Un modo di ridurre tale tendenza è dotarsi di uno strumento di rilevazione rigoroso, quale lo schema di codifica. Le categorie di cui è composto obbligano l’osservatore a concentrare la propria attenzione su comportamenti che sono definiti dalle categorie a disposizione, limitando la sua libertà di interpretazione. Lo strumento usa termini chiari e precisi, il cui significato non è manipolabile, tuttavia se le categorie sono mal definite possono risultare di difficile applicazione o sovrapporsi ad altre. Questo rischio è controllato in fase di costruzione dello schema, operazionalizzando le categorie, tale procedura traduce le categorie astratte in comportamenti osservabili, serve ad adattare lo schema alle caratteristiche della realtà da osservare.
Lo schema di codifica, rileva solo ciò che l’osservatore decide di rilevare, si tratta di una lista predeterminata di codici che corrispondono alle unità comportamentali che si desidera rilevare e obbliga l’osservatore a rilevare solo quelle unità, annotando un codice ogni volta che il comportamento si verifica. Favorisce i controlli interosservatori e consente di quantificare e analizzare i risultati. Si costruisce col metodo induttivo empirico (lunga osservazione preliminare che individua gli indicatori comportamentali in base alle regolarità osservate) o col metodo deduttivo-razionale (si parte da una definizione teorica, si specificano i componenti, si selezionano i comportamenti che li identificano e poi si rileva). Le categorie si distinguono per ampiezza (coglie il grado di astrazione delle categorie e si parla di livello molecolare o molare, e l’aspetto temporale, si può misurare la comparsa del comportamento o la sua durata) e organizzazione (il flusso comportamentale si può segmentare in unità diverse e successive – mutuamente esclusive -, dove la fine dell’una coincide con l’inizio dell’altra, oppure in unità diverse che si verificano simultaneamente – categorie co-occorrenti -).