La parola professionalità viene utilizzata molto comunemente, ma troppo spesso a sproposito.
“Non è stato professionale” si tende a dire per identificare un lavoro svolto in modo inferiore alle aspettative, oppure se qualcuno ha superato il limite del galateo con un collega d’ufficio o quando non è stata rispettata una scadenza.
Al contrario, ma sempre un po’ fuori tema, si usa inquadrare come ‘molto professionale’ un lavoratore educato e puntuale.
Definizione di professionalità
Partendo dai più noti dizionari, il professionista è “chi esercita una professione intellettuale, manuale o liberale come attività economica primaria”; per potersi definire professionisti dunque bisogna che ci siano dei proventi in denaro dalla propria attività.
Pensiamo alla fotografia: i nuovi dispositivi tecnologici consentono a moltissimi di noi di scattare foto belle ed interessanti, ma non ci trasformano in fotografi professionisti.
Se però la fotografia diventa la nostra attività quotidiana, la mettiamo a servizio di altre persone e riusciamo a dargli un valore economico, vendendo le nostre foto o i servizi fotografici, ecco che possiamo definirci (ma solo a questo punto) dei fotografi professionisti.
Solo in modo figurato il dizionario definisce professionale “chi lavora con particolare competenza e bravura”.
Per professionalità – essere professionali – s’intende dunque un “complesso di qualità che distinguono dal dilettante, quali la competenza, la costanza dell’impegno, la scrupolosità ecc.”
Si qualificano come dilettanti i principianti all’inizio di una carriera professionale, ma anche tutte quelle persone che s’improvvisano in un settore che non gli compete, più banalmente detti incompetenti (non-competenti).
Il professionista è per definizione un soggetto che ha quelle qualità che gli consentono di operare in un settore lavorativo percependo una retribuzione, mentre sIl professionista dunque è un lavoratore retribuito che ha – o quantomeno dovrebbe avere – un’insieme di qualità che definiscono la cosiddetta professionalità.
Ma è davvero così? Sempre più spesso si riscontra troppo poca professionalità nella maggior parte dei “professionisti”.
Professionisti e dilettanti nello sport
Nello sport il concetto è immediato e di più facile classificazione. Prendiamo ad esempio il calcio: i professionisti sono per definizione coloro che “praticano un’attività sportiva in modo esclusivo e continuativo per la quale vengono retribuiti”.
I principianti sono coloro che ‘principiano’ come ad esempio le persone che si allenano con i maestri per imparare.
I ragazzini che iniziano a giocare e sono talentosi vengono anche chiamati esordienti perché esordiscono ovvero iniziano.
I dilettanti, da ‘diletto’, sono coloro che si divertono a praticare uno sport ovvero tutti quelli che non sono riusciti ad affermarsi professionalmente e si limitano a giocare partitelle nei circuiti amatoriali.
Quindi, sebbene la frequenza dell’allenamento migliori le performance di chiunque, nello sport appare chiaramente che la retribuzione distingue un professionista dagli “amatori” che svolgono uno sport con passione, ma non per lavoro.
Competenza e serietà
La professionalità dunque, racchiudendo numerose sfumature, viene valutata in termini molto soggettivi: èpiù professionale un top player di Serie A o un giocatore di Serie C? In realtà forse il giocatore di Serie A è soltanto più bravo o forse solo più ‘grande’ (vecchio mi sembra eccessivo) o è stato fortunato ad incontrare un talent scout.
Recentemente ho fatto un sondaggio chiedendo qual è l’aggettivo o comunque il termine che meglio caratterizza la parola ‘professionalità’ e le risposte emerse sono state piuttosto significative anche perché non è emerso un giudizio oggettivo.
La maggioranza ha definito la professionalità come sinonimo di competenza: la capacità di svolgere determinate funzioni ovvero il pieno possesso delle nozioni tecniche del proprio settore.
Ma essere preparati tecnicamente equivale davvero ad essere professionali? Non sempre purtroppo. Alcune persone molto competenti sotto il profilo nozionistico non sanno lavorare nella pratica o sono incapaci di relazionarsi adeguatamente.
Una parte degli intervistati ha affiancato la professionalità alla parola ‘efficienza’ (e/o efficacia) che comprende sicuramente la preparazione tecnica, ma aggiunge la capacità di svolgere adeguatamente il compito portandolo a termine con un risultato.
Raggiungere dei risultati rende professionali? Sicuramente quando il risultato riesce a soddisfare le aspettative altrui emerge professionalità e se i risultati sono costantemente buoni e le aspettative vengono superate, il professionista viene considerato bravo.
Un nutrito gruppo ha risposto al sondaggio interpretando la parola professionalità come sinonimo di serietà, non quella espressiva che pertiene al senso dell’umorismo, bensì alla compostezza, al rigore, al rispetto dei tempi concordati, alla precisione esecutiva, alla correttezza rispetto agli accordi pattuiti, all’onestà.
Essere seri ed onesti sul lavoro rende professionali? Sì, soprattutto risultando affidabili e disposti ad assumerci le nostre respons-abilità, scritto proprio così dall’inglese response ability, nel senso dell’abilità nel rispondere alle richieste.
Impegno e continuità
Curioso il gruppo che nel sondaggio auspica di riscontrare tra le caratteristiche di chi è professionale l’empatia, l’umanità ed il rispetto dell’etica.
Credo sia esperienza comune aver incontrato dei professionisti, tecnicamente preparati, ma con doti relazionali pari a quelle di un robot. Ecco, credo sia corretto sottolineare che le cosiddette competenze trasversali come la comunicazione, l’adattabilità, l’ascolto, sono davvero preziose per valorizzare la propria capacità tecnica.
Molto interessante, la ricerca di aggiornamento nei sedicenti professionisti. Il mondo gira velocissimo e chi resta ai tempi della pietra, riciclando metodi e tecniche vecchi, non viene percepito come professionale.
I professionisti sono professionali?
In tutti gli ambiti lavorativi viene dunque considerato professionista “chi esercita una professione intellettuale, liberale, o comunque un’attività per la quale occorre un titolo di studio qualificato”, ma curiosamente la distinzione tra professionista e dilettante o addirittura incompetente assume contorni più sfumati in quei settori nei quali non è obbligatoria una licenza o un titolo specifico per esercitare.
I fatti di cronaca raccontano di persone che sono riuscite a spacciarsi nientemeno che per chirurgo; si narra che le infermiere spettegolassero che il famigerato sig. Politi in arte Matthew Mode, non sapesse neppure indossare i guanti di lattice, ma fino a quando non è stato colto in flagrante, ha operato centinaia di persone con la sua “licenza” di terza media.
Pur tralasciando i casi eclatanti e fraudolenti, certi ambiti lavorativi nei quali per esercitare non è richiesta un’iscrizione all’Albo o il superamento di un esame di Stato come il settore della consulenza o della formazione sono davvero gremiti di persone improvvisate che si auto definiscono professionisti.
Per essere considerati professionali si dovrebbe quindi essere: preparati tecnicamente, aggiornati, efficienti, precisi, puntigliosi, onesti, rispettosi di tempi e accordi, umani ed empatici pur restando seri…
Non è facile, né frequente.
Quante volte ci troviamo a dover pagare per professionisti che non sono affatto professionali?
Il mercato è sempre più saturo di personaggi con attesti di frequenza a corsi di ogni tipologia, ma è sempre più difficile lavorare con persone che possiedono più di uno dei requisiti che caratterizzano la professionalità.
Credo che la generosità intesa come condivisione delle proprie conoscenze con gli altri, il cosiddetto knowledge marketing sia vincente: prima mostra senza remore di cosa sei capace e poi verrai ripagato adeguatamente; questo per me è il significato attuale di professionalità.