La definizione e il campo di azione di cecità e ipovisione non sono per http:\\/\\/psicolab.neta univoci anche perché non solo sono notevolmente influenzati da fattori temporali e spaziali, ma anche da opinioni individuali. Tuttora vi sono anche diverse concezioni di “visione normale”, sia perché continuiamo a considerare i 10/10 come il limite di acuità visiva “normale” dell’essere umano (Lupelli, 1992), sia perché siamo abituati, nella pratica, a trascurare altre abilità visive, come sensibilità al contrasto, campo visivo, senso cromatico, stato oculomotore, ecc. in quanto fattori determinanti causali di un handicap visivo. Esemplificativo della condizione d’incertezza che caratterizza questa materia è il paradosso suggerito da Goldstein (1980) che afferma che “la migliore cura per la cecità può essere la ridefinizione della condizione”.
Mentre ogni Stato ha la sua definizione di cecità, ciò non accade per l’ipovisione. Storicamente le definizioni di ipovisione possono essere suddivise in due grandi gruppi che si riferiscono a:
• i valori numerici che quantificano la condizione e quindi pongono maggiore enfasi sulla condizione di minorazione
• l’aspetto funzionale e quindi pongono maggiore e nfasi sulle condizioni di disabilità e handicap.
Per Bailey (1978) l’ipovisione è quella “condizione in cui una menomazione visiva, non permette ad una persona di svolgere le comuni attività nonostante sia stato adottato un trattamento ottimale con occhiali tradizionali, lenti a contatto, farmaci o chirurgia”.
Per Fonda (1981) un individuo è ipovedente “se l’acuità visiva corretta è tra 1/100 e 3/10”, sottolineando così la possibilità di potere meglio usare il residuo visivo anche se molto ridotto.
La definizione di Charman (1985) intende per ipovedente “chi non può ottenere la patente di guida per problemi visivi (acuità visiva minore di 5/10)”, mettendo l’accento su una delle restrizioni più sentite del nostro sistema sociale. Sempre riferita ad un’unica abilità è la definizione di Legge (1991) secondo cui dovrebbe essere definito ipovedente “chi è inabile a leggere il giornale a 40 cm con la migliore correzione”.
Nella letteratura italiana Meduri e coll. (1995) definiscono l’ipovisione “una minorazione della funzione visiva, bilaterale e irreversibile, la cui entità può essere moderata, cioè non dà origine a disabilità visiva, o grave, e quindi genera delle menomazioni che rientrano sotto il nome di cecità”. Una definizione che pone l’accento sia sulla minorazione che sull’handicap è riportata da Parmeggiani e coll.(2002): “Condizione in cui si verifica una marcata riduzione dell’acuità visiva e/o del campo visivo, non correggibili mediante terapie convenzionali, che causa un impedimento significativo ed invalidante della visione con ripercussioni negative riguardanti le attività educative, sociali, attitudinali e lavorative della vita quotidiana”.
L’ipovisione si inquadra nell’ambito delle minorazioni visive come forma intermadia tra le minorazioni visive che non generano disabilità visiva e le minorazioni gravissime che riducono l’afferenza visiva ad un livello non utilizzabile ai fini riabilitativi (cecità relativa ed assoluta).
L’ipovisione rappresenta una minorazione bilaterale, irreversibile, più o meno rilevante, della funzione visiva, non correggibile con occhiali convenzionali, che genera gradi diversi di disabilità visiva.
Si parla di ipovisione in persone con un residuo visivo di non più di 3/10, ovvero, se la sua acuità visiva nell’occhio migliore non supera 3/10 nonostante la migliore compensazione possibile eseguita mediante occhiali o lenti a contatto. Questo deficit è tale da impedire ad un soggetto il compimento degli atti elementari della vita quotidiana necessari per gestire se stesso, per interagire con l’ambiente e per relazionarsi con gli altri esseri umani.
Recentemente, ispirandosi alla classificazione dell’OMS, una nuova legge (3 aprile 2001, n 138, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, serie generale n.93 del 21.04.2001) ha classificato e quantificato in maniera più razionale le minorazioni visive, suddividendo la popolazione di ipovedenti in tre gruppi, in base alla gravità della loro funzione visiva:
1. ipovedenti gravi: coloro che hanno residuo visivo non superiore ad 1/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con eventuale correzione;
2. ipovedenti medio-gravi: coloro che hanno residuo visivo non superiore a 2/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con eventuale correzione;
3. ipovedenti lievi: coloro che hanno residuo visivo non superiore a 3/10 in entrambi gli occhi o nell’occhio migliore anche con eventuale correzione.