Gli esperti che si occupano dei comportamenti additivi, hanno cercato di studiare il motivo per cui alcuni individui scelgono un determinato oggetto di dipendenza. Si è constatato che ciò è determinato da alcune modalità che il soggetto apprende durante l’infanzia e che lo conducono, in età adulta, a riproporre gli stessi modelli con i quali si è identificato da bambino.
Secondo Jaques Lacan ciò che anima l’inconscio è il desiderio di ogni soggetto di riconoscere se stesso. Nel bambino il concetto di Sé ha inizio nel momento in cui si rende consapevole di essere un’entità completamente distinta dalla madre e dagli altri attraverso il riconoscimento e la localizzazione nel suo corpo di emozioni, sentimenti e tensioni. Ed è proprio tra i 6 e i 18 mesi che egli è in grado di riconoscere, attraverso delle tappe, la propria immagine. Il bambino, infatti, giunge all’identificazione dell’Io e quindi ad una rappresentazione totale del proprio corpo nel momento in cui egli stesso è in grado di riconoscere la propria immagine allo specchio, senza considerarla più un oggetto reale e senza confondere il suo riflesso con quello dell’adulto. In realtà l’Io altro non è che un’immagine ingannevole perché mediato dall’Altro: è un Io Ideale che dipende e si identifica con l’Altro seguendo le sue leggi e i suoi desideri.
Possiamo dedurre, quindi, che l’identità è un qualcosa di molto complesso tanto che ne esistono diverse tipologie le quali a volte sembrerebbero essere in contrasto tra loro. Tendiamo, per esempio, a confermare la nostra individualità se ci sentiamo sicuri all’interno di un gruppo, al contrario possiamo sentire il bisogno di assomigliare sempre di più agli altri nel momento in cui abbiamo la sensazione di essere emarginati dalla comunità. L’individuo, in definitiva, esprimendo la sua unicità e singolarità esprime contemporaneamente la propria identità. L’identificazione, invece, conduce il soggetto ad appropriarsi dei valori e delle competenze dell’individuo o della relazione oggetto dell’identificazione. Secondo la Oliviero Ferraris (2000) identificarsi con qualcuno o qualcosa è come compiere un’esplorazione dell’altro o insieme all’altro.
Nella fascia di età che va dai 3 ai 6 anni si è constatato che i bambini tendono ad identificarsi con i modelli offerti dal mezzo televisivo, attribuendosi poteri appartenenti ad eroi del mondo dei cartoni animati. Sin dagli anni 50 la tv dei ragazzi si rivolgeva ad un pubblico prettamente maschile. I bambini, infatti, tendevano ad immedesimarsi nei protagonisti delle serie televisive o dei cartoni animati e quindi l’identificazione per loro risultava gratificante in quanto i loro eroi erano portatori di aggressività e prestanza fisica. Le bambine, invece, si limitavano a giocare a fare la “mamma” con le bambole oppure giocavano con i maschi alla principessa indifesa da salvare. Si deduce che in quegli anni la programmazione televisiva sottovalutava il ruolo femminile all’interno della società, mandando in onda trasmissioni di ambientazione familiare. Infatti tra le varie tipologie di donne che anche al giorno d’oggi emergono nei cartoni animati, l’orfana trasmette ai bambini un messaggio di solitudine che, giocando sul loro senso di affettività e bisogno di sicurezza, provoca in loro la paura di perdere i propri genitori. Ciò che viene colpita è la loro sfera emozionale e se per i bambini l’identificarsi con eroi vincenti e potenti può contribuire ad aumentare la loro autostima conducendoli verso una costruzione dell’identità del Sé infantile, per le bambine a cosa può contribuire l’identificarsi con modelli femminili che non presentano caratteristiche di indipendenza?
Ma oltre al mondo della televisione i bambini durante la loro infanzia si identificano soprattutto con i modelli di relazione stabiliti con la propria figura di attaccamento. I neonati, intorno ai 3-4 mesi, interiorizzano e memorizzano modelli di relazione vissuti nel loro ambiente familiare e modificati nelle loro relazioni successive. Ma quali sono i modelli relazionali di riferimento?
Fondamentalmente sono due. Nel primo, il bambino si rappresenta mentalmente il modo in cui i propri genitori comunicano ed esprimono i loro sentimenti, attribuendo così un significato a quello che sono i rapporti affettivi, di potere e di sottomissione tra due coniugi. Nel secondo modello relazionale, invece, il bambino prova rabbia, gioia, piacere, dispiacere, senso di colpa, delusione sulla base di ciò che la madre e il padre gli danno. Si crea, di conseguenza, un modello che lo condurrà a ricercare e quindi a rivivere relazioni affettive simili a quelle che ha vissuto nel suo passato.
In definitiva il bambino durante la sua infanzia si rappresenta mentalmente l’uomo, la donna, l’amore confondendo il reale dall’immaginario proprio come nella teoria dello specchio di Lacan in cui il bambino stesso, attraverso degli stadi, giunge all’identificazione di un Io che in realtà risulta essere ingannevole poiché mediato dall’Altro dal quale egli dipende in tutto e per tutto. Sembrerebbe, quindi, probabile che in età adulta il soggetto metta in scena antichi modelli di interazione per poi circondarsi di gente che li renda ancora più forti.