Dal punto di vista cronologico l’Antonio e Cleopatra viene generalmente situata subito dopo il Macbeth; addirittura si ritiene che queste due opere siano state composte entro il medesimo anno. Nonostante tale vicinanza, l’Antonio e Cleopatra è considerata un’opera con caratteristiche diverse rispetto alle cosiddette grandi tragedie (Amleto, Otello, Re Lear e Macbeth) che la precedono.
Essa condivide con il Coriolano – che la segue di poco – una natura divisa tra la forma tragica e la successiva apertura shakespeariana verso il romance. Il grande critico A. C. Bradley non la ritiene paragonabile al Re Lear, all’Otello o al Macbeth per la capacità di suscitare sentimenti drammatici, ed evidenzia come nei primi tre atti non accada niente che susciti particolari passioni. Assistiamo a dialoghi in cui ci si accusa e poi ci si riconcilia, si scherza e si finisce con l’ubriacarsi insieme, si tesse la trama politica, senza però avvertire una tensione tragica, finché non si arriva alla conclusione. Oltre a non raggiungere il tragico nella prima parte, vi è una visione generale più serena, che poi si manifesta chiaramente nell’atmosfera di riconciliazione che riesce a superare la rovina finale. Questa serenità non sarebbe tanto il frutto di una rivincita degli amanti su Cesare, quanto un ristabilirsi dell’ordine. Bradley commenta: “Con tutta l’ammirazione e la simpatia che proviamo per gli amanti, non auguriamo loro di cuore di avere il mondo in balìa. È meglio per la salvezza del mondo e anche per loro stessi, che siano caduti in rovina e morti”. Solo nella conclusione della tragedia e grazie all’amore per Antonio, Cleopatra riuscirebbe a sollevarsi dal ruolo di abile manovratrice e seduttrice, capace di irretire un grande generale fino a ridurlo alla rovina.
Nonostante questo giudizio smaliziato, tuttavia, l’affascinante regina deve essere annoverata tra i personaggi più riusciti di Shakespeare. La sua varietà appare inesauribile: ella è la sovrana di una nazione antica, inarrivabile come una dea, e al contempo una donna dominata dalla vanità, un’amante dedita al suo uomo, ma pronta a tradire in caso di necessità. Cleopatra è l’Egitto – così è solito apostrofarla Antonio – paese che deve tutto al Nilo, fonte di vita e di abbondanza ma anche di devastazioni. È una terra in cui convivono gli opposti, in cui la morte è riconosciuta come condizione della vita, e così anche la sua regina condivide tale duplicità. Cleopatra è il “serpente del vecchio Nilo” (I, V, 25), simbolo della divinità e della continua rigenerazione della natura per la sua proprietà di cambiare pelle. Può procurare la morte ma può anche ricordare l’eternità, specie se si considera l’associazione del serpente con la sessualità e la generazione.
La duplicità, che caratterizza l’opera e, con essa, la ricchezza ed il fascino della sua protagonista, spiega la diversità di interpretazioni che questa tragedia può supportare. Janet Adelman, nel suo saggio “The Common Liar An Essay on Antony and Cleopatra”, esordisce presentando la problematicità della tragedia per quanti cercano di darne un’interpretazione univoca. Sia il modo in cui si presentano i personaggi, sia la struttura drammatica lasciano il lettore nell’incertezza. Non abbiamo la possibilità di penetrare, anche solo per poche battute, nell’interiorità dei personaggi, perché mancano i soliloqui. C’è da aggiungere, poi, che ogni evento è spesso accompagnato da una serie di commenti, che presentano visioni opposte. L’opera è strutturata drammaticamente con un’azione attorno a cui girano le opinioni dei vari personaggi, inclusi quelli minori. L’effetto che ne deriva è di una quantità di informazioni contrastanti, tra le quali è difficile decidere. La figura di Antonio presenta la maggior varietà di versioni: egli non è diviso semplicemente tra “il triplice pilastro del mondo” o il “giullare di una prostituta” (I, i, 12-13). Nel mezzo c’è la visione di Pompeo, che lo definisce “sensuale e ingordo” e poi aggiunge “La sua statura / di soldato supera del doppio gli altri due” (II, i, 33-35). Altre diversità si notano tra la visione intransigente di Cesare e quella più moderata di Lepido: l’uno dice “Troverete / in lui la somma di ogni colpa / di cui l’uomo si macchia”, e l’altro risponde “Non devo pensare ci siano in lui / tanti vizi da oscurare tutte le sue virtù” (I, iv, 8-11). Opinioni contrastanti si susseguono per tutta l’opera tra i soldati e gli ufficiali, tra coloro che abbandonano Antonio subito dopo Azio e coloro che rimangono accanto a lui, fino alla fine. Si riscontra nei ripensamenti di Enobarbo e nelle parole del soldato di Cesare “Il vostro generale è sempre un Giove” (IV, vi, 27 /28).
Il medesimo disagio che avvertiamo nel dare giudizi netti sui personaggi, si accresce nel tentare di rispondere a certe domande, come ad esempio: Antonio aveva premeditato di rientrare in Egitto dopo il suo ritorno in Occidente ed il matrimonio con Ottavia? La fuga delle navi di Cleopatra da Azio è un tradimento? La regina si sarebbe uccisa ugualmente se Ottaviano le avesse offerto una vera via d’uscita? Queste ed altre questioni accettano risposte radicalmente diverse, basate sulla sensibilità e le inclinazioni di chi legge, senza che si possa decidere completamente a favore di qualcuna.
Un altro fattore importante nel determinare la difficoltà di giudizio è che l’opera non si conforma interamente al modello tragico. Un’atmosfera più serena e soprattutto un finale, in cui i protagonisti sembrano trascendere la morte, l’avvicinano ai successivi romances, ma vi sono anche momenti che toccano il comico. La stessa Cleopatra raggiunge questo effetto quando sfoga la sua collera contro il messaggero che le riporta la notizia del matrimonio di Antonio (II, v), e soprattutto quando si preoccupa di farsi descrivere l’aspetto di Ottavia, costringendo il messaggero impaurito a soddisfare le sue aspettative (III, iii). Al di là della comicità di singole scene, la struttura drammatica è tipicamente comica. Il gran numero di commentatori ci offre una varietà di prospettive sui protagonisti, spesso irriverenti, che ci impediscono di condividere l’esperienza degli eroi – cosa che invece è caratteristica della tragedia.
Dall’intreccio e dalle difficoltà interpretative ne deriva che nell’opera il rapporto tra erotico e politico appaia come una particolare variante del più generale rapporto tra privato e pubblico (o politico). Una variazione che comprende il ruolo della vita privata nel contesto della comunità: in particolare, la conciliabilità dei due aspetti in vista del bene comune, ed i conflitti che questa dualità può provocare, fino a giungere al rischio di collasso dell’individuo e di un certo tipo di politica.
1 Comment
Dario
Analisi molto acuta e congrua. Condivido appieno approccio e punto di vista.