Una grande crisi strutturale attraversa il mondo e ancor di più penalizza l’Europa.
La frattura e la distanza tra economia reale ed economia finanziaria non solo depaupera le società avvicinando la classe media, che nel secolo scorso era definita borghesia, alla povertà relativa (oggi sempre più assoluta), ma anche e soprattutto slega e allontana la coscienza degli uomini dalla vita reale spingendola verso l’universo parallelo del virtuale.
Lo scollamento dell’io dai progetti di vita, dai valori semplici degli affetti e dalla sicurezza di un lavoro porta la società, da liquida che era, al conflitto onnipresente.
Troppa è la velocità con la quale cambiano le strutture che sorreggono la nostra vita quotidiana e troppo lento è invece il nostro adattamento ad esse.
Lo slittamento temporale in atto può contestualizzare molta della violenza all’interno delle coppie e anche intergenerazionale.
Lungo sarebbe in questa sede affrontare lo spirito in cui Bauman parla dell’attualità leggera e corrente che a livello sociologico spiega il conflitto emergente sempre più profondo e radicato, nonché la profonda crisi organica cui viene sottoposta la famiglia, base dell’intera società.
Riconoscere ed essere consapevoli delle proprie emozioni, saperle gestire e comunicarle in modo più funzionale è l’opportunità che avremmo di facilitare i nostri rapporti e le relazioni con anche una sensibile riduzione degli scontri interindividuali .
E invece ciò che oggi accade è di vivere ogni giorno sempre meno a contatto con la nostra reale parte interiore, sotto lo stress di continui riflettori che allontanano da noi il nostro sé, lasciandolo nello schermo di un computer, di un ipod, di un ipad, di un tablet .
Aumentano i casi in cui Facebook, Twitter, Second Life sono la proiezione di ciò che si vorrebbe essere, il nostro quotidiano e perenne Alter Ego, l’Avatar che vive e sperimenta ciò che a noi la società spesso non consente di fare.
Ad Andy Warhol, che nel Marzo 1968 scrisse “Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti”, risponderei volentieri “ Ora chiunque può esserlo 24 ore su 24”
Dimentichiamo che i nostri bisogni reali, quando non soddisfatti portano alla rabbia, alla delusione, all’aggressività, al “mi spetta di diritto” e dimentichiamo soprattutto l’importanza di rimanere in ascolto di noi stessi e dell’altro.
Nella famiglia i coniugi non sono esenti da questo meccanismo che è anzi uno dei molteplici motivi che sono causa di separazioni conflittuali, a volte e sempre più spesso anche violente.
Si proietta sul partner l’incapacità di raggiungere le proprie soddisfazioni e si colma il vuoto dell’io e del sociale con la corsa alla materialità, al nostro presunto e desiderato ruolo nel mondo, allo status.
I soldi ne sono un forte simbolo, nel bene e nel male, nella buona sorte economica ma anche e soprattutto nella cattiva.
Nell’ultimo anno, cosa apparentemente paradossale visto l’andamento economico negativo, sono aumentati le separazioni giudiziali e i divorzi contenziosi.
Le difficoltà che la crisi comporta, pur nella sua depauperazione, nutre nei coniugi la speranza che ognuno di loro raggiungerà da solo una vita migliore, un partner più adeguato, un’opportunità di crescita del proprio benessere.
Ciascuno andrà infondo a cibare quelle aspirazioni che trovano il loro spazio e la loro vita proprio nei social network, dove tutto si può dire e tutto si può diventare.
E invece a crescere sarà solo il numero dei single di ritorno, poveri e in difficoltà organizzative.
Il problema è sociale, e non tanto perché gli individui subiranno i danni delle loro non sempre sagge decisioni, quanto anche e soprattutto perché è lo Stato stesso, per il tempo in cui sarà ancora possibile, e lo sarà sempre meno, a dover supplire ai costi e al disagio del conflitto intra e interindividuale.
Basti pensare al gratuito patrocinio per le separazioni e i divorzi in Tribunale o agli psicologi dell’età evolutiva che dovranno in molti casi intervenire successivamente, nonché al ricorso a farmaci e psicofarmaci mutuabili.
Da non sottovalutare tra l’altro che i professionisti pubblici della salute, pagati poco e con un numero troppo elevato di interventi elevano spesso i protocolli a loro Dio più assoluto confondendo le persone con il file di riferimento.
I nuovi possibili supporti alla famiglia, Mediazione Familiare e Counseling, non hanno trovato ancora lo spazio adeguato nel sociale e comunque intervengono quando il danno è già in fieri.
Sono azioni per lo più riparative.
E non solo, la loro diffusione e comprensione è ancora a macchia di leopardo, il loro ruolo è limitato e limitante e vivono in attesa che altri professionisti li consiglino.
Il primo incontro di Mediazione Familiare dovrebbe essere volontario e auspicato per la coppia in crisi.
In realtà le informazioni sociali sono poche e i coniugi per lo più non conoscono nessuna opportunità alternativa al conflitto, tanto meno questa.
Immediato è invece il ricorso all’avvocato.
Parliamo di crisi giudiziaria, tempi lunghissimi, costi elevati e continuiamo a rimandare il problema.
Le competenze tra le professioni si accavallano, ognuno teme che l’altro possa essergli da competitor.
Interessi superiori rinnovano se stessi in un sistema aiutopoietico di lobbies.
Legali, psicologi, counselor, mediatori, il confine è percepito da tutti gli attori in scena in modo talmente sottile da scomparire quasi.
Il potere e la difesa dei propri interessi aumenta esponenzialmente di fronte alle crisi economiche.
Si tenta di preservare la professionalità tenendo a debita distanza il cambiamento e tutto ciò che può iniziarlo o esserne propedeutico.
Il nuovo, si sa, è sempre e per definizione potenzialmente minaccioso.
Per noi sociologi è qualcosa di già visto e studiato nella storia e non stupisce affatto, piuttosto ci è comprensibile e accettabile per giunta.
Tuttavia in Italia questo ha una visibilità e una concretezza ancor maggiore e causa ne è anche una cultura politica evaporata e volubile, incapace di coordinare le transizioni del cambiamento operando scelte adeguate di benefici e costi.
Di aiuto potrebbe invece essere un cambiamento di prospettica.
E se altro fosse il punto di azione?
Invertiamo le parti, adoperiamoci prima, andiamo oltre alle priorità apparenti.
Sono qui a presentare un progetto pilota sulla riscoperta delle emozioni come guida nella nostra vita, al di là del conflitto verso la riscoperta del sé, della comunicazione positiva e relazione con gli altri.
Un progetto che aiuta a migliorare le performance cognitive di tutti gli agenti coinvolti e che ha dimostrato di essere anche una possibile apertura alla conoscenza volontaria e diffusa della Mediazione Familiare a che si possa intervenire, prima di una guerra infinita nei tribunali italiani.
Un anno e mezzo fa circa in collaborazione con l’associazione sportiva Dobredog di Capannoli (Pi) decidemmo di dedicarci ai bambini delle scuole materne e di prima elementare.
Il nostro obiettivo principale era raccogliere dati statistici sulla crescita relazionale e dinamica della comunicazione in famiglia, concentrandoci sulle emozioni dei figli nell’intento iniziale anche di evidenziare il possibile conflitto esistente tra i genitori nelle separazioni difficili in atto e non solo.
L’idea di fondo era aiutare il bambino nel riconoscimento degli stati d’animo propri e dell’altro (in senso generico e simbolico) e nella scoperta e accettazione del diverso.
Abbiamo così introdotto la Pet Activity come disciplina e valore aggiunto in aula per insegnargli non solo ad attirare l’attenzione dei genitori sui suoi bisogni, quanto piuttosto a stimolare l’intera famiglia alla comunicazione efficace contro il conflitto distruttivo.
Sembra scontato sapere cosa si prova in un determinato momento e invece spesso non lo è.
Goleman ha lavorato molto sul riconoscimento delle emozioni e sull’educazione a queste.
Quanto a noi eravamo certi di poter intervenire attivamente nella dinamica comunicazionale della rete familiare e sociale grazie all’analisi e allo studio delle relazioni sia tra i pari di età che tra i bambini e gli adulti (educatori e genitori), data anche la consapevolezza che in altre nazioni l’ABC delle emozioni è diventata l’opportunità per arginare la devianza e la microcriminalità, come accade oggi in forma sperimentale in alcune scuole americane.
Per essere più sicuri dei risultati ottenuti, considerando il campione esiguo di riferimento, ci siamo avvalsi della collaborazione e dell’esperienza di Alessandro Curcuruto, Economic Analyst, laureato nell’università di Paris Dauphine in Francia e ivi ancora soggiornante.
Le analisi ci hanno poi confermato che seppure il campione in esame fosse di fatto piccolo era comunque determinante e valido per dare continuità in un secondo tempo e in altre scuole alla realizzazione di ulteriori interventi, cosa che auspico con tutto il cuore dal momento in cui i dati statistici raccolti hanno dimostrato la correttezza del nostro pensiero di partenza.
Ci siamo basati su studi condotti nell’università di Bologna sull’agentività del bambino, (capacità di interagire con l’adulto e modificare il corso degli eventi nonché le strutture della comunicazione) quindi dandogli una parte interattiva sia nella scuola che in famiglia che anche nella comunità.
Per chi fosse interessato alcune notizie in merito si possono trovare nel libro “Bambini e società” di Claudio Baraldi, il quale sottolinea per l’appunto l’idoneità del bambino di intervenire attivamente nel cambiamento strutturale della società, a partire dal suo intervento involontario sulla comunicazione della famiglia anche nel superare il conflitto genitoriale; altre informazioni in “Intelligenza emotiva” e “Lavorare con l’intelligenza emotiva” di Daniel Goleman nonché nella drammaturgia di Gofmann e negli studi della pragmatica della comunicazione.
Ma anche in modo più approfondito “Usare il cervello per cambiare” di Richard Bandler, nonché uno studio sullo sviluppo neuro affettivo “ Cervello, attaccamento e personalità” di Susan Hart.
Tuttavia la preparazione di base che ha portato alla realizzazione del progetto sperimentale è poliedrica e multidisciplinare in considerazione della complessità dello sviluppo evolutivo del bambino e delle dinamiche di comunicazione familiari e sociali.
Di fatto il focus della ricerca era“ l’ascolto”, il momento principale della comunicazione, soggetto all’interpretazione più di quanto si pensi, quindi causa di incomprensione e spesso l’origine di ogni conflitto.
Ascoltare e capire dipende da: il mondo delle sensazioni, delle emozioni, dei bisogni, degli stati d’animo, dell’empatia e dal background culturale di ciascuno di noi.
Ognuno ha di fatto il suo bagaglio e i suoi limiti che vanno necessariamente a riflettersi sull’altro, a condizionare l’altro, a impedirne l’ascolto.
L’ascolto attivo dovrebbe trovare la sua genesi fin da subito nell’ambito famigliare, nell’età infantile, e invece troppo spesso ciò non accade, nell’infanzia, né tanto meno nell’età adulta.
Gli studi che sto conducendo ed ho condotto nelle scuole dimostrano peraltro l’incapacità dei genitori di rapportarsi ai loro figli come soggetti di fatto, capaci di interagire e dai quali imparare oltre che ai quali insegnare.
Premessa e cosa più importante del progetto abbiamo incontrato tutte le famiglie, comprese le coppie separate, e spiegato loro l’intero processo.
Ciò che ha stupito positivamente è la partecipazione attiva di tutti gli attori coinvolti e soprattutto dei genitori, cosa basilare quando si vogliono trasformare le strutture sociali.
L’intervento di un sociologo è stato di stimolo e di propulsione, anche perché non andava apparentemente ad incidere sul contesto familiare.
Il senso comune che avvolge spesso i risultati degli studi sociologici in Italia è che il loro spirito sia di osservazione delle cose ma di non intervento nelle stesse, indi fini a se stessi, non precursori di cambiamento.
Se anche riduttiva quest’impressione, nella particolare circostanza si è rivelata invece di estrema utilità.
Sono infatti certo diffusi e tuttavia poco utili, così come ad oggi predisposti, i vari sportelli di counseling e di ascolto nelle scuole e i genitori accolgono ormai di poco buon grado l’intervento degli psicologi e di altri professionisti nel merito del supporto alla famiglia.
Una sociologa appariva una novità, era poco invasiva e aggiungeva al programma una sfera di curiosità.
Mi hanno pertanto concesso la loro piena disponibilità e fiducia ed è così che in collaborazione con il Sig.re Francesco Fabbri, responsabile dell’associazione sportiva Dobredog di Capannoli(Pisa)ho potuto realizzare gli interventi di lavoro frontale emozionale con i bambini nelle classi, avvalendomi del prezioso aiuto “cani e operatori cinofili di Pet Therapy” adeguatamente preparati e coordinati da Irene Galella, psicologa ed educatrice cinofila, in base a schede tecniche di laboratorio affettivo elaborate specificamente da me per il progetto.
Soprattutto acquista importanza e peculiarità proprio l’attività con il cane in quanto animale sociale che più degli altri nella convivenza con noi ha acquistato la sua ragione di esistere, affinando il suo linguaggio, la sua delicatezza e la sua pazienza nel rapportarsi con l’uomo e che in virtù di questo è competente ad insegnare di nuovo il significato della parola amore (che nessuna medicina o intervento psicoterapico ha le capacità di poter fare realmente)e a riavvicinare il bambino all’importanza e al valore di un abbraccio, favorendo di conseguenza una crescita positiva delle dinamiche famigliari e sociali.
Anche solo l’impatto visivo e olfattivo prima di ogni altra emozione inducono la sensazione di calore e sicurezza.
Il comportamento del cane non giudica e non colpevolizza, ha il linguaggio universale (o così dovrebbe essere)della fiducia e della lealtà, semplicemente ti è vicino e ti “parla” con l’intero corpo, basta saperlo ascoltare.
Il cane insegna l’ascolto.
Le schede proponevano attività di Pet Activity propedeutiche al riconoscimento delle emozioni a partire dalla comunicazione non verbale, giusto perché i bambini riuscissero a saperla gestire anche e soprattutto all’interno del conflitto, ma anche per prevenirlo quel conflitto.
Leggere i segnali di rabbia del cane insegna a vedere il suo possibile attacco, così come leggere i segnali ostili di ciascuno di noi aiuta a rimodulare la nostra interazione.
Il risultato è una maggiore resilienza e un copy più forte e sano.
Per i non addetti ai lavori la resilienza è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici e di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, Il concetto di coping fa riferimento invece ai modi e ai termini che gli esseri umani trovano per difendersi dalle crisi.
Nell’analisi delle famiglie coinvolte emergeva che i bambini non solo, di fatto, non venivano ascoltati ma assumevano spesso un comportamento “adultizzato” a propria difesa del quale i genitori trovavano più funzionale non accorgersi o interpretare a proprio vantaggio.
Emergeva anche, in alcuni casi, il conflitto parentale con la famiglia di origine sia di lui che di lei, nonché l’eccessiva e ossessiva protezione del figlio dall’altro genitore.
Inizio, metà e fine progetto sono stati segnati da disegni e racconti grezzi.
Le coppie più conflittuali e problematiche, malgrado le forti raccomandazioni di non intervento, non avevano saputo astenersi dal dirigere i bambini nel compito e dal prestare un aiuto maggiore rispetto a quello che gli era stato richiesto, e questo, facilmente verificabile soprattutto dall’analisi dei testi, segnalava già le prime difficoltà relazionali intra generazionali e intergenerazionali.
All’inizio e alla fine del progetto abbiamo preparato e registrato il disegno congiunto che aiuta ad evidenziare le dinamiche conflittuali e la manipolazione là dove è presente del bambino.
Per quanto mi riguarda ho lasciato libertà di tempo.
La seduta dopo il primo lavoro insieme è esclusivamente con la coppia che viene spronata a rivedere e parlare delle proprie emozioni , nonché a riconoscerle (cosa questa per niente scontata, per nessuno di noi).
In questo modo i genitori imparano a relazionarsi con le loro risorse oltre che con il bambino e a capire come poter migliorare la propria genitorialità.
Il video obbliga i partner a diventare ciò che in Sociologia si definisce il terzo osservatore e quindi a saper individuare le dinamiche della coppia prima da sola, poi con il bambino, del quale i coniugi imparano ad ascoltare simbolicamente la realtà vissuta e i bisogni da lui emersi per una crescita sana.
Prendere visione del filmato avvia il tanto auspicato e sospirato primo incontro informativo di mediazione familiare cui la coppia in crisi si avvicina in modo del tutto volontario e con grande curiosità.
La Mediazione Familiare TUTTA è ascolto dei figli là dove lavora nell’interesse assoluto del bambino promuovendo la cooperazione tra i genitori, sensibilizzandoli a riconoscere il figlio come ente a sé e non proiezione delle loro necessità.
Un’altra tecnica usata nel nostro progetto è una forma nuova e ri-adattata del “gioco di ruolo” (in cui protagonista oltre agli altri attori è il cane come agente emozionale attivo e perturbante) che così come il disegno congiunto permette di valutare il grado di accordo-disaccordo in relazione alle risposte del bambino agli stati di piacere e dispiacere, insegnandogli una reattività funzionale al proprio benessere.
La peculiarità è di riuscire ad osservare le fasi di transizione e di passaggio di consegna tra un genitore e l’altro nell’interazione che sono le fasi di maggior peso in una qualsiasi separazione della vita e che prevedono la capacità di preannunciarlo al bambino sia a gesti che a parole evitando le codifiche aberranti date ad un qualsiasi movimento che può essere compreso o percepito in modo tanto diverso dall’intenzionale quanto anche a volte aggressivo.
È importante capire come i membri della famiglia si separano e come vengono gestite queste separazioni, mettere a fuoco sia l’ansia dei genitori sia la capacità dell’intero sistema di interagire, ricordando che i bambini reagiscono e condizionano gli eventi, rinforzano o modificano lo status quo delle cose.
Ogni gesto condiziona, a prescindere, la risposta dell’altro nell’interazione ed è questo che rende necessario lo studio dei gruppi, le dinamiche sia relazionali che affettive.
La scuola ha in mano il futuro della società.
Attraverso i laboratori emozionali con i bambini possiamo individuare i problemi familiari e i conflitti in cui gli stessi vivono, modificarne la struttura e migliorare la risposta del futuro adulto alle difficoltà che sempre di più la vita può presentare.
Attraverso i laboratori emozionali con i bambini possiamo crescerli in modo più sano, mantenendoli in equilibrio con se stessi e con la vita, migliorandone prestazioni e relazioni.
Semplicemente potremmo partecipare alla creazione di una nuova struttura sociale, meno conflittuale e più collaborativa.
Di fatto e purtroppo esistono pochi educatori preparati all’”ABC delle emozioni” progetto americano multidisciplinare propedeutico al cambiamento e alla crescita.
E del resto nelle scuole aumentano i bambini di genitori separati eppure nelle scuole niente si fa per migliorare e arginare le sofferenze dei figli e avere una maggiore e più consapevole visione da parte della coppia del conflitto agito.
Come sociologa auspico pertanto la propulsione e applicazione di nuovi orizzonti nella codifica delle emozioni e nel linguaggio verbale e para verbale.
In questo senso il cane è davvero il miglior amico dell’uomo(e aggiungo l’unico del bambino).
Permette di riconnettersi al proprio sé, di riascoltare le proprie reali emozioni, di definirle e saperle gestire.
Insegna un nuovo linguaggio, introduce la comprensione del diverso, gestisce l’integrazione.
L’intero progetto sta trovando nuova vita in un libro(pubblicato i primi mesi del prossimo anno 2014) che riporterà tutti i dati statistici e l’analisi di ogni nostro intervento in aula e non, nella speranza che si possano trovare fondi sufficienti a continuare l’esperienza anche in altre scuole.