L’ambito della giustizia penale minorile si configura come pressoché l’unico in cui le pratiche di mediazione si attuano, sebbene la Conferenza di Transcrime – Università di Trento abbia rilevato come dall’approvazione del decreto legislativo del 2002 inerente le competenze penali del giudice di pace, si siano attuate sperimentazioni anche per gli adulti [1]. È altresì vero che neppure negli articoli inerenti la mediazione penale minorile si fa esplicito riferimento a questa, ma si trovano i termini “conciliazione” o “riparazione” [2]: la “riparazione delle conseguenze del reato” e la “ conciliazione con la persona offesa” sono gli effetti auspicati dall’atto della mediazione secondo la norma vigente.
Risulta evidente quanto un approfondimento semantico sia necessario per disciplinare tale pratica che merita un’attenzione particolare tanto nella sua metodologia e formazione degli operatori, quanto nella sua espressione normativa. Al momento la mediazione penale minorile riconosce i seguenti canali di accesso:
1. Art. 9 D.P.R. 448/1988 – accertamenti di personalità del minore; consente al pubblico ministero di rivolgersi all’Ufficio per la Mediazione [3] richiedendo l’intervento di uno o più operatori per vagliare l’opportunità di un loro intervento. In questo caso il minore è autore di reato e si prevede un’analisi della disponibilità di questo a mettersi in gioco, a riconoscere le proprie responsabilità e ad incontrare la parte lesa. L’esito di questa analisi consentirebbe al giudice di essere fornito di maggiori strumenti per la valutazione di colpevolezza del minore, quindi la formulazione di un giudizio prognostico;
2. Art. 27 D.P.R. 448/1988 – assoluzione per irrilevanza del fatto; a seguito della raccolta dati operata tramite l’art. 9 di cui sopra, si può procedere con un’analisi dei parametri in base ai quali il giudice considererà se al reato commesso possa essere applicato l’art. 27, consentendo così un proscioglimento del minore per irrilevanza del fatto. Un’estensione della pratica di mediazione interna all’art. 27 potrebbe rivelarsi utile per il risarcimento simbolico della vittima.;
3. Art. 28 D.P.R. 448/1988 – nel corso del processo al giudice è offerta la possibilità d’utilizzo della mediazione come prescrizione a corredo della sospensione del processo con messa alla prova del reo. L’esito di tal decisione operativa, valutata secondo le norme disposte dall’art. 29 D.P.R. 448/1988 sul comportamento del minorenne ed evoluzione della sua personalità, possono condurre così alla dichiarazione di estinzione del reato. L’art. 30 D.P.R. 448/1988, inerente la libertà controllata, si configura invece come misura alternativa alla detenzione;
4. Art. 564 C.P.P. – per i reati perseguibili a querela il pubblico ministero può tentare la riconciliazione tra querelante e querelato così come il giudice può promuovere l’atto di riconciliazione tra le parti tramite l’ex art. 29 D. leg. 274/2000;
5. Art. 47 O.P. – regola l’affidamento in prova ai servizi sociali, è previsto tra le misure di prescrizione che l’autore di reato si adoperi in favore della vittima[4].
Quanto soprascritto riporta alla precedente visione endosistematica della mediazione, in cui il ruolo della stessa acquista un valore di stabilizzatore sociale consentendo una gestione del conflitto, mirando ad una riduzione degli effetti stigmatizzanti e di etichettamento producibili da situazioni similari. Le finalità presupposte agli interventi descritti consistono, da un lato, nel concetto di partecipazione attiva [5] del reo al processo di cambiamento attraverso una rielaborazione del proprio comportamento deviante, dall’altro, nel superamento del ruolo rigido che contraddistingue autore e vittima, ridefinendo il conflitto tra le parti in termini di riorganizzazione relazionale interno ad un sistema operativo-opzionale multisfacettato, in grado di soddisfare le attese sociali e individuali attraverso specifici programmi ri-socializzanti e reintegrativi. Infine, l’intervento di mediazione assume una forte connotazione nella prevenzione della recidiva, come già esposto più volte. Sebbene gli approcci siano caratterizzati da differenze sostanziali di rilievo, gli obiettivi finali rimangono inalterati anche per i paesi in cui la tradizione della mediazione vanta una storia più consistente e complessa rispetto a quella italiana. In particolare ci si riferisce ad Austria, Germania, Francia, Nord Europa, Canada, Stati Uniti e Australia in cui lo studio della vittimologia ha dimostrato come un’alta percentuale di soggetti abbia aderito positivamente a questi programmi indicando “la necessità nella vittima del bisogno di riconoscere l’autore del reato, i suoi motivi, il bisogno di superare il trauma del reato; non mancano tuttavia gli effetti psico-pedagogici dell’intervento di mediazione che per la vittima si identifica in un rafforzamento dell’autostima per il ruolo attivo e determinante svolto, per l’autore di reato, un maggior senso di responsabilità e di appartenenza alla comunità locale [6]”.
Un’analisi delle esperienze estere fa emergere un preferenza per il modello riparativo in Francia e Stati Uniti [7] , in cui l’oggetto è il danno e il reato espressione del conflitto; in Austria si preferisce la metodologia riconciliativa, focalizzando l’attenzione sulla relazione autore-vittima. L’Italia sembra preferire, al momento, un orientamento riparativo, considerando irrinunciabile la prerogativa della soddisfazione surrogata, simbolica o reale, di quanto subito. Il caso italiano merita un approfondimento, soprattutto in virtù del fatto che rientra all’interno dell’ambigua logica della Diversion, intesa come interventi extra-penali, pratica che si risolve in una intrinseca contraddittorietà di focalizzazione, oscillante tra aiuto e controllo, allontanandosi dalla prospettiva sistematica della degiurisdizionalizzazione [8] . A tal proposito intervengono anche U. Gatti e M.I. Marugo : “(…) gli obiettivi della mediazione non sempre sono chiari, ed in particolare margini seri di ambiguità esistono in merito alla questione cruciale se la mediazione debba essere centrata sui bisogni della vittima o sulle esigenze riabilitative del reo, oppure sulle funzioni primarie della giustizia [9]”. Un ulteriore punto sul quale si ritiene utile porre l’attenzione è quello inerente il setting in cui la mediazione dovrebbe avere luogo. Uno spazio fisico neutrale aumenta la probabilità di distensione psicologica e predisposizione al dialogo tra le parti, è dunque fondamentale che si creino spazi specifici per il counseling evitando le aule giudiziarie o le sedi dei Servizi Territoriali ad uso giuridico, sia nel caso degli adulti, ma soprattutto per gli interventi con protagonisti i minori. Il setting deve proteggere dall’etichettamento, svolgere una duplice funzione: di protezione e accoglienza da un lato, e di libertà espressiva dall’altro. La non-connotazione specifica, in nessun senso, privilegia così l’intenzionalità impulsiva del soggetto che può liberarsi dei propri pensieri ed elaborarli insieme al mediatore prima, e con l’altra parte poi [10]. I punti su cui si basa la mediazione sono fondamentalmente quattro [11]:
1. il reato come conflitto tra le parti – impostazione educativo-trattamentale in cui il reato si configura come il risultato di problemi personologici da cui la società si deve tutelare. Ciò rimanda al modello retributivo in cui il reato è l’infrazione che produce danno;
2. la relazione autore-vittima come focus dell’intervento – il confronto e l’interazione tra i soggetti in causa comportano la comprensione per la vittima dell’azione subita e la responsabilizzazione dell’autore. L’intervento assume un’ottica sistemica superando la centralità passata sull’autore [12];
3. l’accordo tra le parti come risoluzione del conflitto – una qualunque tipologia di accordo soddisfante i soggetti coinvolti è il principale obiettivo della mediazione. L’accordo può tradursi in una forma di risarcimento economico (compensation order – principalmente utilizzato per i piccoli furti), o in una riparazione delle conseguenze del reato, (anche definito come risarcimento simbolico – restitution), o ancora in una riconciliazione tra le parti. Per quanto concerne la vittima, l’obiettivo principale rimane la rielaborazione del reato subito, quindi il contenimento della paura e il recupero dell’idea di giustizia sentendosi parte attiva di questo processo;
4. la flessibilità nell’attuazione, internamente ed esternamente il sistema giudiziario – riguarda la possibilità di applicazione della mediazione in modo sostitutivo al procedimento giudiziario. È prevista l’esecuzione del probation, programma risocializzativo della giustizia per i minori autori di reato.
Il Consiglio D’Europa con la Raccomandazione n° R (99) 19 del 15 Settembre 1999 si è pronunciato in favore della pratica della mediazione come presente ed attiva nei sistemi di giustizia, garantendo in ogni Stato Membro la possibilità di svolgere al meglio tale attività [13]. Nel documento sono riconosciuti tutti i principali obiettivi finora approfonditi, marcando l’importanza dell’analisi dialogica e la gestione del conflitto, anche se non si può fare a meno di notare come la mediazione sia ancora imprigionata nella pratica tra autore e vittima e non venga considerata come fondamentale in altri contesti come quelli proposti nell’introduzione. Non si può infatti pensare ad un reinserimento di un minore in famiglia senza un intervento di mediazione, così come non è possibile pensarlo per un qualunque individuo, membro di una qualsivoglia minoranza, che debba re-integrarsi in un contesto sociale e/o lavorativo in cui la propria realtà soggettiva non indica l’espressione della maggioranza [14].
Note
[1] Interventi disponibili sul sito della Regione Autonoma Trentino Alto-Adige (www.regione.trentino-a-adige.it), oppure sul sito di Transcrime (www.transcrime.unitn.it).
[2] L’art. 28 D.P.R. 448/1988 prevede che con l’ordinanza di sospensione “il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato”. Si veda inoltre l’art. 27 D. lgs 28 Luglio 1989, n. 272, recante “Norme di coordinamento e transitorie del D.P.R. 448/1988”.
[3] In Italia sono stati avviati interventi sperimentali che hanno portato alla costituzione di Uffici per la Mediazione Penale a Torino, Bari e Milano. Gli approcci e le metodologie risultano alquanto differenziate, così come le competenze degli operatori, non essendo disciplinata ufficialmente questa figura professionale.
[4] Fassone E., Probation e affidamento in prova, in “Enciclopedia del diritto”, Giuffrè, Milano, 1986; Gatti U., Marugo M.I., La sospensione del processo e messa alla prova, limiti e contraddizioni di un “nuovo” strumento della giustizia minorile italiana (probation – affidamento servizio sociale), Rass. it. criminol. 1992, p. 85.
[5] Proprio a tal proposito si sono già spese riflessioni sull’importanza dello studio metodologico affinchè un risultato di partecipazione attiva non venga atteso da un procedimento pedagocico educativo a base cognitiva, come invece sembra essere al momento attuale la situazione italiana. La riflessione sulle metodologie promozionali e sull’innovazione che queste apportano nel contesto inter-relazionale è di sempre maggior rilievo: nella confusione che domina il sistema penale, già la pratica della mediazione appare sfocata e senza normative operative disciplinate, sia per la formazione sia per l’attuazione. Dunque si comprende come un’ancora più dettagliata analisi teoretica del funzionamento metodologico appaia lontana e nebulosa.
[6] De Leo G., Modelli e metodi di intervento, di messa alla prova e riconciliazione con la vittima per i minori autori di reato in Italia, in “Età Evolutiva”, pp 105 – 112, Febbraio 1996.
[7] Negli Stati Uniti è nato un movimento di studio sulla mediazione e sulle tecniche operative da atture, il “Victim Offender Reconciliation Program”. I programmi proposti vertono sulla convinzione che la semplice gestione del conflitto non possa soddisfare le piene esigenze di una reale attività di mediazione, e che questa necessiti di un approccio integrato in cui il dialogo e l’autocoscienza permettono oltre ad una riconciliazione tra le parti anche uno sviluppo di senso di comunità. Questo approccio ribalta il canone tradizionale in cui l’intervento giuridico viene individuato nell’offesa allo Stato come rappresentante della giustizia (giustizia criminale), bensì ponendo al centro dell’offesa solo la vittima e il sistema comunitario (giustizia restauratrice). L’antropologia contemporanea si trova in accordo con queste analisi, esulando da un giudizio critico sull’operatività, perché riconosce in questa prospettiva il trend globale che pone l’individuo al centro delle analisi sociali. Il sistema vigente ha, come sostenuto nella parte introduttiva, reintegrato il valore del particolarismo proprio perché le distanze si accorciano e il multiculturalismo supera in velocità i tempi di assorbimento e rielaborazione psichica del reale. La necessità di una valutazione del Sé, del proprio gruppo e/o comunità, così come la definizione stessa di appartenenza etnico-culturale, s’integrano con una logica in cui l’approccio di mediazione si focalizza sulla persona piuttosto che sull’idea di Stato.
[8] Scardaccione G., Baldry A., Scali M., La mediazione penale. Ipotesi di intervento nella giustizia minorile, Giuffrè, Milano, 1998.
[9] Gatti U., Marugo M.I., La sospensione del processo e messa alla prova, limiti e contraddizioni di un “nuovo” strumento della giustizia minorile italiana (probation – affidamento servizio sociale), Rass. it. criminol. 1992, p. 85.
[10] Picotti L., La mediazione nel sistema penale minorile, Cedam, Milano, 1988.
[11] Wright M., Galaway B., Mediation and Criminale Justice, Sage Publications, London, 1989.
[12] Bocchi G., Ceruti M., La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano, 1985; Cirillo S., Il cambiamento nei contesti non terapeutici, Raffaello Cortina, Milano, 1990.
[13] Importante sottolineare come tale Raccomandazione sia principalmente recepita, almeno in territorio italiano, per quanto concerne la mediazione penale minorile e non abbia avuto pressochè nessun riscontro nella mediazione per adulti.
[14] Lasch C., La cultura del narcisismo, Bompiani, Milano, 1981; Tentori T., Il contesto nazionale, Edizioni Ricerche, Roma, 1971.