Ancora oggi, nelle scuole, si fa fatica ad affrontare la tematica dell’identità di genere e, ancor più, del rapporto tra le persone omosessuali ed il proprio corpo.
La mancanza di sensibilizzazione nei confronti di tale tematica comporta una presenza massiccia di luoghi comuni, i quali attribuiscono alle persone omosessuali un sentimento di alienazione ed estraneità nei confronti del proprio corpo, che li porta ad una identificazione in corpi con genere sessuale opposto al proprio.
Di qui, lo scatenarsi in loro di una elevata frustrazione, dalla quale cercano di fuggire con una ricerca esasperata di un aspetto che non gli potrà mai appartenere: così, inutilmente, i gay, ostenteranno atteggiamenti di vanitosa ed eccentrica effeminatezza mentre le lesbiche, che un pregiudizio retrogrado considera ancora come uomini “mancati” in costante competizione con gli uomini “veri”, in ogni ambito della vita lavorativa ed extra, esalteranno atteggiamenti di goffa e smodata virilità.
E’ gergo comune sentire frasi del tipo “quella donna ha le palle” per intendere la sua capacità di farsi valere, caratteristica attribuita per “natura” all’uomo, mentre la personalità femminile è tradizionalmente ritenuta insicura e soggetta all’intimidazione; ed esiste purtroppo una vasta terminologia offensiva nei confronti delle persone omosessuali utilizzata per far spiritosaggine, per creare humour becero che finisce, invece, con lo scatenare forme di intolleranza sociale.
Anche le recenti battute “irrispettose”, provenienti da ambienti istituzionali, stanno a sottintendere una visione fortemente negativa degli uomini gay, considerati come esseri incompleti nella propria identità di genere e, per questo, destinati ad essere dei disadattati, sia sul piano sessuale che su quello sociale.
Voglio allora a questo riguardo ricordare come gli studi psicologici evidenzino una posizione del tutto differente: la persona omosessuale accetta il proprio corpo, lo ama e non desidera cambiarlo, vivendolo secondo la medesima armonia ed equilibrio della persona eterosessuale.
L’omosessualità è solo il diverso orientamento di una medesima sessualità, una variante dello sviluppo psicosessuale, non associata ad alcun disturbo psicopatologico e, pertanto, da ritenersi con uno status equivalente a quello dell’eterosessualità.
Le persone omosessuali sono tra loro diverse esattamente come quelle eterosessuali.
L’omosessualità non è un problema sociale, lo diventa nel momento in cui l’individuo omosessuale interagisce con un ambiente ignorante, poco restio al rispetto della diversità di qualsivoglia tipo, retrogrado sia dal punto di vista culturale che da quello civile.
Rispettare vuol dire innanzitutto conoscere, altrimenti si rischia di rimanere sul medesimo terreno pregiudiziale che, stando a non pochi e recenti fatti di cronaca in Italia e all’estero, sta rinforzandosi notevolmente.
Occorre dunque sensibilizzare le istituzioni educative che rischiano spesso di trasformarsi in luoghi di silenzio diseducativo e non in posti dove prevale il dialogo, fatto di confronto, di riconoscimento e di accoglienza delle diversità intese come ricchezze.
Episodi non isolati di bullismo, di violenza e di prevaricazione dei più forti e più aggressivi, spesso solo più omologati e alla moda, sui più deboli stanno a testimoniare l’assenteismo di insegnanti ed educatori, fatto di falso rispetto, di silenzi di “comodo” che, di fronte ad episodi di barbara efferatezza, lasciano il posto a manifestazioni di ipocrita stupore, reso palese da domande del tipo “ma come è potuto accadere? Sembravano tanto bravi ragazzi”, oppure a forme di aperta ostilità nei confronti del più debole e del diverso, attribuendogli problemi mentali, curabili in altri ambiti di cui la scuola non ha affatto competenze.
La questione della crescita del ragazzo/ragazza omosessuale, della difficile formazione della sua identità è il prodotto dapprima di un processo esterno (come mi vedono gli altri) per poi proseguire all’interno (come mi vedo, come rifletto su di me, sui miei interessi, i miei valori, quello che vorrei essere).
La psicologia insegna che se non vi è un riconoscimento di sé da parte della realtà esterna (genitori educatori, amici), non potrà esserci nemmeno un auto-riconoscimento e, di conseguenza un’autoaccettazione ed un’autostima.
E’ chiaro che la sfera psico-sessuale è una parte importante dell’identità di una persona; se dall’esterno la propria diversità sessuale viene giudicata male, svalorizzata, condannata o, semplicemente vista come un disagio relazionale, il giovane tenderà a nasconderla e prima ancora a non riconoscerla come parte integrante di sé.
Gli atteggiamenti ed i valori sono un’altra parte importante dell’identità; essi tuttavia si acquisiscono dall’esterno, attraverso il processo di socializzazione.
Se questi valori ed atteggiamenti sono di aperta condanna nei confronti dell’orientamento omosessuale, si verificherà nel giovane, dapprima un conflitto interno a livello di identità, dal quale succederanno reazioni ossessive di fuga, di omofobia o, al contrario, di coraggiose scelte di coming out (“uscire allo scoperto”), sebbene, in quest’ultimo caso, il giovane si rassegni ad una aspettativa di vita fatta di emarginazione sociale e relazionale.
E’ qui che le istituzioni educative devono muoversi, garantendo un aperto sostegno ai giovani che vogliano rivelare la propria identità e parlare apertamente della propria diversità, incoraggiandoli a venire allo scoperto perché non è condannabile dal punto di vista civile e morale essere omosessuale, né essere di un’etnia o di una religione diversa.
Bisogna far passare il messaggio che la scuola è il luogo “dell’etica dell’accoglienza”, così definita da Galimberti, secondo il quale la diversità è il terreno su cui far crescere le decisioni etiche, di apertura dei confini della conoscenza verso l’altro, di superamento delle convenzionalità:
“…essi devono spiegare che il “prossimo” sarà sempre meno specchio di noi e sempre un altro, per cui tutti saremo obbligati a fare i conti con la differenza…la diversità sarà il terreno su cui far crescere le decisioni etiche, mentre le leggi del territorio si attorciglieranno come i rami secchi di un albero inaridito. Fine del legalismo e quindi dell’uomo come l’abisso conosciuto sotto il rivestimento della comunità omogenea e protetta, e nascita di quell’uomo più difficile da collocare, perché portatore di differenze sessuali. Religiose, etniche, in uno spazio che non è garantito neppure dall’aristotelico cielo delle stelle fisse, perché anche questo è tramontato per noi”.
A questo riguardo è necessario che la famiglia non si omologhi ai modelli valoriali dell’ambiente sociale in cui si vive, cercando di considerare da subito la diversità del figlio come una malattia di cui devono prendersi cura gli psicologi ed i medici; l’atteggiamento della famiglia deve essere invece di piena accettazione di questa diversità proprio perché essa non implica una mancanza di qualcosa, una carenza fisica, organica, né è la fonte di disagi psico-emotivi, bensì è una componente che dà al figlio o alla figlia una forte spinta verso la la propria autorealizzazione.
Anche sul fronte mediatico, l’Italia dovrebbe assumere un differente approccio che consenta lo sviluppo di una cultura non più cabarettistica e voieristica nei confronti delle persone omosessuali, ma implicante una riflessione ed un’analisi rispettosa ed empatica delle loro emozioni, senza considerare come aliene le scene di coinvolgimenti emotivi quali baci, abbracci,ecc.
La tv attuale, o meglio chi gestisce i programmi televisivi, non è ancora in grado di accettare e tollerare tali scene.
Pensiamo per esempio al film andato in onda qualche anno fa su Rai Due “I segreti di Brokeback Mountain”: trasmesso in seconda serata con tutte le scene più intime tagliate, col risultato di rendere piatto e senza senso il vissuto dei due personaggi, al punto che lo spettatore non ha potuto leggere le loro emozioni, ciò che significava per loro quella relazione, fatta di reciproco affetto, sensualità e sintonia insieme.
La loro storia è stata invece letta come strana, aliena, creando in tal modo disagio piuttosto che coinvolgimento o identificazione.
Bibliografia
1.Pietrantoni L., L’offesa peggiore, Ed. Del Cerro, Pisa, 1999.
2.Del Favero R., Palomba M., Identità diverse, Ed. Kappa, Roma, 1996.
3.Galimberti U., “La colpa di difendere i diversi” in La Repubblica, 22/02/2001, p.14.