Nelle società occidentali, in una economia globalizzata come quella che conosciamo, la competitività non può seguire le stesse regole che conoscevamo negli ultimi decenni del secolo scorso. Prodotti e servizi sono sempre più simili, per qualità e modalità di accesso al mercato, qui da noi come in Cina, in India, nei paesi dell’Est europeo. Materie prime, macchinari e modalità di lavoro sono sempre più simili. Ecco perché non è più possibile affidarsi alla logica di “processo”. La competitività vera è sempre più evidentemente affidata a differenziali non materiali ed in quanto tali non gestibili con un approccio gestionale. Competenza, cultura di base, creatività, velocità di reazione di fronte ai cambiamenti ed alle occasioni, flessibilità: sono questi i nuovi elementi determinanti per qualsiasi sfida. Tutte qualità intrinsecamente legate alle persone. Ma visto che il Rinascimento italiano è finito da un pezzo inutile cercare una singola identità o idea geniale. E’ l’intelligenza collettiva, quella che si trova in ogni organizzazione, l’elemento essenziale su cui puntare. E’ incredibile quante energie creative contenga una qualsiasi organizzazione e quanto siano compresse ed inutilizzate dall’approccio gerarchico e dirigistico che in Italia è portato spesso al parossismo. Occorre rompere questo schema, occorre contare sulla capacità delle persone. Quello che è avvenuto in internet con l’esplosione dei social network non ha bisogno di esempi. Contemporaneamente occorre capire che esistono profonde differenze fra una “comunità di interessi” ed un gruppo di persone che lavorano in una azienda. Se non lo si fa, se si trasporta a livello Enterprise gli stessi meccanismi di relazione di Youtube o di Flikr, di Facebook o di Twitter, se ci si limita a fare un blog aziendale o a montare una wiki pretendendo diventi di per se stessa la base del knowledge aziendale si ripercorrono i passi inutili dei primi siti vetrina.
E questo perché una “Community” di interessi è finalizzata a se stessa, esistenza e scopo si equivalgono, mentre in una realtà economica, come è sempre una azienda o un ente, il fare comunità è finalizzato al raggiungimento di obiettivi esterni si chiamino essi fatturato, efficienza, riduzione dei tempi, qualità, capacità di fare team.
In una impresa, anche un ambiente che incoraggia la trasparenza, la condivisione del sapere, la coesione dei team e la motivazione ha, comunque degli obiettivi da raggiungere. Così, anche nell’ambito delle piattaforme social, la misura è data dall’incremento di efficienza e dal ROI.
Uno studio importante, vecchio di pochi mesi, ha analizzato come ognuno di noi impiega il proprio tempo di lavoro giornaliero. Ovviamente questo vale nei paesi avanzati, in un mondo fortemente dematerializzato e tecnicamente avanzato. Questo studio dimostra come ognuno di noi passi il 20% della propria giornata di lavoro a leggere e raccogliere dati, il 40% a svolgere il proprio compito, “lavorare” insomma, ed il restante 40% del tempo sia dedicato alle riunioni, alla conversazione con i colleghi, alla posta, a spostarsi da un ufficio all’altro, a organizzare il rapporto con colleghi dislocati diversamente, e anche alla pausa caffè. Tutte quelle azioni che vengono chiamate attività di relazione.
Ora è evidente che il primo 20% ed il secondo 40% del tempo sono coperti dalle applicazioni gestionali che anzi hanno il compito di accorciare il più possibile queste attività per incrementare l’efficienza aziendale. Ma il restante, ovvero più di un terzo della nostra vita lavorativa, con la tendenza ad espandersi oltre, è privo di ogni supporto organico capace di ricondurre a valore queste attività. E’ in quest’area che vanno inserite le piattaforme social. La loro forza è proprio quella di saper ricondurre a sintesi quello che viene normalmente disperso: costruire cultura aziendale attraverso la somma di piccoli riferimenti, competenza per mezzo di singole attività di ricerca destinate altrimenti a restare strettamente personali, memoria e best practicies con l’accumularsi di esperienze reali espresse in wiki e blogs. Se si pensa, poi, quanto del tempo delle riunioni in cui ognuno di noi è costretto, viene impiegato a allineare e informare i partecipanti, a discutere e farsi una opinione condivisa e quando poco ne resta, di quel tempo, per decidere e scegliere, allora si ha il senso della potenza e del valore che l’introduzione di una piattaforma di social enterprise può avere.
Tra i vantaggi principali, i plus legati all’introdurre questo modo di lavorare in azienda, faccio un semplice esempio per differenza. In ogni azienda di questo mondo qualcuno ha provato, prima o poi, ad introdurre un sistema di pianificazione delle attività, un microsoft project o similari. Dopo poco tempo è stato abbandonato o ben che vada confinato a disegnare schemi di gant a inizio attività. Non funziona e non potrà funzionare mai perché ogni attività impatta con il fattore umano che non è riconducibile dentro un milestone o un task. Quando si prova a farlo si è destinati a passare più tempo a riprogettare modifiche di pianificazione che a fare realmente l’attività aspettata. Avere il coraggio di destrutturare e paralellizzare contando sulle capacità di “problem solving” del proprio gruppo di lavoro, portare a valore l’intelligenza collettiva, dare identità e senso della prospettiva collocando i singoli parziali obiettivi nel quadro dello scopo finale dà vantaggi che nessuna certosina pianificazione potrà mai dare. I campi di applicazioni sono illimitati.
Dobbiamo parlare poi di ROI per un progetto di questa natura. Non esiste un investimento di successo che non abbia un ritorno nel tempo. E questo tempo deve necessariamente essere altrettanto misurabile. Dal mio punto di vista l’adozione di piattaforme social all’interno di una impresa interviene la dove i gestionali e i sistemi erp non sono in grado di intervenire. Crea valore dall’attività che talvolta viene considerata marginale e da quelle non codificate. Coinvolge le persone e ne ridistribuisce il sapere a livello di gruppo. Cresce di valore nell’uso sedimentando e stratificando coscienza collettiva. Non esiste una formula matematica da applicare quindi per il calcolo del ROI ma certamente, settore per settore, obiettivo per obiettivo, sarà possibile calcolare i risparmi ed i benefici ottenuti implementando piattaforme social come we+workspace.
Se così non fosse o se volessimo sfuggire a questa tematica l’Enterprise 2.0 entrerebbe nell’alveo delle cose marginali, di quelle da fare per pura immagine. Sappiamo che così non è. Sappiamo che la crescita aspettata per questo segmento è altissima come dimostrato da tutti gli analisti.
Tratto da: Noi è meglio -Guida wiki al business 2.0, di B. Libert, J. Spector, ETAS, 2008
Edizione italiana a cura di Leonardo Bellini