una democrazia col fiato grosso, pubblicato su “Il Corriere della Sera”, 25 maggio 2003.