Come sociologa sono convinta dell’importanza che il bambino occupi uno spazio attivo in ambito giudiziario (ma non solo), che sia ascoltato e che ci sia chi da voce ai suoi pensieri.
Il giudice ha questo ruolo, sopperisce al non ascolto genitoriale.
Tuttavia l’ascolto non si esaurisce nel “capire” cosa il bambino “preferirebbe” per poi decidere per il suo meglio in virtù del proprio ruolo.
Il giudice prende atto delle sue parole ma non dovrebbe lasciarsene influenzare.
Questo è possibile?
Tra il serio e il faceto mi piace ricordare i film americani.. l’avvocato dice qualcosa di saliente, la contro parte fa obiezione e il giudice “obiezione accolta” oppure “obiezione respinta. La giuria non tenga conto delle ultime parole..” il che sociologicamente non è possibile, si chiama “effetto primacy”.. rimane ciò che è stato detto per primo e si dimentica la seconda parte.. per la giuria è come se l’obiezione fosse accolta e per l’avvocato è una tecnica di comunicazione consapevole per vincere.
Cos’è di fatto l’ascolto?
Oggi esistono moltissime professioni “nuove” di Ascolto, il Counseling ne è un esempio.
Forse “ascoltare” è persino un verbo inflazionato.
Definizione da vocabolario è “sentire con interesse e attenzione”.
Eppure l’ascolto del bambino è il presupposto della sua crescita e l’ascolto dell’adulto è la riduzione del conflitto.
Oggi cerco di creare uno spunto di riflessione per considerare modi diversi di ascolto del minore con risultati e sfaccettature diverse rispetto all’udienza presidenziale.
Parlo di modi diversi e non alternativi perché non possiamo né dobbiamo dimenticare che l’ascolto in tribunale a volte è l’unica o l’ultima possibilità per il minore di essere rispettato nei suoi pensieri e come persona.
Desidero invece auspicarmi che là dove possibile si riconosca e si affermi il diritto di ascolto in altre dimensioni, ancora prima dell’aula giudiziaria.
Fermarsi prima è ascoltare di più.
Voglio tuttavia sottolineare che TUTTA LA MEDIAZIONE E’ ASCOLTO DEL MINORE.
Prima di entrare nel vivo della mia relazione è necessario comunque un breve excursus sulla concezione dell’infanzia e della famiglia nel tempo.
Poter capire cosa e come venga considerato l’ascolto del minore in Mediazione Familiare implica infatti un inquadramento concettuale dovuto, anche se rapido e non esaustivo.
Che cos’è un bambino, oggi? Come si concilia la genitorialità?
Per quanto possa apparire una domanda dalla risposta ovvia, ciò in realtà non è.
Nei secoli infatti è stata la cultura a definire e a plasmare l’idea di bambino (e ancora oggi in un certo senso lo fa) nelle diverse culture.
Nell’antichità il bambino era un’entità in parte informe e non umana del tutto.
Per Sant’Agostino una manifestazione della natura incompleta, manchevole e impura.
D’altro canto il Medioevo lo vede come il canale privilegiato di comunicazione con il divino mentre nel periodo che è seguito c’è stata un’ambiguità profonda sulla sua natura, disciplinata dagli adulti(controriforma e scuole cattoliche) nell’allora definita “scolarizzazione”, educare plasmandolo verso l’essere adulto così come l’adulto nelle diverse società si aspettava che diventasse.
Nel 1989 la Convenzione ONU afferma la necessità di tutelare l’infanzia riconoscendo al bambino il diritto di pensiero, di espressione, autonomia e soggettività giuridica.
Uno degli aspetti più innovativi, nel contesto della personalità del fanciullo, è l’attestazione del suo diritto a partecipare in prima persona alla propria formazione e alle scelte che lo riguardano.
La centralità dei diritti dei bambini finisce per trasformare l’intera relazione genitori-figli, nel senso che sarebbero i minori stessi, in base al grado di maturità raggiunta, a definire autonomamente quale sia il loro migliore interesse, lasciando al potere genitoriale la funzione di orientamento in un processo di “autodeterminazione dinamica”.
La convenzione ONU non solo rende i piccoli uomini titolari di pieni diritti, quanto piuttosto li colloca al centro della famiglia
Quanto a questo passaggio storico però credo comunque che gli avvocati siano di gran lunga più preparati di me.
Nella convenzione Onu si indica chiaramente che in tutti i procedimenti giuridico amministrativi che coinvolgono il minore, questo ha il diritto di essere ascoltato direttamente e indirettamente, e gli adulti hanno il dovere di farlo.
Ancora oggi tuttavia c’è un loquace dibattito tra coloro i quali ritengono l’audizione inattendibile per l’immaturità del bambino (e che credono ne segua di necessità un trauma) e coloro i quali ne ritengono invece la partecipazione necessaria e giusta (anche basandosi sulla capacità di resilienza, sia individuale che familiare).
Io sia come Sociologo sia come Mediatrice mi sento vicina a questo pensiero piuttosto che all’altro.
Per i non addetti ai lavori comunque la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici e di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà.
Tuttavia, causa ne sono i nostri pre-giudici (nel senso Kantiano del termine)ascoltare il minore è comunque sempre e a prescindere un evento complesso e multidisciplinare così come lo è la separazione che come evento sociale impone dei costi economici e strutturali, non solo alla famiglia, basti pensare al gratuito patrocinio, agli psicologi o agli psicoterapeuti dell’età evolutiva che potrebbero intervenire dopo, ma anche ai criminologi nel peggiore dei casi.
Quanto all’impatto sulla società, ne vanno considerati i mutamenti enormi, spesso disgreganti che come raccolti in un loop diventano poi precursori del conflitto.
La società infatti che inizialmente si era fondata sulla Famiglia e vedeva nei bambini il suo futuro, la sua evoluzione, si basava sulla chiara distinzione dei ruoli, in alcuni casi seguendo il ciclo biologico, cura del figlio- madre e lavoro-padre.
Nel tempo si è arrivati invece ad una esacerbata ambiguità, causa della fragilità di sistema, e in un certo senso al paradosso di cercare nel nuovo il vecchio (vedi la spasmodica inaccettabilità per un certo strato sociale di adeguarsi senza ribellarsi all’ambiguità dei ruoli- da qui la frustrazione, il senso di impotenza, la violenza sempre più estrema)
A livello sociologico è un reale ribaltamento che trova il suo acme sia nella famiglia ricomposta sia nei genitori single di ritorno.
In questa nuova impostazione della vita i nonni che prima erano solo fonte di cultura, tradizioni e ascolto per i nipoti ora sono solo quasi esclusivamente fonte economica di sostegno per i figli (e ben venga che ci siano!)ma troppo impegnati e stanchi per una reale attenzione al dialogo generazionale.
La separazione in molti casi segna il ritorno nella famiglia di origine, con una conseguente e ancora più definita ambiguità tra chi è genitore e chi è figlio.
Molte separazioni tra l’altro sono causate proprio dalla convivenza forzata dei coniugi con la famiglia di origine, in vista delle congiunture di crisi socio-economiche
Per altro però il concetto comune che abbiamo della famiglia rimane la composizione del padre, della madre e dei figli.
Cosa tra l’altro oggi discutibile(e discussa) se si considerano le coppie omosessuali che desiderano e riescono ad avere bambini, se non Italia in altri paesi europei.
Come Mediatrice intervengo anche a ristabilire la comunicazione tra questi partner e la società per ricostruire la genitorialità, in ordine per quanto ciò sia possibile al senso comune, riducendo il conflitto endemico.
In realtà qualsiasi relazione e a qualsiasi livello è definita dalla comunicazione, o meglio lo era prima della velocizzazione del tempo nella ricerca assoluta della produttività, esaurita per altro.
L’ascolto è il momento principale della comunicazione ed è soggetto all’interpretazione più di quanto si pensi( il mediatore deve avere una preparazione adeguata, affinata da un preciso e circostanziato lavoro personale, soprattutto sul pregiudizio culturale)
Un grande sociologo, e perdonate i riferimenti sociologici ma sono importanti per capire le dinamiche della famiglia non solo psicologiche, quanto contestuali e di comunicazione, nonché il rapporto genitori-figli e nonni. Dicevo un grande sociologo del secolo scorso N.Lhumann nel 1986 scriveva “il successo della comunicazione è un evento altamente improbabile”, è selezione di selezioni che nascono dall’interpretazione spesso aberrante e rumorosa, così come la teoria cibernetica da Wiener a Bateson intendeva.
Ascoltare e capire dipende da.. il mondo delle sensazioni, delle emozioni, dei bisogni, degli stati d’animo, dell’empatia e dal background culturale di ciascuno di noi.
Ognuno ha di fatto il suo bagaglio e i suoi limiti che vanno necessariamente a riflettersi sull’altro.
I genitori per primi proiettano se stessi sui figli, non solo nella separazione ma anche in tutto l’arco della loro crescita.
L’ascolto attivo e reale del bambino dovrebbe infatti trovare la sua genesi fin da subito nell’ambito famigliare, e invece troppo spesso, ciò non accade.
La mediazione familiare è dunque un’opportunità in più perché ciò avvenga.
Studi che sto conducendo nelle scuole dell’infanzia dimostrano l’incapacità dei genitori di rapportarsi ai loro bambini come soggetti capaci di interagire e dai quali imparare oltre che ai quali insegnare.
La ricerca, tra l’altro ancora in atto, segnala l’importanza dell’ascolto del bambino e la fiducia nella sua capacità di inserirsi e interagire nel sistema.
Sto di fatto introducendo la Pet Activity in aula per insegnare ai bambini ad attirare l’attenzione dei genitori sui loro bisogni, stimolando l’intera famiglia a riconoscere le proprie emozioni.
L’ascolto limitato di fatto influenza negativamente le dinamiche famigliari tanto da essere stimolo alla separazione piuttosto che alla crescita.
Sembra scontato sapere cosa si prova in un determinato momento e invece spesso non lo è.
Goleman lavora molto sul riconoscimento delle proprie emozioni e sull’educazione a queste, soprattutto nei bambini.
I coniugi mostrano rabbia e risentimento dietro a pretese economiche o di assolutismo nella gestione dei figli, i cui bisogni si perdono dentro i bisogni dei genitori.
Il danno al minore infatti non deriva dalla separazione in sé e per sé, ma dall’evoluzione conflittuale della separazione, dal modo in cui i genitori si separano.
Se ascoltare il bambino per la legge significa riconoscere il suo pieno diritto a difendere i suoi interessi ad avere una famiglia, ascoltare il bambino per la mediazione significa andare al di là delle sue parole e mostrare quel nuovo mondo ai genitori perché ne prendano consapevolezza.
In moltissimi casi ciò che si ascolta sono infatti le parole dimenticando che il linguaggio verbale rappresenta solo il 7% dell’intera possibilità di comunicare.
Pertanto l’aspetto che non siamo abituati ad ascoltare è l’aspetto più importante in una separazione, e non solo.
Durante l’audizione di fronte al giudice un ragazzo confessò (con tanto di cartella excel preparata il giorno precedente)di voler dividere il suo tempo giorno per giorno tra il padre e la madre.
Pensate allo squassamento della sua vita come adolescente, le sue cose i suoi amici divisi non a metà ma ad un settimo della settimana.
Se le parole del giudice ai genitori furono “ a me pare inquietante che vostro figlio sia giunto a tanto!”, i genitori invece dimostrarono orgoglio per il ragazzo nel vedere in lui tanta lealtà.
Ebbene il giudice ha potuto ascoltare il bambino e poi decidere per il suo “meglio”.
Il padre e la madre hanno dovuto accettare (fino a che punto?)la decisione del giudice, continuando a vivere però nelle loro aberranti convinzioni, dettate dalla rabbia delle circostanze.
In questo senso infatti ciò che non possono fare i coniugi è “toccare con mano” quanto il bambino sia costretto alla lealtà verso di loro (per quanto gli riesca verso entrambi!)al di sopra della propria volontà e desiderio.
I bambini di fatto sono parte di un sistema che li influenza e che loro influenzano, capirli significa capirli in relazione al sistema, quindi ai genitori.
La legge può sentire la loro versione, il loro cosciente desiderio, la mediazione permette di andare oltre.
Sottolineo la mediazione e non la psicologia perché mediare non significa andare a fondo del sistema psiche, carpire il dolore e la sofferenza segnata nel tempo.
Mediare significa invece ascoltare il qui e ora, dando una voce alle difficoltà reali, non dette, dei bambini, in vista della costruzione di un futuro pratico e consapevole.
La legge non contestualizza l’ascolto, o meglio lo può fare in relazione all’ascolto dei genitori e alla lettura dei relativi fascicoli ma la contestualizzazione può essere e sarà solo verbale, per quanto i giudici (e a Pisa lo sono!) siano predisposti realmente a capire.
Il mediatore ha invece la possibilità dell’ascolto congiunto, dinamico e relazionale, permettendo anche ai coniugi di prender atto della bellezza del proprio figlio come loro unione e nella necessità del rispetto dovuto all’altro genitore perché una parte del proprio bambino.
Un padre e una madre insieme in mediazione da me dopo l’analisi del disegno congiunto si sono detti (guardandosi) “ cerchiamo di dare il meglio di noi alla bimba e non il peggio!”
Ascoltare i figli permette ai genitori di passare da una posizione di conflitto sugli stessi ad una collaborazione per loro.
L’intervento giudiziario per quanto sia esso stesso un’opportunità di riconoscere ai bambini il diritto ad esprimere la loro volontà e bisogni tuttavia non è adatto alla risoluzione del conflitto, andando a volte addirittura a confermare il pensiero dell’un genitore sull’altro e andando pertanto a rinforzare i meccanismi di triangolazione tra i coniugi .
Per altro però non tutte le scuole di mediazione accolgono favorevolmente l’ascolto del minore.
Io personalmente derivo da una scuola a formazione globale trigenerazionale, cioè mi occupo delle relazioni genitori-figli; nonni- nipoti.
Il Prof. Dino Mazzei, psicologo, sottolinea l’importanza di convocare i bambini in mediazione (seppur non subito ) non tanto per far conoscere con le parole , quanto piuttosto per far vedere con le relazioni, ai genitori gli aspetti nascosti della loro genitorialità.
Per sottolineare quanto sia importante l’immagine come presa d’atto possiamo portare ad esempio un padre che pur sapendo che il bambino va male a scuola, tuttavia ne prende consapevolezza solo quando ha la pagella in mano(con relativo sobbalzo!)
In questo senso lavorare con i bambini nella relazione triadica significa da una parte mostrare la relazione stessa ai genitori, dando contemporaneamente voce ai piccoli, dall’altra parte interrompere la dicotomia “tu strumentalizzi il bambino io no.. il bambino vuole stare con me e con te no”.
Per quanto il giudice sia di buon senso, empatico e competente, per quanto nel tribunale di Pisa sia la Dott.ssa Sammarco che il Presidente seppure in modi completamente diversi tra di loro, siano concettualmente ottimi ascoltatori del minore, tuttavia anche se spesso supportati dall’ausilio di una psicologa in caso di scelta di bambini inferiori ai 12 anni, non possono sapere realmente quanto di ciò che il bambino dice sia dettato da reali bisogni o dall’unico fine del “fateli smettere.. non ne posso più”.
In mediazione di fatto non è il mediatore ad ascoltare ma a farlo sono invece i genitori, concretamente e forse per la prima volta, attraverso tecniche mirate (anche se io personalmente trovo parlare di “tecniche” qualcosa di estremamente riduttivo e non esaustivo di ciò che è l’ascolto attivo.)
Parlo più volentieri e con semplicità di “gioco di ruolo” e “disegno congiunto”
In entrambi i casi spesso si videoregistrano le sequenze per mostrarle poi ai genitori in un secondo tempo lasciando che siano loro , distanziandosi come terzi osservatori, a catturare il senso di ciò che è accaduto.
Entrambi gli strumenti ci permettono di valutare il grado di accordo-disaccordo in relazione alle risposte del bambino.
La seduta dopo il primo lavoro insieme è esclusivamente con la coppia che viene spronata a rivedere e parlare delle proprie emozioni , nonché a riconoscerle (cosa questa per niente scontata, per nessuno di noi).
In questo modo i genitori imparano a relazionarsi con le loro risorse oltre che con il bambino e a capire come poter migliorare la propria genitorialità.
Il video obbliga i partner a diventare ciò che in Sociologia si definisce il terzo osservatore e quindi a saper individuare le dinamiche della coppia prima da sola, poi con il bambino, del quale i coniugi imparano ad ascoltare simbolicamente la realtà vissuta e i bisogni da lui emersi per una crescita sana.
Non è forse la realizzazione dell’art.155 del Codice Civile là dove si legge “..Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice.”
Quanto al mediatore osservando ascolta, non interpreta e valuta le modalità di intervento per concretizzare la voce del bambino.
L’ascolto del minore è un ascolto empatico e attivo diverso, è un ascolto dinamico relazionale e per questo più obiettivo per quanto di obiettività si possa parlare mai.
Il “Lousanne triadic play” e il “Disegno congiunto” permettono di mettere in relazione e creare un legame tra il vissuto, l’immagine che tu(il coniuge) hai di noi(me e mio figlio) e l’immagine che io ho di voi (te e tuo figlio).
L’ascolto del minore in tribunale è .. “il giudice ascolta il bambino e ne prende atto”.
L’ascolto del bambino in mediazione è.. “i genitori ascoltano il bambino e imparano a costruire nuove relazioni, comprendendo i suoi bisogni, ma non solo..”
L’ascolto del bambino in mediazione soddisfa due risultati
Per prima cosa riconosce al bambino sia il ruolo di soggetto attivo nelle dinamiche familiari, che il diritto di partecipazione, sancito dalle norme legislative, in secondo luogo è anche una valida tecnica per aiutare la coppia al raggiungimento dell’obiettivo di continuare( a volte di cominciare) a fare i genitori insieme.
Non dimentichiamo che il divorzio è un processo psico-sociale multidimensionale (Cigoli 1998)composto da elementi:
– Strutturali
– Relazionali
– Contestuali
I cui effetti sui figli sono il prodotto di un insieme di eventi, sociali, economici, legali, psicologici e di relazione che si protraggono nel tempo e che possono andare ad amplificare lo stress legato alla separazione, attraverso le battaglie di triangolazione=alleanza=sensi di colpa.
E come detto nel principio della relazione TUTTA LA MEDIAZIONE E’ ASCOLTO DEL MINORE là dove lavora nell’interesse assoluto del bambino promuovendo la cooperazione tra i genitori, sensibilizzandoli a riconoscere il figlio come ente a sé e non proiezione delle loro necessità.
Ciò che i genitori imparano è la capacità di ascolto, ristabilendo la comunicazione.
Alcuni teorici della mediazione (Bernardini e Scaparro)escludono i bambini dagli incontri con i coniugi convinti che la loro partecipazione rappresenti una delega ai figli della responsabilità delle decisioni.
I promotori invece (Ardone 1999)controbattono affermando che includere il bambino nel processo non significa attribuirgli il potere decisionale, che invece permane nelle mani dei suoi genitori, ma rappresenta un metodo proprio per aiutare questi ultimi a costruire nuove capacità genitoriali.
Ovviamente il bambino interviene nella fase centrale, quando cioè la coppia è già più consapevole e tranquilla(e anche in questo l’ascolto del minore è diverso perché entra a conflitto sospeso anche se ancora non risolto) ma non partecipa alla stesura dell’accordo, e questo è ciò che lo libera dal peso di assumersi colpe e responsabilità per il futuro.
Tuttavia escludere i bambini dalla mediazione significa davvero escluderli dal conflitto, come sostengono coloro i quali ritengono pericoloso coinvolgerli nella mediazione familiare?
Contrariamente all’ascolto giuridico che non permette ai genitori di vedere davvero ma solo di prendere atto in modo obbligato e a volte superficiale delle necessità dei figli, in mediazione attraverso il gioco e/o il disegno i genitori riescono a assumersi di nuovo la responsabilità di loro competenza.
L’ascolto del bambino nello spazio protetto gli permette non solo di essere accolto nei suoi bisogni, ma di non essere escluso dal processo, esclusione che andrebbe a confermare le convinzioni di non essere capito o di non essere importante o addirittura esterno alla storia della sua famiglia.
Spesso infatti i genitori sono convinti che lasciarli fuori dal conflitto significa non dire e invece ciò li rende confusi e soli.
In mediazione al bambino viene dato davvero il ruolo attivo nelle dinamiche familiari così come auspicato dall’art.12della convenzione Onu del 1989.
Se i piccoli vanno ascoltati con molta attenzione, anche e soprattutto per gli adolescenti diventa importante partecipare alla mediazione perché in questo modo hanno un confronto e possono avere le informazioni giuste, sempre in relazione all’età e capacità discernitive.
L’ascolto del bambino in questo contesto è davvero l’opportunità di comprendere le dinamiche relazionali e quindi di poter aiutare la famiglia intera nel superamento di un momento tanto difficile e riuscire invece a organizzarsi per il nuovo futuro.
Differenza fondamentale rispetto all’ascolto in tribunale è che il giudice ascolta soprattutto le parole, la mediazione va oltre.
Sono stati effettuati degli studi e delle ricerche il cui risultato è a dir poco sconvolgente: il 93% della comunicazione è gestita dall’inconscio.
La parte razionale influenza il 7%.
Questo però non vuol dire che il linguaggio informativo non sia importante, anzi, provate a parlare con qualcuno solo gesticolando e senza esprimere un significato logico: probabilmente vi scambierà per pazzi.
Il linguaggio che di fatto caratterizza l’animale – uomo anche se solo per il 7%, tuttavia ha un’importanza rilevante, anche se non esaustiva, essendo alla base della nostra cultura nel tribunale di Pisa è molta l’attenzione al non verbale eppure a mio avviso ancora insufficiente.
Non è infatti possibile ricreare ivi le reazioni effettive nelle dinamiche familiari e non sarebbe tra l’altro neanche competenza di un giudice, né di un avvocato, farlo. .
Sia il “Triadic play” che il “Disegno congiunto” lavorando sui simboli e superando le parole permettono di osservare le alleanze funzionali e disfunzionali, cioè a dire riflettono sia la partecipazione (partecipano tutti?) che l’organizzazione(sono tutti nel loro ruolo?)che l’attenzione focale (prestano tutti attenzione al gioco?)che infine il contatto affettivo (c’è empatia?).
Un brevissimo excursus su entrambi gli strumenti può permettere una maggior comprensione di ciò che è un ascolto diverso rispetto all’audizione giudiziaria.
Il “Lousanne Triadic Play” si articola in quattro momenti.
A un genitore gioca con il bambino e l’altro sta in disparte
B i genitori si scambiano i ruoli
C i genitori interagiscono insieme con il figlio
D i genitori parlano tra loro senza coinvolgere il figlio.
La peculiarità del “Triadic Play” è di riuscire ad osservare le fasi di transizione e di passaggio di consegna tra un genitore e l’altro che sono le fasi di maggior peso in una separazione e che prevedono la capacità di preannunciarlo al bambino sia a gesti che a parole evitando le codifiche aberranti date da un movimento del partner che può essere compreso o percepito in modo tanto diverso dall’intenzionale quanto aggressivo. possibile.
Il Triadic è un gioco che permette di capire come i membri della famiglia si separano e come vengono gestite queste separazioni, mette a fuoco l’ansia dei genitori quando devono aspettare il loro turno, la capacità di interagire fra di loro e come e se il bambino
glielo consenta o meno, nonché infine come i bambini preparano i loro spostamenti dalla casa del padre a quella della madre e viceversa.
I bambini infatti reagiscono e condizionano gli eventi, rinforzando lo status quo delle cose.
Una distorsione Sociologica mi insegna che del resto ogni gesto condiziona, a prescindere, la risposta dell’altro nell’interazione ed è questo che rende necessario lo studio dei gruppi, le dinamiche sia relazionali che affettive.
Altra tecnica simbolica di recente usata in mediazione è poi il Disegno congiunto, la cui finalità originaria era di strumento peritale nel CTU.
Tuttavia evolve come analisi della dinamica relazionale della famiglia in altri setting , psicoterapeutico piuttosto che per l’appunto la mediazione familiare.
Ricordiamoci che la mediazione familiare si differenzia da ogni altra analisi proprio perché è responsabilizzazione della genitorialità nella crescita dei figli, non relaziona al giudice e dunque non è etero direttiva, ma sostiene invece l’autopoiesi della coppia servendosi
dell’arte della maieutica.
Sono i genitori a prendere consapevolezza diretta e non attraverso una sentenza né ad un intervento sia di ordine psichiatrico che di parte, oltre al fatto che la mediazione se condotta in modo professionale ma con buon senso può diventare un momento di
gioco, di svago, una novità in cui il bambino per la prima volta dall’inizio della separazione ha modo di raffrontarsi con la situazione e con il dialogo.
Ovviamente il figlio deve essere preparato dai genitori, che acquisteranno gli strumenti per farlo proprio negli incontri precedenti con il mediatore.
Strumenti che non hanno nel momento in cui il piccolo viene ascoltato nelle udienze presidenziali.
Nello specifico poi i bambini accolgono di buon grado l’incontro nel setting di mediazione che niente ha a che vedere con lo studio di una psicologa piuttosto che l’aula di un tribunale.
Il mio studio per esempio è piccolo, con tre poltroncine chiare che all’occorrenza si spostano tutti insieme per creare un ampio spazio sul pavimento dove tutti i membri della famiglia possono sbizzarrirsi nel loro immaginario.
Spostare le poltrone insieme di per sé crea complicità, diventa un incontro familiare, qualcosa che mette il piccolo a suo agio da subito, è qualcosa che fa insieme ai genitori.
Sarebbe lungo e complesso entrare nell’ambito dei simboli familiari, casa, piuttosto che oggetti in casa piuttosto che soldi, se anche persino gli avvocati di famiglia dovrebbero a grandi linee conoscere e conoscerne l’importanza.
Non dimentichiamoci tuttavia che anche nel mondo della mediazione è controverso l’ascolto del minore.
Vanno di fatto valutati i rischi tra i quali possiamo ricordare:
-rischio per il mediatore di triangolazione fra i genitori e i figli
-rischio di confondere il ruolo di mediatore con altri ruoli
– e tra l’altro i genitori potrebbero essere incapaci di gestire la propria sofferenza di fronte ai bambini.
Un altro rischio, non di minore importanza e tuttavia dalle diverse e innumerevoli sfaccettature è il feedback che i genitori hanno dai figli, che da una parte può essere disgregante, dall’altra invece l’inizio di una reale empatia.
Quanto a me invece ritengo che i vantaggi siano di gran lunga superiori.
La maggioranza dei ragazzi dice che questi incontri li ha aiutati (e non solo nella separazione quanto nella crescita).
Pensate a quanto è necessario per ciascuno di noi conoscere gli eventi in cui ci muoviamo, pensate alla paura dell’ignoto, al non sapere come e cosa scegliere, a non sapere come reagire e contro chi difendersi.
La conoscenza, le informazioni sono fondamentali e naturali e non solo per l’uomo.
L’adattamento consegue alla conoscenza e forma il carattere, la forza.
I dati e le informazioni permettono di andare oltre l’interpretazione dei fatti, che per natura umana è sempre peggiore dei fatti stessi.
Pensate poi alla necessità di ognuno di noi di essere “visto” nei nostri sentimenti, di essere ascoltato nelle nostre manifestazioni di disagio e di quanto questo significhi rispetto per noi, come persone complete.
Riflettiamo sul fatto che se non riusciamo ad esprimerci, quell’espressione emerge comunque.. disfunzioni alimentari, malattie psicosomatiche..
Essere ascoltati in modo attivo e non solo nelle nostre parole significa non falsare i rapporti, crearne invece di sani.. aiutare la comprensione e l’empatia.
Essere empatici permette la non violenza.
Del resto, tra l’altro sempre in relazione all’ascolto in tribunale.. il giudice riconosce gli aspetti inquietanti..” i genitori “.. purtroppo continuano a vedere solo ciò che vogliono rinforzando le loro credenze e le loro posizioni, l’ascolto del minore in mediazione li aiuta invece ad interrompere il ciclo non virtuoso.
Infine per essere quasi esaustiva (molte altre parole andrebbero spese) va rammentato anche il Disegno Congiunto.
Questo prevede la realizzazione, da parte della famiglia al completo, di un disegno che rappresenti tutto il nucleo, così come appare allo stato attuale, durante il compimento di un’attività.
Ognuno può disegnare il personaggio che preferisce ed in qualsiasi posizione del foglio.
L’unica limitazione prevista è quella relativa al fatto che ogni membro impegnato durante il disegno stesso utilizzi sempre il medesimo colore, in modo da poter consentire, successivamente, al mediatore una facile identificazione, attraverso questo, dell’ideatore.
Nello specifico, la consegna che va fatta alla famiglia è: “Disegnate la vostra famiglia mentre sta facendo qualcosa. Ciascuno può scegliere un colore che dovrà mantenere fino alla fine del disegno.
Ciascuno può disegnare se stesso o altri. Ognuno può disegnare le persone in qualsiasi posizione sul foglio. Si può decidere liberamente di disegnare insieme o da soli.”
A prescindere dalle diverse varianti esistenti l’importanza di tale tecnica sta nel prevedere che tutti i componenti del nucleo familiare lavorino su di un unico obiettivo specifico, percependo di non avere alcuna limitazione.
Risulta ovvio che, durante tutto il tempo impiegato dalla famiglia per terminare il disegno, il mediatore deve essere di fatto un fantasma osservatore anche se ciò nella realtà non può esistere (l’osservatore influenza sempre l’osservato)
Quanto ai figli adolescenti, vanno considerati due elementi, il primo è che l’adolescenza di per se è l’età del no, il secondo è che l’adolescenza si è abbassata come età rispetto al consueto, nonché è più o meno normale che gli adolescenti scambino fra loro informazioni soprattutto perché sempre più adolescenti sono figli di separati.
È ancora di più importante quindi avere l’attenzione generale alla loro evoluzione nelle dinamiche familiari.
Il che significa apportare l’opportuno confronto di fronte ad un terzo neutrale agente di realtà e riportare la giusta comunicazione nella centralità degli argomenti.
Anche con gli adolescenti il gioco diventa una parte attiva dell’ascolto.
Il gioco è comunque e di fatto una parte attiva anche tra gli adulti, i giochi di ruoli per esempio, piuttosto che la realtà virtuale, nei quali al di là della volontà di manifestare ciò che non si è , è più forte l’emergere di ciò che si è e pertanto anche attraverso il gioco di ruolo si riesce a percepire gli elementi della dinamica relazionale che è quella che serve a raggiungere accordi di comunicazione definitivi e non provvisori, che a prescindere dall’ottimo lavoro di avvocati e giudici seguono una sentenza imposta.
Tutto questo è impossibile senza una cultura adeguata della mediazione senza l’appiattimento di questa nel ruolo dello psicologo o agli estremi dell’avvocato.
Il mediatore è una figura nuova che non vuole essere un professionista nato per “dare” lavoro e non deve essere la minaccia agli ordini quali essi siano.
È estremamente complicato farne una distinzione in realtà con altre professioni.
Non è sufficiente dire.. non è una psicoterapia, non è un Counseling, non è una CTU ecc..e non è sufficiente dire “è uno spazio neutro dove i coniugi guidati da un terzo neutrale possono imparare a comunicare tra di loro e a riorganizzare la loro co-
genitorialità”.
I limiti in realtà sono davvero sottili rispetto alle professioni limitrofe, a volte poco percettibili persino agli esperti, figuriamoci ai non addetti.
Sto costruendo un sito “L’individuo e la famiglia” per definire i ruoli e per aiutare non solo la coppia ma anche gli avvocati, nella scelta migliore da consigliare ai coniugi.
Una parte è infatti dedicata proprio alla figura degli avvocati, al loro lavoro e alla coordinazione con loro.
La mediazione è ascolto e comunicazione relazionale e dinamica, non cura il disagio, crea il futuro, non definisce colpe, crea collaborazione, non cerca di conoscere l’animo ma opera perché l’animo non impedisca di vivere.
È qualcosa di pratico e tangibile che necessariamente aiuta la società ad evolvere verso la costruzione piuttosto che la distruzione, perché riducendo il conflitto nella famiglia riduciamo il conflitto nella società, insegnando l’ascolto nella famiglia favoriamo l’ascolto nella società.
Avvocati e mediatori hanno una grande responsabilità e segnano grandi opportunità, collaborando.
In questo caso, l’avvocato per primo, deve sapere prevenire l’ascolto del minore in tribunale e fermare l’escalation, quindi consigliare la mediazione.
In realtà altra difficoltà reale o presunta che gli avvocati hanno, e che nel confronto con alcuni di loro ho constatato, consiste nel non saper discernere quando la mediazione familiare sia positiva o meno, fattibile o meno.
Molti avvocati che conosco, dicono infatti.. la coppia non è mediabile laddove la coppia è invece “mediabilissima” e lo dico perché conosco perfettamente alcune di queste situazioni.
Purtroppo se in mediazione dovessero venire solo coppie dal conflitto, e perdonatemi l’ossimoro, non conflittuale, ohimè non verrebbe nessuno perché nessuno ne avrebbe bisogno davvero, il che se fosse cosa reale sarebbe magnifico.
Purtroppo questo non è lo specchio dei nostri tempi.
Sarebbe pertanto auspicabile aiutare gli avvocati proprio nel capire le modalità per aiutare i coniugi ad entrare in mediazione.
Ma come è possibile se spesso persino gli avvocati confondono la mediazione con altri interventi o la guardano con sospetto?
A volte mi sono sentita domandare .. “ma se l’avvocato dell’altra parte è contrario, io come faccio?”
Bene credo che essere informati sia la cosa necessaria.
Il mondo è delle informazioni e il calcolo del rischio lo si può avere solo nelle informazioni.
In più di un’occasione mi sono prestata a creare questa cultura e anche se personalmente e umanamente “il mondo legale” mi ha accolto molto positivamente e a parole tutti sono stati molto propositivi, poi al dunque gli avvocati si fanno la domanda e si danno da soli le uniche due risposte che trovano.. “La coppia non è mediabile” ;“L’altro avvocato non ama la mediazione, dunque la mediazione è impossibile”- sillogismo non corretto, dal momento che in questo senso molto ancora si può fare.
Il mio studio non è aperto solo ai coniugi, ma anche agli avvocati insieme o separati se hanno bisogno di informazioni, se non sanno se un caso è mediabile o meno, se hanno dubbi o curiosità in tal senso…
La curiosità è sempre indice di una grande intelligenza.
A volte persino accordare gli avvocati nell’importanza della mediazione fa la differenza per i bambini coinvolti.
Piuttosto è fondamentale, è un’altra forma di ascolto del minore, in primis delegato all’avvocato familiarista.
L’osservatorio di famiglia è nato proprio per questo e io ringrazio di essere stata chiamata a relazionare sull’ascolto del minore perché se questo aiuterà anche solo un bambino in più a non essere ascoltato davanti al giudice, se anche dopo un anno nel tribunale di
Pisa, stimo e rispetto e prendo a consiglio l’operato dei giudici Dott.ssa Sammarco e Presidente Laganà, tuttavia mi auspico che ci si fermi prima.
Concludo dicendo che paradossalmente anche là dove la mediazione non raggiunga l’accordo finale per complicazioni ingestibili, tuttavia insinua il dubbio di avere errori nella comunicazione, questi dubbi lavorano e finiranno nel tempo col sortire lo stesso molti effetti positivi, soprattutto per quanto riguarda la co-genitorialità.
Possiamo essere certi che questo sia anche dopo l’audizione del minore in tribunale?
Salutandovi auspico che questa mia relazione possa aprire una strada alla collaborazione mediatori e avvocati o alla curiosità di scoprire quando sorgono dubbi se la coppia sia mediabile oppure no.. per scegliere eventualmente solo dopo cosa si ritiene più giusto fare.
Come sociologo prima che come psicologo credo alla società dell’informazione.
Tuttavia troppa informazione fa rumore(è necessario modularla in relazione all’età del bambino e al contesto) e non consente di ascoltare e focalizzare, poca informazione(il non ascolto) crea incomunicabilità.
L’informazione è conoscere, l’ascolto del minore per un sociologo è conoscere, l’ascolto del minore per un mediatore familiare un po’ sociologo è concretizzare quell’ascolto nelle dinamiche relazionali per non dimenticare i bisogni del bambino.
Scherzando aggiungo che gli psicologi dicono “è tutta colpa della mamma”, i sociologi dicono “è tutta colpa delle relazioni”.
Per il mediatore ascoltare il bambino significa ascoltare le relazioni familiari.