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Scuola

Il Processo di Identificazione negli Adolescenti

Sono giunta al capolinea e, dopo le tante specializzazioni, spero di trovarmi presto “dall’altra parte della cattedra”, decisa a esaltare importantissimi valori morali quali il rispetto, la tolleranza, la giustizia, la pace, l’impegno … a stimolare gli educandi nel prendere atto dei compiti che li attendono, a suscitare in loro la gioia di vivere e il gusto di pensare …
Sono queste le molle che, nell’odierna società conflittuale, assicurano la convivenza democratica. Saprò ricorrere a quei messaggi non verbali molto più eloquenti di un lungo discorso ampollosamente strutturato? Potrò identificare quel “come” comu­nicare, certamente più significativo di “quello” che dovrò comunicare? Arriverò a incidere nel processo di autopercezione dello studente? Riuscirò a far tesoro di tutte le nozioni immagazzinate per raggiungere la vetta?
Mi rendo conto, infatti, di quanto sia complessa la realtà che mi troverò davanti. I ragazzi, nella fase adolescenziale, frequentano la scuola per collocarsi in una comunità sempre più esigente; per salire quanto più possibile la scala sociale ed entrare nel mondo degli adulti, però, essi devono seguire un lungo itinerario culturale che, “estendendosi, approssimativamente, dai quattordici ai venticinque anni d’età” (Lutte), è tempestato da frequenti crisi di identità: “chi sono?”, “qual è la mia funzione nel contesto in cui vivo”?, “quali saranno le mie responsabilità future?”.
Perplessi, smarriti, senza punti di riferimento certi, non trovano il loro io più profondo e brancolano nel buio, in cerca di una mano tesa che li stimoli ad accrescere la fiducia in sé, indichi loro come procedere e come agire correttamente, li solleciti a determinare e ad accettare la propria identità. In questo cammino, occorre ai giovani l’appoggio di una guida morale in cui credere e di cui fidarsi, qualcuno capace di aiutarli a superare gli ostacoli che impediscono l’emergere di tutte le componenti della loro personalità, qualcuno col quale entrare in sintonia e dialogare, qualcuno disposto ad ascoltarli con molta pazienza, qualcuno, insomma, col quale identificarsi.
La famiglia e la scuola sono le istituzioni che devono assumersi l’onere e l’onore di scortare i più sprovveduti, favorendone l’inserimento costruttivo nella società; tali organismi possono avere un ascendente fortissimo sugli adolescenti, allorché si offrano come modelli che operano in maniera sinergica al fine di raggiungere obiettivi comuni. Educazione morale e istruzione, ecco due input di vitale importanza che, attivati sincronicamente, concorrono alla formazione complessiva del discente; la psicologia e la pedagogia dell’età contemporanea ne rivendicano la paternità, ma tali scienze erano già state elaborate nel I secolo d.C. da Quintiliano, il quale, nell’incipit dell’Institutio Oratoria, è entrato con grande ottimismo nel vivo della questione; i primi due libri, dedicati alla formazione del fanciullo, mostrano buona conoscenza dell’animo del bambino e svolgono principi liberali basati su un postulato primario in base al quale “l’educatore deve riporre piena fiducia nelle potenzialità di ogni ragazzo”. Lo scrittore latino supporta la sua teoria con l’assioma apodittico secondo cui “non si potrà mai trovare nessuno che non abbia ottenuto proprio niente con lo studio guidato” (I,1,3) e sottolinea che il discepolo deve essere indirizzato allo sviluppo della personalità. La prima figura carismatica è il pater, che deve metterlo in condizione di valorizzare le proprie capacità; quanto più “l’eroe” si mostrerà fiducioso nei confronti del figlio, tanto più quest’ultimo diventerà premuroso e attivo. Anche la moderna pedagogia riconosce l’importantissimo ruolo delle figure parentali, considerate i primi compagni di viaggio degli adolescenti; i genitori hanno il dovere di creare un contesto armonico e, con maturità e saggezza, aiutarli a superare le frustrazioni che, inevitabilmente, essi subiranno nel loro processo di crescita. Da questo ambiente ricco di stimoli, i giovani traggono, a loro volta, spunti di riflessione continua, perché, interiorizzando i comportamenti dei loro modelli impliciti, confrontano i valori che vengono loro proposti con quelli che esperiscono fuori, nella grande giungla della vita sociale.
All’azione formativa di questi due polmoni si associa quella dell’insegnante, una figura di grande prestigio, che, lungi dall’essere un semplice operatore culturale spersonalizzato, ha il dovere morale di entrare nell’animo del ragazzo; il maestro, con la sua profonda humanitas, deve, suaviter in modo e fortiter in re (Orazio), sollecitarne la partecipazione attiva all’opera educativa, abituandolo alla discussione e al lavoro individuale perchè “gli esempi sono più importanti dei precetti teorici <…> che gli possono fornire i testi”. (I,1,4) “L’istruttore deve essere un padre per i suoi allievi, <…> non deve avere vizi, né essere troppo severo, né eccessivamente permissivo e parlare quanto più spesso possibile del bene e dell’onesto <…>. E’ importante, soprattutto, che l’educatore parli molto, perché la viva voce rimane meglio impressa nella mente dell’allievo <…> ed essa è tanto più efficace quanto più la persona dalla quale proviene è rispettata e amata” (II, 2, 4-8).
Passato e presente a braccetto nell’esame dei processi di identificazione degli adolescenti. La didattica ludica, per esempio, che è una delle colonne portanti dei metodi d’insegnamento, per contribuire a uno sviluppo armonico, deve essere diretta all’integrazione nell’hic et nunc dell’alunno in una comunità e, in quanto tale, non può coesistere con l’insegnamento di un precettore privato. Il ragazzo di oggi è il cittadino di domani e, pertanto, debetur maxima reverentia puero (Ibidem) destinato a diventare il vir bonus peritus dicendi (Catone) che si proietta in una vita di relazioni intense; la scuola pubblica è funzionale a tale obiettivo perché sottrae il ragazzo al clima familiare spesso troppo indulgente. ”La socialità eccita l’intelligenza, la dinamica del lavoro di classe facilita l’apprendimento attraverso il dialogo e il confronto con i coetanei. Si aggiunga il fatto che, a casa sua, egli apprende solo quanto sarà insegnato a lui, nella scuola, invece, anche quanto sarà insegnato agli altri e sentirà ogni giorno molte cose approvare, altre correggere <…> La lode ne susciterà l’emulazione <…>. Egli si convincerà che è vergognoso restare indietro a un suo pari e che gli dà soddisfazione l’aver eguagliato o, addirittura, superasse maiores (Ibidem), aver superato i migliori; tutto ciò fa ardere gli animi e l’ambizione, pur essendo un difetto, diventerà uno stimolo alle virtù. Si deve abituare il fanciullo a non essere timido in pubblico e a “non illa solitaria et velut umbratile vita pallescere” (Ibidem), a non farlo intristire nella solitudine di una vita umbratile; “excitanda mens et attollenda semper est” (Ibidem), il pensiero va sempre tenuto sveglio e teso, mentre, se si apparta, “languescit” (Ibidem), si infiacchisce.
Quintiliano sembra riapparire anche quando ricorda agli insegnanti di respingere fermamente i metodi coercitivi, sostituendoli con un rapporto di stima tra il maestro e lo scolaro; la sua posizione contro tali abusi scandalosi non è moralistica, ma pragmatica: “il ragazzo, che cerca nell’adulto un modello da imitare, non solo ritiene le percosse umilianti per lui e indegne per il maestro, ma, soprattutto, ne riceve un grave danno psicologico. Egli, infatti, resterà definitivamente solo e il pedagogo “plagosus, dalla bacchetta facile perderà il suo ruolo-simbolo” (I,3, 14-16). L’insegnante, quindi, deve proporsi come modello di umanità e saggezza, garantire la libera espressione, creare un clima di trasparenza e fiducia reciproche, allentare lo stato di tensione psicologica, trasmettere ideali etici universali, arricchire di informazioni che incidano principalmente sull’ego dell’adolescente, con messaggi che riguardano l’auto-etero-perce­zione; bisogna affidarsi a un’imitazione spontanea, senza pilotare le scelte ideologiche dell’alunno, e ricorrere alla sua autorità solo per controllare, moderare e correggere. Il discente, se capisce di non trovarsi in uno stato di sudditanza culturale, ma dinanzi a un individuo alla pari col quale comunicare e affrontare tematiche di oggi sulla base delle quali formulare i primi giudizi critici di domani, crescerà bene.
La relazione è educativa se si fonda su un’informazione che consenta allo studente di perfezionarsi attraverso un processo di identificazione ottimale, “nessun dialogo, nessuna autentica comunicazione potrà aver luogo se gli individui che vi partecipano non sanno o non vogliono costruire sè stessi e si limitano ad assu­mere una specie di maschera aggiuntiva che inganna o allontana gli altri” (Ibidem). Per un educatore è molto importante sapere come la sua presenza, il suo modo di essere in classe, possano influenzare l’identità stessa dell’alunno; non di rado si pensa che il ragazzo abbia già una sua identità, un’immagine di sé ben definita, sicché si ritiene che la scuola, in generale, e il rapporto con l’insegnante, in particolare, non intacchino minimamente qualcosa che già pree­siste. Il docente, in effetti, non dovrebbe mai dimenticare che l’alunno è una realtà in continua evoluzione e che il processo attraverso cui egli perviene alla percezione del suo sé, e, quindi, della sua stessa immagine, è qualcosa di molto complesso in cui gli “altri”, cioè i genitori, i familiari, i compagni, l’insegnante hanno un ruolo fondamentale e decisivo.
La Scuola Superiore, più specificatamente, deve preparare alla scelta e all’esercizio di una professione, ma tenendo presente, tra le sue finalità fondamentali, l’orientamento che “mira all’esercizio della libertà e della responsabilità dell’educando nel grado e nelle forme in cui egli, grazie all’azione educativa, è in quel momento capace” (G. Zanniello). I docenti, se coinvolgono i propri alunni in dialoghi profondi, si mostrano informati dei loro bisogni, possiedono competenze specifiche nella loro disciplina, contribuiscono al facile avvio del processo di identificazione. Nel delicato periodo adolescenziale, inoltre, i ragazzi si sentono attratti da modelli, valori e norme di condotta nuovi, interagiscono con i loro simili, si sganciano progressivamente dai genitori, entrano in comitive organizzate o spontanee, trovano un adulto che li stimola ad approfondire temi religiosi, sociali, politici, umanitari finora mai toccati e scoprono in lui un nuovo “eroe”. Quest’ultimo, ora giudice severo e autoritario, ora immagine particolarmente cara e stimata, sia nell’uno che nell’altro caso, non è mai una figura marginale nel panorama sociale di un ragazzo, diventa un leader che, agli occhi di lui, riveste sempre una significativa valenza sul piano affettivo ed emotivo. In quest’idolo, il ragazzo cerca di “rispecchiar­si” per auto-percepirsi, per imparare a definire meglio i contorni della propria “identità”; quanto più significativa sarà la relazio­ne in cui la comunicazione avviene, tanto più essa inciderà nel processo di auto percezione.
Gli adolescenti, infatti, non avversano aprioristicamente i valori degli adulti, quanto piuttosto i modi in cui essi li propongono, è l’incomunicabilità che ostacola il lavoro degli educatori, che aggrava lo stato confusionale dei ragazzi dominati dall’incertezza, che li espone alle insidie e a eventuali influssi negativi di coetanei. Mi sarà possibile trasformarmi in questa figura altamente signifi­cativa, tanto da potenziare il livello di stima che lo studente avrà di sé? Hoc <est> in votis (Orazio) e, pertanto, gli ingredienti di cui mi rifornirò saranno l’incoraggiamento, la motivazione, la fiducia, il rispetto, la comprensione ma, soprattutto, l’empatia … Cercherò di “ascoltare” i silenzi assordanti di sguardi carichi di angoscia e ansiosi di luce di ragazzi che, pur consapevoli delle loro caratteristiche intellettuali, sociali e psicoaffettive, chiedono di essere accompagnati, con successo, nel loro iter educativo verso l’età adulta. Entrare in contatto profondo con l’adolescente, prendersi cura di lui, far sì che questi si senta catturato al punto da immedesimarsi con l’educatore, da avvertirne la presenza e considerarla parte di sé sono, infatti, strategie ideali che infondono tranquillità allo studente in questo momento psicologicamente fragile e incerto della sua vita.

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Clizia Sardo