L’attuale metodo in uso per stabilire la cecità, basato soltanto sull’accertamento dell’acutezza visiva, senza considerare l’ampiezza del campo visivo e altri fattori che riducono l’effettiva utilizzazione del residuo di vista, spesso comporta che persone alle quali è stato accertato un residuo superiore a 1/10, nella vita pratica di tutti i giorni, debbano affrontare quasi gli stessi problemi di coloro che la legge considera ciechi, senza però poter disporre degli stessi interventi assistenziali.
La rigida classificazione dei cittadini in vedenti e ciechi trascura l’esistenza e i problemi di coloro che pur non essendo ciechi, sono ben lontani dal possedere la stessa autonomia di movimento e le stesse opportunità nello studio e nel lavoro delle persone in possesso della normale vista.
I problemi degli ipovedenti sono più o meno gravi secondo il tipo di malattia, della quantità e della reale funzionalità del residuo visivo, ma soprattutto secondo la capacità degli ipovedenti stessi di imparare a convivere con il loro handicap.
Gli ipovedenti che come gruppo sociale non sono ancora riusciti a conquistare uno spazio adeguato nella società, non dispongono di interventi assistenziali specifici, né di centri specializzati atti a fornire le informazioni e le soluzioni più idonee ai fini della conservazione e del miglior utilizzo del residuo visivo.
I problemi di ordine psicologico condizionano in modo determinante le reali possibilità di recupero sociale.
Per coloro che hanno visto sempre bene rimarrà particolarmente difficile adattarsi alla nuova condizione di ipovedenti, specie se il residuo visivo è molto ridotto. Già l’insorgere della malattia con il conseguente abbassamento della vista produce uno stato di profonda angoscia che lascia spazio solo alla ricerca di altri esami, altre terapie ed altre prove fin quando i medici diranno chiaramente che non c’è più http:\\/\\/psicolab.neta da tentare.
Il viaggio, che in tempi più o meno lunghi conduce molti ipovedenti dalla visione alla cecità, viene percorso nella più profonda prostrazione morale, senza forma di assistenza di ordine psicologico e pratico. Gli oculisti, per consolidata formazione professionale, davanti a loro riescono a vedere solo il caso clinico. I familiari e le persone che li circondano non sono quasi mai nelle condizioni di poter comprendere ed aiutare coloro che vivono il dramma di perdere, giorno per giorno, il residuo visivo. In queste situazioni, anche se la perdita della vista non sarà totale, sarà molto difficile convincersi di poter essere contenti per non essere ancora completamente ciechi.
La prima cosa che si perde insieme alla vista è ogni positiva considerazione di se stessi.
Il complesso di inferiorità, la mancanza di fiducia in se stessi e quindi la paura di non riuscire sono aspetti emozionali che portano facilmente al più negativo stato di inerzia.
Non è difficile, specie nelle zone socialmente più depresse, incontrare ancora oggi persone che, a causa della sopraggiunta minorazione visiva, hanno la speranza di potersi riorganizzare la vita e vivono un consapevole e rassegnato isolamento.
E’ necessario intervenire al livello psicologico per ricostruire in questi soggetti il più alto livello di fiducia in loro stessi, dare certezza di riconoscere e comprendere i propri problemi e le proprie reali difficoltà, favorendo, con la prospettazione di esempi facili da accettare e imitare, la ripresa del cammino per una nuova vita che si rivelerà, nonostante tutto, sempre degna di essere pienamente vissuta.
Quando l’ipovedente avrà ripreso il filo della vita attiva, perché ha superato i problemi relativi alla convivenza con il proprio handicap, dovrà con tutte le difficoltà che l’impresa comporta, cercare di far comprendere a chi vive nel suo ambiente, ciò che realmente vede o non vede.
L’incertezza della sua capacità visiva creerà sempre enormi difficoltà ed equivoci nelle relazioni, nello studio e nel lavoro.
I vari interventi assistenziali ai quali gli ipovedenti possono fare ricorso, non essendo stati concepiti e finalizzati secondo le loro specifiche esigenze, determinano contraddizioni e ingiustizia, senza risolvere i veri problemi.
Particolarmente grave è l’ingiustizia consumata nei confronti di coloro che possiedono un residuo visivo fino ad 1/20, i quali sono ancora esclusi dall’indennità di accompagnamento, anche se tale residuo non è assolutamente sufficiente a garantire un livello di autonomia per muoversi e per leggere.
La mancanza di centri raggiungibili specializzati per l’educazione funzionale del residuo visivo e per l’addestramento all’uso degli strumenti per la correzione ottica, costringe gli ipovedenti a tentare da soli la ricerca della soluzione migliore.
Molto spesso questi soggetti non riescono a superare gli inconvenienti di ordine psicologico nei confronti dei possibili strumenti correttivi, le cui forme e dimensioni non hanno proprio http:\\/\\/psicolab.neta di estetico e finiscono per evidenziare la loro minorazione, che vorrebbero invece mitigare.
Aggirarsi per la città dovendo chiedere al passante ignaro della situazione il numero dell’autobus, la via, il numero civico ed il nome sul campanello da suonare, traduce nell’ipovedente, apparentemente autonomo, sensazioni tali che spesso lo inducono a non ripetere l’avventura. Se gli attraversamenti delle strade fossero meglio segnalati e resi più sicuri, se il numero degli autobus fosse più grande e il posto vicino alla porta di entrata, se gli uffici pubblici esponessero i cartelli per le informazioni con scritte più evidenti, se i marciapiedi fossero lasciati liberi, se i bordi dei gradini fossero segnati con colori di contrasto, se la segnaletica che indica la via e i numeri civici fosse posta ad altezza uomo, l’autonomia degli ipovedenti, anche dei più gravi, migliorerebbe di molto.
Alcune forme di associazionismo tra gli ipovedenti stanno prendendo corpo. Esse operano in modo serio e corretto nel campo dell’informazione scientifica, stimolando ricerche sulle cause e sugli effetti delle singole malattie, offrendo ai loro associati le notizie più utili a rallentare il corso della malattia.
Unendo tutte le forze disponibili e coinvolgendo maggiormente gli oculisti e gli operatori sociali, sarà possibile percorrere con successo la strada che porterà gli ipovedenti ad essere riconosciuti dalla società, dove finalmente potranno essere se stessi, senza doversi sforzare di essere, a seconda delle circostanze, vedenti o ciechi.
Oggi la degenerazione maculare correlata all’età (AMD) è la prima causa di ipovisione nei paesi industrializzati e colpisce prevalentemente le persone anziane, ancora più bisognose di attenzioni da parte della società rispetto alle altre fasce d’età.