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Neuroscienze

La Percezione della Coscienza

Noi abbiamo una percezione di noi stessi, della nostra coscienza, come di un tutto intero e indivisibile; di un cosa, seppur poco chiara, tuttavia integra, unitaria, omogenea. Se fosse davvero così molti fenomeni di patologia della coscienza rimarrebbero inesplicati. La coscienza non è un monolite, ed esistono molte alterazioni parziali che lo dimostrano. Nelle prime pagine della Recherche di Proust il protagonista si desta all’improvviso in piena notte, disorientato e con la coscienza a pezzi, cerca pian piano di ricomporla. Non sa più dove si trova ma si sforza di rimettere insieme l’unità delle cose e del proprio io. Cerca allora di situarsi nuovamente nello spazio e nel tempo, di ricordare i mobili, i muri, le finestre. Di riconoscere il posto in cui si trova. Affinché “le pareti invisibili, mutando posizione secondo la forma della stanza immaginata”, preparino il riconoscimento del posto in cui si trova, che si presenta all’inizio confuso e ritagliato dai fluttuanti contorni dei luoghi ricordati. E’ un attimo, poi la coscienza desta riprende il controllo della situazione e il pensiero e l’abitudine fissano gli spazi e i tempi. “Come residuo appena percettibile resta però il sospetto, suscitato dalla non immediata ricostruzione delle coordinate, che la presunta fissità delle cose non sia spontanea, ma rifletta essenzialmente la nostra rigida organizzazione mentale” (Remo Bodei, La vita delle cose, Econ. Laterza 2011, p. 8)
Il modello dello ‘spazio di lavoro
Questo modello cerca di dare una spiegazione al fenomeno della coscienza fondato su cinque punti. Il primo prende atto che la maggior parte delle informazioni arriva in forma automatica, come quando guidiamo l’auto mentre parliamo animatamente con chi ci sta a fianco, senza renderci conto dei movimenti che eseguiamo alla guida. In secondo luogo si diventa coscienti quando l’attenzione amplifica una particolare popolazione neurale. In terzo luogo la coscienza è necessaria per alcuni compiti cognitivi che richiedono di mantenere nel tempo alcune informazioni come fare un discorso e, quarto, quando si tratta di elaborare nuove strategie cognitive; infine la capacità di generare spontaneamente un comportamento interiore che noi sentiamo come ‘stato cosciente’.
Questo spazio di lavoro sarebbe composto da una serie di moduli che hanno mansioni diverse ed elaborano pensieri, sentimenti e informazioni al di sotto della consapevolezza (nell’inconscio direbbe Freud). La possibilità che alcuni di essi diventino coscienti dipende se vengono messi a fuoco, mirati, reclutati dall’ ‘attenzione’ e messi in relazione con altri moduli disseminati nel cervello, a breve e a lunga distanza, e che vengono transitoriamente e dinamicamente collegati tra loro (Dehaene, S. Naccache L. (2001) a cura di, numero speciale di Cognition, 79).
Le parti della coscienza
Alcuni aspetti della coscienza si possono collegare ad alcune regioni specifiche del cervello, aree del linguaggio, ad esempio o della memoria. Vi sono stadi o livelli diversi di coscienza, dalla veglia al sonno, passando da alti a bassi livelli di attenzione. Vi è una coscienza biologica di base o nucleare, stabile, che fornisce al soggetto la sua identità. Il qui e ora; il senso di luogo, di tempo e di spazio. Senza passato, se non quello immediato, e senza futuro, senza un lontano, un altro posto, un altrove. E’ una coscienza complessa, estesa, che fornisce un senso di identità più completo e vasto, più elaborato che lo colloca nel tempo e nello spazio, consapevole del passato e di prospettive future. Tende ad evolversi durante la vita dell’individuo e a raggiungere, con la comparsa del linguaggio, la sua massima espressione nell’essere umano. Qui il prima e il dopo, il passato e il futuro abbracciano una intera visione, perfino tutto l’orizzonte della vita, come un grande romanzo. Poggia ovviamente sulla coscienza nucleare, sulle sue fondamenta. “Il bisturi affilato della malattia neurologica rivela che le menomazioni della coscienza estesa non impediscono a quella nucleare di rimanere intatta. Mentre i deterioramenti della coscienza di base demoliscono l’intero edificio della coscienza, facendo crollare anche la coscienza estesa” (A. Damasio, Emozione e coscienza, Adelphi, 2000, p. 31).
Cervello e mente
Penfield, un famoso neurochirurgo del novecento, stimolò il cervello nudo con degli aghi e provocò al soggetto tutta una serie di sensazioni, immagini, ricordi, visioni. La stimolazione di determinate aree del lobo temporale era, ad esempio, in grado di risvegliare dei ricordi, fu così possibile formulare un’ipotesi sul meccanismo funzionale della memoria e sulla sua localizzazione cerebrale. Tutte queste scoperte hanno una particolare importanza in quanto eseguite sull’uomo e non su animali, come era avvenuto in precedenza. Come è noto infatti l’organizzazione funzionale del cervello varia da specie a specie in funzione del differente sviluppo del cervello. Si poterono mappare le aree corrispondenti alle varie aree del corpo. L’homunculus sensoriale è una mappa nel cervello, ed ha per ciascun distretto le dimensioni delle aree della corteccia sensoriale dedicate a ciascuna parte del corpo. Abbiamo nella testa una rappresentazione dell’intero corpo in miniatura e caricaturale perché parti percettivamente importanti (mani, pollice, labbra, lingua) sono sproporzionatamente evidenti. La regione relativa alle labbra o alle dita occupa lo stesso spazio dell’intero dorso e torace: le dita sono assai sensibili al tatto e capaci di movimenti fini e delicati, mentre il tronco meno sensibile ha bisogno di meno spazio corticale. Stranamente i genitali si trovano sotto i piedi.
Patologie parziali della coscienza
Le forme demenziali compromettono la memoria e, piano piano il senso del sé si appanna, fino a spegnersi. Quindi fa seguito il tracollo della coscienza nucleare. Alcune patologie però la ledono solo in parte. Tra queste abbiamo, l’anosognosia, l’eminegligenza spaziale, la asomatognosia, la percezione di arti inesistenti e altre. La parola anosognosia deriva deriva dal greco nosos, malattia, e gnosi, conoscenza, e riguarda l’incapacità di riconoscere uno stato di malattia nel proprio organismo. In genere si tratta di un soggetto paralizzato al lato sinistro del corpo, incapace di muovere braccio e gamba, col volto per metà immobile, che non può reggersi in piedi e che afferma che tutto va bene e di non essere affetto da http:\\/\\/psicolab.neta. Fenomeno che non avviene invece a coloro che sono paralizzati alla metà destra del corpo. Solo quelli, infatti, che hanno una lesione all’emisfero destro (che controlla la metà sinistra del corpo) possono presentare questo fenomeno. L’eminegligenza spaziale consiste nella mancata consapevolezza dell’esistenza della parte sinistra dell’ambiente. Le informazioni giuste sono presenti in modo inconsapevole nei pazienti ma non riescono ad emergere nella coscienza. La asomatognosia consiste nella mancanza di riconoscimento del proprio corpo; probabilmente mantengono la memoria nucleare e sono consapevoli del loro essere ma la danneggiata integrazione proveniente dall’organismo sconvolge l’aggiornamento della memoria e quindi della mente cosciente. La percezione di arti amputati, fenomeno noto come dell’arto fantasma, era già stato notato nel Cinquecento dal chirurgo francese Paré; e all’epoca fece invocare ad alcuni la prova diretta dell’esistenza dell’anima. Se infatti un arto poteva essere sentito anche quando non c’era, riesce allora a sopravvivere al disfacimento del corpo, ciò dimostrava la persistenza dello spirito dopo essersi liberato delle sue spoglie mortali. Oggi si pensa però che altre aree cerebrali prendano il posto di quelle atrofizzate dell’organo che non c’è più, creando l’illusione che esista ancora (Rachamandran V.S. La donna che morì dal ridere, il libri di Quark, oscar Mondadori, 2003, p. 47)
Cervelli
Il cervello umano ha creato una mente (che è un suo prodotto) che a sua volta ci fa percepire una ‘coscienza’ che forse gli altri animali non riescono a percepire. Una forma del sentire interiore assai complessa, probabilmente unica tra gli esseri viventi, ma ci sono scarsi motivi per ritenere che il piano su cui è costruito sia diverso da quello su cui sono fatti gli altri cervelli. La maggioranza delle parti di cui è composto è in relazione con quelle degli altri cervelli che nascono e si sviluppano in modi simili. Dal punto di vista della cassetta degli attrezzi della biologia dello sviluppo, il cervello non è che un agglomerato di molecole come tanti. Anche se alcuni potrebbero considerare l’idea che siamo solo un insieme di molecole, sviluppato seguendo le solite regole, come una triste rinuncia a tutto quello che c’è di speciale nell’umanità, potrebbe invece trattarsi di una emozionante versione moderna dell’idea che c’è un legame che unisce tutte le cose viventi. Si dice che san Francesco abbia “chiamato tutte le creature, non importa quanto piccole, con il nome di fratello e sorella, perché sapeva venissero dalla sua stessa fonte” (Cit. di san Francesco, dalla Vita di Francesco di san Bonaventura). Grazie ai progressi della biologia molecolare e della neuroscienze possiamo ora comprendere come mai prima, quanto profonda sia la condivisione della nostra eredità, fisica e mentale, con tutte le creature con cui spartiamo il nostro pianeta (Gary Marcus, La nascita della mente, codice ediz., 2004, p. 103).

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Luciano Peccarisi