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Comportamento

Peculiarità del Turismo Religioso

Risale soltanto al 2002 la prima indagine italiana relativa al turismo religioso. Venne commissionata da Federalberghi alla Mercury e ne risultò un quadro interessante: si parlava infatti di un segmento che sviluppava un business da 3,5 milioni di euro l´anno, pari al 5% del fatturato del comparto turistico.
Non più di una ventina le località di spicco nel nostro paese, tra di esse San Giovanni Rotondo, Assisi, Loreto e Pompei, per una tipologia di viaggio che si consumava in un tempo molto breve la cui componente unica o prevalentemente religiosa rappresentava in Italia circa l’1% del totale. Le regioni, ancora adesso, più interessate dal fenomeno sono Umbria, Lazio, Veneto e Toscana.
Attratte naturalmente le categorie produttive da un segmento capace di generare non soltanto ricchezza ma flussi turistici anche in bassa stagione, assai appetibili per le imprese alberghiere e le diverse realtà economiche del settore. Il primo periodo scelto per i pellegrinaggi è l’estate, ma le gite sono rilevanti anche in primavera (44,5%) e in autunno con un numero elevato di partecipanti al viaggio (dalle 26 alle 50 persone in tre casi su quattro).
Un trend che ha proseguito in continua crescita (lo testimonia la nascita della prima Borsa internazionale del Turismo religioso, nata quasi fisiologicamente a San Giovanni Rotondo) interessando, com’è naturale, non soltanto l’incoming ma anche l’outgoing. Ne sono ben coscienti in Spagna che lo scorso anno è stata la destinazione più richiesta da diocesi, parrocchie e associazioni religiose italiane. A livello europeo infatti la Spagna è diventata leader con il 41,2% delle preferenze superando largamente la Francia (29,9%) e il Portogallo (22,7%). Fra l’altro, secondo i dati 2004, la prima località scelta per il pellegrinaggio è Santiago di Compostela, seguita da Lourdes (35,6%) e da Fátima (29,8%).
Parliamo di cifre, a titolo esemplificativo. La Galizia è stata visitata nel 1998 da oltre tre milioni di turisti; diventati più di cinque milioni nel ‘99 e quasi sei e mezzo nel 2004. Se si guarda ai soli dati del santuario emerge che, nel periodo preso in considerazione, mentre il turismo complessivo in Galizia è raddoppiato, quello specifico verso Santiago si è moltiplicato per sei.
Un po’ dappertutto i numeri mostrano quanto possa essere ragione di promozione turistica la presenza di un santuario in una regione. Basta pensare anche in questo caso a S. Giovanni Rotondo, località che regola gli investimenti in infrastrutture quasi esclusivamente in vista dei movimenti di pellegrini. E anche la laicissima Toscana ha pubblicato con giusta enfasi una guida dedicata ai “Luoghi della Fede”.
Si tratta infatti di un fenomeno molto più ampio di quanto può sembrare. Sono 35 milioni gli italiani che ogni anno viaggiano alla scoperta dei tanti santuari, monasteri ed eremi disseminati nel nostro paese. E si tratta di circa 100 mila chiese e oltre mille e settecento santuari. Se 14 milioni sono i pellegrini poi, altri 21 milioni compongono il folto gruppo di coloro che viaggiano per motivi culturali, i cosiddetti “turisti della fede” appunto, che scelgono, per le loro vacanze, di soggiornare in monasteri, eremi, case d´accoglienza e di visitare musei, santuari, conventi.
Il turismo religioso è comunque particolare per le motivazioni che lo muovono, che sono di ordine eminentemente spirituale. E non bisogna pensare a un microambiente dove la terza età impera, anzi. Una voce particolare in questi movimenti è quella dei giovani che, e lo hanno dimostrato anche la scorsa estate a Colonia, desiderano sempre più ritrovarsi motivati da una comune condivisione dei valori.
I vescovi italiani, già nel 1990 nelle “Dichiarazioni sul turismo”, avevano riconosciuto “l’importanza del turismo per lo sviluppo dell’uomo, per l’incontro tra popoli diversi e per la crescita della comunità internazionale oltre ogni frontiera, lingua, nazionalità”. E come sulle sue linee “si possono riscoprire non solo le tracce preziose dell’arte e della complessità storica europea, ma anche le comuni radici spirituali dei nostri popoli e delle nostre nazioni”.
Ma tornando all’identificazione dei fattori condizionanti questi flussi, la loro individuazione non è facile. Neppure per Monsignor Giuseppe Anfossi, Vescovo di Aosta, e incaricato della Conferenza Episcopale Piemontese per il Turismo, che in un’intervista dice “Le motivazioni sono complesse e le esperienze scelte differenti da persona a persona. C´è chi cerca oasi dove potersi fermare in silenzio, c´è chi vuole essere in compagnia di monaci o monache per partecipare alla loro preghiera e alla loro vita; c´è in tutti il desiderio di condividere la propria visione della vita. Alcuni, e non sono pochi, hanno bisogno di parlare perché stanno vivendo momenti difficili nella loro esistenza. Infine credo che ci sia un forte desiderio di pregare e di ascoltare la Parola di Dio letta e commentata”.
Ma la domanda non è di poco conto. “La mobilità è una rilevante chiave interpretativa dell´esistenza umana. Essa manifesta, al di là del puro movimento fisico, la presenza di un´istanza profonda, primordiale e ultima, che induce a considerare la vita come un cammino, tale da coinvolgere l´uomo nelle componenti fondamentali del suo essere”. Lo dice la Commissione Ecclesiale per la Pastorale del Tempo Libero, Turismo e Sport della CEI. “All’interno di questa generale tensione alla mobilità si colloca quella legata propriamente a motivi religiosi, che dà espressione all´anelito interiore ad uscire da sé per un contatto con il trascendente”.
Si assiste infatti, in una società sempre più orientata all’apparire che ha contrapposto i reality alla realtà, ad una maggiore riscoperta di valori interiori con un recupero di spiritualità, di pensiero e di riflessione. Una spiritualità diffusa che è alla ricerca di luoghi dell’anima, non necessariamente vicini, sia logisticamente che alla nostra tradizione e cultura.
Va detto che storicamente i pellegrinaggi rappresentano uno degli esempi più semplici e antichi di turismo: con il Cristianesimo, (ma anche prima come testimoniano i fedeli che nel lontano Egitto si recavano al tempio di Menfi) questa consuetudine si diffuse acquistando un più alto significato spirituale, connaturato a valenze storico artistiche di assoluto rilievo. In altri casi, più recenti, quello spirituale è addirittura esclusivo mancando del tutto qualsiasi motivazione diversa (Lourdes, Fatima, Lisieux, Loreto, Montserrat o Medjugorje).
“Nel turismo religioso – scrive il Rev. Prof. Carlo Chenis, Segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa – la meta non riveste solamente un interesse culturale, in quanto attraverso le vestigia esteriori si vuole raggiungere la spiritualità di cui esse sono espressione. Si riconosce dunque nel patrimonio storico-artistico di una religione, e nella fattispecie del cristianesimo, un valore condiviso e uno stimolo per la propria ricerca di Dio”.
E ci piace concludere con queste sue parole “Il turismo religioso inoltra nei recinti dello spirito. La via dell´arte permette di incarnare fugacemente il divino”.

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