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Azienda e Organizzazione

I Luoghi della Comunicazione

I luoghi della comunicazione sono infiniti, ma nel settore del mercato senz’altro quello che maggiormente plasma e bersaglia l’uomo – cioè colui che in fondo rappresenta il potenziale acquirente – è la città, lo spazio urbano più in generale. Essa infatti ci riempie di informazioni in ogni momento, mentre guidiamo, mentre camminiamo, mentre lavoriamo o trascorriamo un piacevole pomeriggio di relax in un giardino pubblico o in qualunque altro luogo, permettendo che si sviluppi il grado zero del consumo, quello riconducibile al consumo visivo. Ciò che ci viene comunicato visivamente sono segni, mentre ciò a cui la comunicazione rimanda – e cioè la merce – appartiene al mondo dei segnali, nella logica di quella dicotomia inscindibile tra fisico e astratto. Se la comunicazione può avvenire è perché di fondo esiste uno spazio incontaminato, vuoto e plasmabile tra ciò che è il sogno della merce e ciò che invece è la merce stessa: tale vuoto potrà o svuotarsi ulteriormente o riempirsi di significati e questo potrà accadere grazie a tutto ciò che la comunicazione potrà essere in grado di creare ma anche grazie alla propensione e all’atteggiamento del consumatore/potenziale acquirente.
Se si è parlato però di un metodo di indagine e di informazione che aiuti i produttori ad interpretare i desideri del consumatore, è pur vero però che si dovrebbe anche parlare molto spesso dei desideri e dei bisogni indotti dal produttore stesso, il quale, servendosi efficacemente del marketing e della pubblicità, conferisce agli oggetti un senso di urgenza del possesso, i quali saranno percepiti come necessari anche là dove in realtà di necessità non si possa propriamente parlare. La produzione dunque è il frutto sì di un’accurata informazione, ma è anche colei che determina particolari comportamenti del consumatore stesso, attribuendo un senso a ciò che realizza, negandogliene invece altri che essa non desidera siano associati al proprio prodotto. Attenzione però: il confine che delimita la percezione di senso corretta da quella scorretta è molto sottile e soggetto a facili fraintendimenti – magari per la presenza di disturbi lungo il canale di diffusione della comunicazione, intesi come deformazioni dei messaggi che aumentano nel ricevitore l’incertezza senza aumentarne l’informazione – dunque non tutti i consumatori possono essere ritenuti adatti ad essere i destinatari di un determinato messaggio. In sostanza, i prodotti non sono che delle pluralità di significati immateriali che le scelte di consumo possono esprimere per riflettere tratti reali e non mistificati della personalità di ciascuno. Affinché si possa decretare un successo unanime di un prodotto, è importante veicolare dunque dei significati sociali che siano universalmente conosciuti e accettati come positivi in modo tale da determinare nel consumatore una piena soddisfazione non solo nel consumo, che abbiamo detto rappresentare un livello ulteriormente sviluppato nel rapporto prodotto/utente, ma anche nel semplice possesso dell’oggetto stesso.
Operare coscientemente nel settore della comunicazione del prodotto comporta una conoscenza approfondita anche della società destinataria della comunicazione. Attualmente, a causa dell’ampia diffusione dei mass media, si potrebbe dire di trovarsi in una società della comunicazione generalizzata, una società trasparente1: nell’accezione in cui Vattimo conia questo termine egli vuol fare riferimento a questa spiccata intromissione dei media, ma vuole anche dire con ciò che il merito del quale essi godono è che così facendo rendono la società più consapevole di sé, senza troppi filtri, ma nonostante questo complessa e caotica. Da qui nasce il desiderio dell’individuo di emanciparsi, giungendo però in conclusione ad uno spaesamento generale determinato dal caos di cui sopra. Ciò significa: all’interno di una società dall’impatto forte ed immediato – nei consumi come negli usi e nei costumi – tutto risulta facilmente leggibile da tutti, ma esistono realtà locali, dialettali, che manifestano elementi di diversità rispetto al sistema generale. Non siamo qui di fronte a una caduta delle regole e dell’ordine, poiché anche i dialetti posseggono una propria sintassi e una propria grammatica; il fatto che queste realtà si rendano manifeste non fa che testimoniare la loro volontà di diventare forma e di creare nell’individuo un senso di appartenenza da un lato, di spaesamento dall’altro.
Se c’è chi a suo tempo ha parlato di una società dello spettacolo lo ha fatto con una certa cognizione di causa. Come burattini, si sono vissute epoche – e probabilmente tuttora le viviamo – nelle quali dall’alto chi ha detenuto il potere è sempre stato incline a manipolare i comportamenti e i gusti delle persone; contrapposta a ciò esiste comunque una mellifluità e una fluidità delle apparenze e delle realtà che ci rendono protagonisti alterni del “gioco” della vita. Sull’onda dell’esistenza dei diversi “dialetti” comportamentali locali si è assistito alla generazione di molteplici realtà estetiche, ognuna a modo suo veritiera e personale; d’altronde questa sovrabbondanza di esperienze estetiche è stata anche il frutto di riflessioni coscienti che hanno portato ad ammettere che anche nella scienza esiste una molteplicità di mondi diversi e non si può dunque parlare di mondo unitario.
Lo spettacolo della merce può essere messo in scena adottando numerose tattiche, una delle quali è senz’altro rappresentata dal terrorismo spettacolo: far ricorso ad un termine così forte può forse apparire eccessivo e retorico, dobbiamo però ammettere che nella società attuale, profondamente modificata da un tipo di economia globale all’insegna del potere nelle mani delle multinazionali, siamo costantemente oggetto di occhi indiscreti, il più delle volte in modo consapevole e fiero. Il voyeurismo è un fenomeno diffuso, spesso associato alla virtualità del consumo visivo, che avviene specialmente in rete mediante l’utilizzo di videocamere elettroniche collegate al web; tutto è simulazione ed è sempre più diffuso il feticismo della merce informatica.
L’intera vita della società si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è trasformato in una rappresentazione. Lo spettacolo si presenta come strumento di unificazione ed è il luogo dell’inganno visivo e della falsa coscienza; e l’unificazione che esso realizza non è altro che un linguaggio ufficiale della separazione generalizzata. Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale tra persone, mediato dalle immagini; si tratta di una visione del mondo che si è oggettivata. Lo spettacolo, in tutte le sue forme di articolazione, costituisce il modello presente della vita socialmente dominante. È l’affermazione costante e ridondante della scelta già fatta nella produzione e il suo consumo non ne è altro che il corollario.
Criticamente parlando, si potrebbe dire che in realtà se lo spettacolo è visto come l’affermazione dell’apparenza e delle vite umane, esso non può che essere in sostanza la negazione visibile della vita stessa: ciò che grazie allo spettacolo diventa pubblico e quindi visivamente accessibile ad una schiera nutrita di persone, perde di verità e di palpabilità, diventando di fatto invisibile.
Lo spettacolo ha fatto sì che si verificasse nel tempo una degradazione importante dell’essere in avere, avere per mostrare, anche se a ragion del vero lo spettacolo non può essere identificato con il semplice sguardo, ma necessita dell’apporto di altri sensi, come ad esempio l’udito. Esso manifesta la propria fierezza e austerità dominando uno spettatore incantato, alienato piuttosto: “più esso contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la propria esistenza e il proprio desiderio”. Non è un caso che lo spettacolo possa essere definito altresì come una fabbricazione concreta dell’alienazione.

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Linda Meoni