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Azienda e Organizzazione

Libertà d'Informazione e Politica in Cina

Negli ultimi anni il governo di Pechino sta cercando di far convivere autoritarismo comunista ed economia di mercato. Purtroppo, però, si sta sviluppando un capitalismo privo di democrazia con la complicità affaristica di molte aziende occidentali e la regia del partito comunista.
La Cina si trova in un contesto sociale, politico ed economico in cui l’informazione, favorita dallo sviluppo tecnologico, risulta l’unico strumento capace di fare emergere un po’ di verità, utile a portare alla luce quanto avviene realmente nel paese. Per questo controllarla strettamente, come avviene nella Russia di Putin, è sempre più centrale per la tenuta di un regime che cerca di contenere in sé tutto e il contrario di tutto.
Pechino rappresenta un gigante finanziario e produttivo che un giorno pare destinato a contendere il dominio del mondo agli Stati Uniti, mentre quello successivo rivela fragilità inconcepibili che fanno ipotizzare un possibile tracollo. Molti ritengono che la causa di questa altalena di situazioni sia rappresentata dalla presenza ultra-decennale del partito unico, che sotto la sua continua ricerca di stabilità confortante, nasconde falle impressionanti caratterizzate da illegalità, abusi, prepotenze e corruzione.
Questo grande paese orientale, ricco di storia, tradizione e cultura, appare pronto dal punto di vista tecnologico ai grandi mutamenti che altri paesi occidentali hanno già affrontato, ma è ancora totalmente statico nelle sue pratiche repressive.
James Miles, corrispondente del settimanale inglese ‘The Economist’ dalla capitale cinese, ha spiegato come “malgrado il Presidente Hu Jintao abbia voluto la riscrittura dello statuto del partito comunista, egli mostri una quasi totale assenza di entusiasmo per una politica di riforme”(1). Questo serve a spiegare parzialmente come la Cina sia costretta da eventi esterni a cambiare un minimo le proprie abitudini, ma mostra contemporaneamente come tutto ciò avvenga contro la sua volontà.
IL FUTURO E’ IMBRIGLIATO NELLA RETE
Roberto Reale (2008), spiega come il terreno decisivo dove si deciderà il futuro della libertà di espressione in Cina sia rappresentato da Internet.
La Repubblica Popolare Cinese è recentemente subentrata agli Stati Uniti come primo mercato mondiale della Rete, dato che il numero dei suoi internauti ha superato i 220 milioni di navigatori.
La nazione di Mao è attualmente un laboratorio dove si sta sperimentando un uso della Rete affaristico e commerciale che la esclude quasi completamente dei suoi aspetti libertari, quelli connessi alla diffusione della conoscenza e alla libertà di informazione.
Il regime comunista utilizza mezzi ultramoderni, ma ragiona sulla base di categorie antiche. Non è stato ancora capito che grazie al Web una grandissima parte della popolazione mondiale è interconnessa costantemente e la rete delle telecomunicazioni è talmente cresciuta da consentire a chiunque di accedere a informazioni e di potersi avvicinare a qualsiasi realtà del pianeta. Oggi sulla Cina ci sono ormai migliaia di siti, anche e specialmente in lingua inglese, che forniscono notizie dettagliate, documentano eventi, raccontano storie di cronaca che permettono la creazione di uno spazio virtuale comune nel quale può confrontarsi un’opinione pubblica mondiale.
Pagine Web che il partito comunista non può censurare, almeno all’estero.
Si potrebbe affermare che in Cina le libertà di parola, d’espressione e d’informazione non sono un frutto che lo sviluppo tecnologico porta automaticamente in dono. Anzi è possibile osservare come dipendano quasi totalmente dalle decisioni politiche ed economiche del paese.
LA CENSURA ONLINE COME PREVENZIONE CONTRO IL DECLINO DEL REGIME
Il controllo degli organi d’informazione, di stampa, dell’industria mediatica in un regime che presenta un partito unico al potere era più semplice quando i mezzi di comunicazione utilizzavano delle tecnologie che i singoli cittadini avevano maggiori difficoltà a riprodurre. Trasmettere delle notizie attraverso una radio pirata, come avveniva anche in Europa negli anni Sessanta o Settanta, è sicuramente più complicato che aprire un blog in Rete.
E’ per questo che il controllo del Web è diventato un’assoluta priorità per il partito comunista, nella quale investire risorse e uomini.
Il Financial Times (2), un importante quotidiano britannico, ha svolto un’inchiesta indipendente che ha avuto il merito di analizzare l’organizzazione di questo complesso sistema di controllo. Hanno notato che l’azione del governo si è mossa lungo due direttrici principali: un piano che riguardasse la censura interna al paese e uno che si occupasse di quell’esterna. Hanno agito quindi con strumenti diversi per prevenire attacchi provenienti dall’interno dello stato, anche con l’uso di una repressione fisica della polizia sui provider, e dall’estero, con l’oscuramento dei siti “pericolosi”.
Una commissione governativa composta da tecnici e ingegneri informatici ha sviluppato un piano di filtraggio del traffico Internet che mantiene sempre separato il Web cinese dal network globale. Questo avviene grazie alla possibilità di collegare la rete interna a quella mondiale unicamente attraverso dei passaggi obbligati sorvegliati dalle autorità: un imbuto tecnologico conosciuto come il “Grande Firewall” o GFW.
Anche l’associazione francese Reporters Sans Frontières (Rsf) si è occupata dei metodi di censura che vengono applicati dal regime cinese. E’ stato osservato, nello studio pubblicato nell’ottobre del 2007 chiamato “Un viaggio nel cuore della censura”(3), come esista un’attenzione frenetica nel controllo dei media. Dall’autunno del 2005 gli uffici governativi preposti alla censura on-line sono diventati operativi, cioè da una sorta di controllo preventivo e passivo, basato su segnalazioni e avvertimenti, che dettavano delle precise regole compositive, hanno modificato il loro modo d’agire attraverso delle metodologie attive e costrittive.
La Cina è il solo paese al mondo che conta migliaia di “cybercensori”, che hanno la capacità di filtrare la Rete da ogni tipo di informazione che possa compromettere l’immagine dello Stato e del Partito Comunista. Questa attività ha comportato l’arresto di centinaia di dissidenti del Web.
La censura ha lo scopo di cancellare tutti i contenuti che trattano di diritti dell’uomo, di democrazia o di libertà religiosa. Se il Web nasce come promessa di libertà d’espressione, in Cina la negazione di questo principio è quasi perfetta. Infatti, il rapporto di Réporters Sans Frontières si chiude con un’affermazione importante: “Abbiamo ‘visitato’ un paese dove il regime ha allestito una vera e propria ‘Grande Orchestra’ per far suonare ad Internet un’unica musica: quella gradita al potere”(4).
Note
1) James Miles The challenge to Beijingoism, Numero Speciale The Economist – The world in 2008, Londra, dicembre 2007
2) Tratto dal Financial Times, Reportage di Mure Dickie del 13/11/2007, traduzione di Stefano Lamorgese, tratto da http://www.rainews24.rai.it/ran24/rainews24_2007/tema/docs/trad-IT-China_learns_to_click_carefully.pdf]
3) Réporters Sans Frontières Voyage au cœur de la censure d’Internet, pubblicato sul Web il 10/10/2007, Traduzione di Stefano Neri, tratto da http://www.rsf.org/article.php3?id_article=23921
4) Cfr. nota precedente n.3 La fulminea ascesa del paese simbolo del grande Oriente: il rapporto inversamente proporzionale tra libertà d’informazione e politica affaristica in Cina.

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Alberto Catizzone