Tutte le professioni che si svolgono all´interno di rapporti interpersonali si svolgono su due livelli: uno contenutistico, che si riferisce più al ruolo e alle competenze professionali e uno più relazionale, che si riferisce agli aspetti più intricati della comunicazione e della personale capacità di interagire in modo efficace con l´altro.
Il lavoro dell´insegnante a pieno titolo rientra in queste professioni.
Il nodo fondamentale della funzione docente è la relazione. È all´interno di essa che l´insegnante efficace ha l’opportunità di creare un contatto emotivamente significativo che, motivando l´alunno attraverso un coinvolgimento personale, consente la passaggio di conoscenze e l´acquisizione di competenze durature.
Attraverso una relazione positiva, inoltre, l´insegnante aiuta gli alunni nella costruzione di una identità consapevole di sé, dei propri limiti e dell´arricchimento che deriva dal confronto con l´altro. Dove la relazione allievo-insegnante è bloccata spesso nasce un circolo vizioso che conduce al fallimento sicuro del fine didattico.
Al rifiuto da parte dell´allievo delle materie di studio, ma che in realtà è diretto al docente, si ha come conseguenza un rifiuto più o meno consapevole dell´allievo da parte dell´insegnante che porta alla compromissione dell´iter educativo-formativo del ragazzo. Per di più gli insegnanti si trovano ad interagire con gli alunni che proiettano sui docenti modelli relazionali disfunzionali, acquisiti all´esterno della scuola. Per questo chi insegna ha bisogno di controllare gli strumenti relazionali e comunicativi per non essere vittime ignari di distorsioni prodotte da altri.
Ho avuto modo di notare che il fallimento del lavoro didattico ha sempre delle ripercussioni significative a livello emotivo sia per l´insegnante che per l´allievo che spesso incide sulla motivazione a continuare il proprio percorso o sulla valutazione serena della propria realtà esistenziale.
Un altro aspetto importante è anche la dissimmetria dei soggetti presente nella relazione; per questo l´insegnante deve avere la capacità di far crescere l´alunno – in conoscenze, competenze, maturità personale – in modo che questo possa poi relazionarsi alla pari.
È importante saper ascoltare senza emettere giudizi, non fornire soluzioni affrettate, non supportare affettivamente più del dovuto e riuscire a capire quanto è “il dovuto”; tutti questi sono compiti difficili e di grande responsabilità che spesso comportano situazioni difficilmente gestibili senza un aiuto esperto. Anche perché l´insegnante si trova ad interagire non solo con gli alunni, ma con tutta una serie di soggetti diversi: come i colleghi, le famiglie, la dirigenza scolastica.
Per quanto riguarda il rapporto con i colleghi c´è da dire che le innovazioni in ambito didattico e le disposizioni ministeriali richiedono, da tempo, di lavorare in equipe, sia per la progettazione che per la realizzazione di interventi didattici. Per questo tipo di lavoro requisiti indispensabili sono l´ascolto e la capacità di confrontarsi serenamente con l´altro senza rigidità, ma anche senza eccessive sottomissioni.
Molte delle energie che gli insegnanti investono sono dirette alla costruzione di relazioni collaborative con i genitori: dialoghi e colloqui informali, riunioni e incontri programmati costituiscono momenti indispensabili e necessari per raggiungere tale scopo, anche se a volte davanti a situazioni di incomprensione essi arrivano a pensare che forse da soli sarebbero più produttivi. Ci sono molte situazioni in cui occorre armarsi di pazienza e tuttavia questo non è sufficiente. In momenti di blocco o di difficoltà può rivelarsi utile sospendere la riflessione sui contenuti di una comunicazione e concentrarsi sullo stile comunicativo che si è assunto nonché sulla relazione che si sta creando.
Nel rapporto con le famiglie, se si vuole davvero usufruire del notevole contributo che queste ultime possono fornire alla vita scolastica, l´insegnante dovrebbe riuscire a stimolare le risorse, coinvolgendole nella progettazione del percorso formativo dei propri figli. Questo è spesso un compito faticoso ma inevitabile che richiede notevoli competenze relazionali, capacità di comprendere e di farsi comprendere, di rispettare e di farsi rispettare.
Inoltre l´insegnante, al fine di produrre un lavoro didattico efficace, deve riuscire anche ad stabilire con la dirigenza scolastica una relazione che agevoli un confronto costante e aperto verso il raggiungimento di obiettivi comuni, ma permetta anche di gestire nel modo più produttivo e meno stressante eventuali conflitti.
Per tutto quello che è stato detto fino ad ora possiamo capire come l´attività docente sia esposta più di altre al rischio di quel complesso processo definito burnout, caratterizzato da un vissuto di impotenza, demotivazione, perdita di interesse per la propria professione e spesso da difficoltà di interazione con i colleghi e con l´ambiente istituzionale.
Le comunicazioni difficili tra insegnanti e genitori
Una realtà ricorrente è quella che vede i docenti impegnati ad informare i genitori alcune difficoltà accertate nel comportamento e nell´apprendimento del figlio.
Gli insegnanti dedicano attenzione ai tempi e ai modi per iniziare la loro comunicazione, ma può accadere che, non appena pronunciano le prime frasi, il genitore risponda fornendo una interpretazione degli atteggiamenti del bambino costellata dalle certezze più assolute. Sono situazioni in cui i docenti sono tentati di dire: “Vorrei riprendere il comportamento del ragazzo con una videocamera, almeno il genitore non potrebbe più negare”.
Ci si pone allora la domanda di cosa possono fare gli insegnanti di fronte alla certezza del genitore di conoscere la verità assoluta.
Innanzitutto è necessario che si impegnino per mantenere la relazione attraverso l´uso di abilità comunicative indirizzate a non contrapporsi davanti alla presunta verità dell´altro e a non cadere nella trappola della dimostrazione di ciò che dicono con prove oggettive. Nelle comunicazioni difficili l’atteggiamento spontaneo, che costituisce una grande risorsa in altri momenti del lavoro degli insegnanti, va abbandonato per lasciare il posto ad interventi di comunicazione consapevole.
Ecco un esempio concreto che ha come protagonisti due insegnanti e un genitore impegnati in una comunicazione difficile.
Gli insegnanti(I.): Buongiorno, come sta?
Il genitore(G.): Bene grazie. Mi avete chiamato? c’è qualche problema ?
I.: No, in generale va bene, suo figlio è un bambino capace che ha molte potenzialità… però dovrebbe calmarsi un po’. Sa, non sta mai seduto, si alza di continuo, gli cade tutto dal banco, ogni foglia che cade lui la vede…. Capisce che se avessimo solo lui in classe va bene, ma con il resto che c´è da fare….”.
A questo punto il genitore interrompe e dice: “Ma mio figlio non è mai stato così… è da quando è seduto in banco con Alessio. È stato sempre buono, attento e con ottimi voti
I.: Ah………. Ma ……suo figlio dall’inizio dell’anno si comporta così e poi non porta i compiti per casa?
G. : Eh, fategli cambiare di posto e Le assicuro che il bambino cambierà…. Non è assolutamente colpa sua ma del compagno”.
Questa è una delle tante esperienze vissute dagli insegnanti.
Esperienze ricche e stimolanti che permettono di riflettere su quali atteggiamenti e quali comunicazioni possano rivelarsi più efficaci per il mantenimento della relazione tra insegnanti e genitore e per la realizzazione di un progetto condiviso. In questo caso il genitore non ha negato quanto gli insegnanti sostenevano ma aveva la certezza della causa del comportamento del figlio, rifiutando così ogni possibilità di lavoro e di intervento comune.
Non esistono possibilità: il bambino era così perché veniva disturbato dal compagno. Anche se gli insegnanti avevano un´ipotesi diversa o possedevano l´informazione che anche alla materna e alla scuola elementare il bambino si comportava così, la comunicazione del genitore non lasciava spazio ad altro ed essi si ritrovarono con la domanda: “e ora che cosa facciamo?”
Congedare un genitore che sembrava poco convincente nella sua descrizione, non aiuta nella gestione del comportamento del bambino a scuola. E non permette di creare quel collegamento con la famiglia che sovente risulta essere una delle uniche strategie vincenti. Le difficoltà di comportamento di alcuni allievi influiscono sul funzionamento della classe e richiedono agli insegnanti cospicue energie da investire sia nella prevenzione sia nel controllo di azioni aggressive e destabilizzanti. Se la famiglia offre accordo e collaborazione alla scuola, il bambino non avrà spazi per innescare alleanze e ricatti.
Bisogna trovare la risposta ad un quesito realmente gravoso ovvero come costruire con i genitori che descrivono i figli in modo così differente, e a volte opposto, da quello che i docenti vedono a scuola
Nella mia esperienza ritengo che sia una buona strategia partire dalla descrizione del bambino che la famiglia esprime. Talvolta quando l’insegnante ascolta il genitore è tentato di bloccare la descrizione, riscontrando che è quasi impossibile pensare che l´altro stia dicendo la verità. E quando riesce a controllare la parola, è l´espressione del viso che comunica il suo pensiero; sovente poi, se sono presenti i colleghi, cerca il loro sguardo per avere una conferma di ciò che sta pensando in quel momento. Credo che ogni persona possieda una propria verità su cui fonda le sue certezze; queste divengono poi le premesse con cui si rapporta agli altri. L´intervento che si può operare nel caso sopra descritto è quello di avvalersi di punti di vista differenti, per ipotizzare strade che possano essere esplorate insieme. Il fatto che la famiglia faccia una descrizione opposta a quella dell´insegnante, non implica che non sia possibile assicurarsi la sua collaborazione. Ora, se la scuola riesce ad attivare l´abilità di non mettere in discussione le certezze che ogni sistema famiglia si crea, forse, la famiglia non si sente minata nella sua stabilità. Un equilibrio che è il prodotto di regole condivise ed accettate dai singoli membri familiari. Da parte dell’insegnante la posta in gioco non è poca: la difficoltà del singolo bambino, che in un contesto familiare riesce ad essere contenuta, si incontra con le difficoltà degli altri allievi della classe e la situazione generale diviene sovente pesante da sostenere.
Nei rapporti scuola-famiglia potrebbe essere utile:
1. pensare che, in quel momento, stiamo entrando in una relazione dove la nostra verità (quello che sappiamo, vediamo e pensiamo di suo figlio) non è presa in considerazione;
2. lasciare che il genitore disponga gli eventi secondo la sua logica (spesso realizzata sul rapporto causa-effetto);
3. evitare di contrapporsi ed affiancare, gradatamente, la descrizione dell’insegnante;
4. aprire il campo delle informazioni utili alla prosecuzione del colloquio, con l´uso di domande aperte, che hanno il grande pregio di dare informazioni non solo a chi chiede, ma anche a chi risponde.
Pensando al caso presentato si potrebbe iniziare così il colloquio:
“Avete fatto molto bene a metterci al corrente di questa situazione perché possiamo tenerla presente. Ci viene in mente che potremmo iniziare a trovare qualche strada comune per gestire il comportamento di Gigi. Lei ha detto che il suo comportamento dipende dalla vicinanza del compagno di banco. Forse voi a casa, avete visto che nel rapporto con Gigi alcuni vostri comportamenti funzionano e altri no. Sapere che cosa funziona, tra quello che avete provato a fare, potrebbe essere utile anche a noi. Cosa ne pensate?”.
Questa certamente non vuole essere l’unica frase possibile. Nelle relazioni dobbiamo diffidare di chi promette regole, rimedi e pronte guarigioni. Ma contrapporre descrizioni fisse e uniche non permette processi di cambiamento, a cui si può invece arrivare, gradatamente, lavorando sulle differenze.
Sempre più le organizzazioni, tra cui l’istituzione scolastica, si trovano ad operare in tempi ristretti, con l’impegno costante di operare scelte in un scenario in cui gli imprevisti e la mancanza di adeguate informazioni sono frequenti e dove il ricercato tempo per la pianificazione è sempre più carente. La scuola giornalmente affronta comunicazioni e indicazioni diverse tra loro e deve mediare, trovare possibili intersezioni, mai dimenticando che l’obiettivo prioritario è il bambino. In particolare per quanto riguarda le questioni inerenti l’handicap, l’operato diventa sempre più ostico là dove numeri e bilanci rappresentano i primi obiettivi e spazi da cui partire per costruire.
In questa situazione alcune abilità specifiche possono rappresentare un’utile risorsa per gestire momenti difficili che richiederebbero tempo e spazio maggiore, e dove basilare per lo sviluppo futuro dell’incontro è la risposta o la scelta attuata in quel momento.
In situazioni in cui ci troviamo davanti a descrizioni di fatti diversi, dissonanti, la comunicazione professionale ci aiuta ad utilizzare la domanda che permette all’altro di partire dal suo punto di vista. Intendo riferirmi all´ uso della domanda aperta che ridefinisce il problema e chiede al nostro interlocutore di descrivere che cosa intende. Le possibilità messe in atto in un colloquio da queste domande si collegano alla presenza di diverse posizioni e verità, all’ascolto dei vari punti di vista, alla capacità di reggere e valorizzare descrizioni diverse e non subirle come empasse insormontabili.
Dalla mia esperienza sia come tutor di sportello, sia come insegnante che incontra e vive quotidianamente situazioni simili a queste, ho compreso l’interesse nei colloqui con genitori o colleghi per le descrizioni diverse, per il potere di possibilità che ne segue, per il movimento che i sistemi attivano, e per il cambiamento che nasce a cui tutti hanno concorso. Davanti ad un genitore o ad un collega che mi fornisce una descrizione diversa, a volte contraria, non deve essere automatica la riflessione sul perché mi dice una cosa non vera…o perché finge…bensì cosa è successo o cosa intenda per…cosa gli faa dire che quella volta il bambino aveva manifestato un comportamento diverso da quello che mi appariva.
Queste domande sono ancora più utili quando le formula chi si occupa di handicap poiché i sistemi coinvolti sono molti e dalla loro sinergia dipende la riuscita del progetto. La relazione con individui, bambini o adulti, in difficoltà, a volte fa scaturire una condotta che io chiamo “etichettatura”: sovente per ragioni di oggettività legata ad una diagnosi, si tende a classificare gli individui ponendoli in categorie che caratterizzano il problema che manifestano. Se la flessibilità e l’apertura verso diverse possibilità non sorregge l’operato di chi si rapporta a quel particolare individuo, la classificazione può generare una fissità della relazione, soprattutto nella logica adottata, causale, meccanica, sequenziale, imponendo a priori un contesto di non cambiamento: obiettivo che sempre invece dovrebbe caratterizzare ogni processo di insegnamento-apprendimento. Mi aveva colpito a questo proposito la pubblicità di un’associazione genitori bambini Down… “un bambino affetto da Sindrome di Down …come gli altri pensa, ama, si impegna, può raggiungere ottimi livelli di autonomia purché fin dai primi giorni di vita sia fatto oggetto da parte di tutti delle stesse attenzioni che si devono ad ogni bambino…”.
Uno spazio di ascolto nelle scuole
A differenza di quanto si prevedeva c´è da dire che in tutte quelle scuole dove sono stati aperti degli spazi di ascolto, la domanda da parte degli studenti è stata considerevole. Questo perché l´ascolto a scuola non viene visto dai ragazzi come un aiuto diagnostico-terapeutico, ma soprattutto come una relazione con un adulto competente che può aiutare a capire alcune difficoltà, più o meno difficili da superare ma che non sottintendono necessariamente la patologia.
Le motivazioni al colloquio sono varie, c´è chi lo richiede per semplice curiosità per vedere di che cosa si tratta e come si svolge un incontro, e chi perché è sopraffatto dall´ansia o pensa di essere affetto da gravi disturbi. Per altri ancora la richiesta riguarda una specie di verifica del proprio stato mentale, per capire una parte di sé o un momento della propria crescita mentale.
La richiesta di aiuto è soprattutto legata ai rapporti con i compagni, oppure a problemi di socializzazione, umiliazione a parlare in classe di fronte agli insegnanti o ai compagni. Oppure problemi più complessi, come la scomparsa di un genitore o di un amico o la sessualità – altro compito fondamentale dell´adolescenza è l´integrazione della sessualità nell´immagine di sé, c´è da fare i conti con nuovi impulsi e desideri e una diversa percezione degli altri – . Alcune volte accade che non sono gli alunni stessi a chiedere un incontro ma gli insegnanti che di fronte ad una difficoltà suggeriscono allo studente di parlarne con qualcuno in grado di aiutarlo a chiarirsi le idee. I colloqui in questi casi sono più difficili da gestire in quanto il ragazzo che è stato inviato, è portato a sentire il colloquio come una imposizione anche se indiretta e quindi avere un atteggiamento meno collaborativo.
Lo sportello a scuola con i ragazzi può servire a favorire due importanti aspetti la separazione-individuazione e l´acquisizione di consapevolezza.
1) Separazione-individuazione
Uno dei compiti evolutivi principali dell´adolescenza è la separazione dai genitori e la creazione di una propria individualità autonoma, che porterà il ragazzo all´acquisizione di una maggiore libertà e responsabilità. Lo sportello si può inserire in questo processo in quanto il confronto con un adulto diverso dai genitori può aiutare a creare nell´adolescente un idea di sé più personale, che può essere diversa da quella che i genitori gli hanno trasmesso fino a quel momento. Naturalmente è impensabile che attraverso lo sportello a scuola si possa ottenere una reale separazione dai genitori e una reale autonomia personale, l´unico obiettivo possibile è quello di creare un modo diverso di vedere il problema come base per creare vie diverse per risolverlo. Inoltre, il fatto di considerare i propri conflitti e vissuti come comuni a tutti gli adolescenti, permette di ridurre l´ansia ed ha un effetto rassicurante.
2) L´acquisizione di consapevolezza
La consapevolezza di un problema e la disponibilità ad assumerne la responsabilità cambia da persona a persona e per tipo di difficoltà. Nell´adolescenza i ragazzi si trovano a doversi relazionare con mondi diversi come la famiglia, gli amici, il corpo, la scuola, le relazioni sentimentali e sessuali. In questa fase la loro personalità non è ancora sufficientemente individuata per riuscire a vivere e gestire i propri conflitti. Questo fa sì che quando i ragazzi arrivano a chiedere aiuto, lo fanno raccontando i problemi come li vivono dal loro punto di vista, raccontando soprattutto gli effetti di queste difficoltà (per esempio: “non ho voglia di studiare”, o “non riesco a stare attento”) lasciando in secondo piano i vissuti personali. In questi casi lo sportello può servire proprio a far acquisire ad essi una consapevolezza iniziale delle difficoltà. Questo non è un obiettivo da poco – anche se questa consapevolezza non dovesse portare immediatamente all´individuazione di soluzioni – perché, fare ciò può richiedere allo studente il superamento di atteggiamenti difensivi che egli non è ancora pronto ad abbandonare.
Occorre inoltre sottolineare l´importanza della diversità delle scuole. Infatti, i problemi che si presentano nelle differenti scuole sono molto vari, questo perché, non solo ogni studente ha una propria storia, ma ogni scuola è diversa.
Ci sono scuole dove l´immagine di sé degli studenti è influenzata decisamente dal successo o insuccesso scolastico. In altre, all´opposto, il fallimento può essere insignificante in quanto la scuola, nonostante sia fonte di frustrazioni, rimane comunque il luogo meno problematico nella vita del ragazzo, se paragonato con la qualità della sua vita esterna. Inoltre le diverse culture scolastiche sono determinate da molti fattori: il tipo di scuola, la sua storia, la sua collocazione, la stabilità del corpo docente. L´immagine della scuola percepita dall´esterno tende ad attirare un´utenza corrispondente. Per esempio: una scuola che offra un curriculum che privilegia gli aspetti creativi della personalità individuale tenderà ad attrarre ragazzi con queste capacità. Oppure una scuola con un immagine alta, che garantisca un apprendimento e una formazione culturale elevata, è in sintonia con un atteggiamento ambizioso, per il quale si possono anche sacrificare aspetti di socializzazione e di rapporti con i compagni. Anche se i problemi adolescenziali presentano aspetti cosmopoliti, i ragazzi di un liceo, quelli di un istituto tecnico o di una scuola serale potranno quindi essere molto diversi tra loro, ne consegue che anche i momenti di ascolto risentiranno inevitabilmente della tipologia di utenza delle varie scuole.
Se pretende di educare, la scuola ha anche il compito di saper ascoltare.