La domanda è: esiste una qualche differenza tra un paesaggio e un paesaggio altro? Se il paesaggio, almeno nella sua accezione scientifica, è tutto ciò che esiste, una sua classazione risulta debita? Se sì, quale? Si possono istituire differenze di contenuto o si conviene che tra un ambiente percettivo ed un altro insistano esclusive configurazioni di grado? E’ valida la pretesa estetica che vuole un paesaggio come un insieme di forme, linee, luci, colori atti a stimolare il moto animistico-psicologico degli uomini? E, di converso, esiste un “contenuto” paesaggistico, significante, funzionale e materiale?
Crediamo che l’ambivalenza dell’oggetto paesaggio debba essere mantenuta, anzi radicalizzata; a noi pare non sia più tempo di parassitare su commistioni insulse, mediazioni di circostanza o su coltri di ipocrite leccaggini: occorre ripristinare alcuni confini concettuali, che solo una stantia muffa intellettuale ha mantenuto per anni nel limbo della incapacità concettuale (forse per truffa o idiosincrasia), a causa dell’insensibilità gnosica degli architetti paesaggisti ma anche per via di assurde, ingiustificabili, prese di posizione olisticamente militanti.
Intendiamo ri-problematizzare la dicotomia antica, quella sobillamente archiviata col verdetto impostore dell’idealismo di maniera, affetto da fariseismo camuffato con facili confusioni ed apparati convenevoli. Ripristino dell’IO e del TU, del soggetto e dell’oggetto, della forma e del contenuto: recupero del senso etico contro il senso estetico.
Anche nell’architettura del paesaggio e del giardino.
Un aut-aut in termini di dialettica non mediabile, o l’uno o l’altro, non un terzo. L’uso degli opposti disgiuntivi non è casuale, volendo qui servirsi delle argomentazioni del capolavoro del grande filosofo danese Søren Kierkegaard per cercare di rinverdire, con la sua illuminante analisi sul paradosso etica-estetica, quello steccato irredimibile che asperge e zonizza la Filosofia del Paesaggio. Per Kierkegaard conoscere qualcosa significa conoscere non un oggetto ma un TU, l’atto gnoseologico mette faccia a faccia una singolarità ad un’altra singolarità; il gioco dialogico dell’IO di fronte al TU è posto in essere da Kierkegaard in antitesi all’universale livellante della speculazione, per la quale l’atto conosciuto e conoscente si equivalgono intercambiabili. Quello che qui si intende affrontare è un concetto centrale di Paesaggio le cui qualità ne prevedono la non vicariabilità.
Come nel grande tema dell’Umanesimo il soggetto è autodegno nella sua imprescindibile unicità, la dignità di un Paesaggio così inteso non ignora le differenze, trascende l’omogeneizzazione della produzione estetica capitalistica, dove ogni forma è merce funzionale e coercitiva per il progettista incaricato. Il Paesaggio Etico è dunque indocilmente renitente nei confronti di quello Estetico; il primo non falsifica il mondo, il secondo si mette in scena: il Paesaggio Etico non rinuncia al suo autentico ufficio per alienarsi al potere mascherato della mimesi impersonale delle merci.
L’estetizzazione del Paesaggio equivale all’estetizzazione dell’esistenza, l’altra faccia del totalitarismo, la svendita al mondo demoniaco dell’immagine patinata, immediatamente consumabile.
L’esteta vive solo nell’istante. Così come l’esteta, anche il Paesaggio Estetico non conosce un prima e un poi, essendo ogni sua configurazione, ogni suo se stesso, che è l’altro identico a sé, una pura autorivelazione, un prodotto emotivo raccolto in un istante.
Ogni istante ha valore in sé ed il Paesaggio Estetico vuole cogliere proprio le differenze di tipologia architettonica dell’arte immobile nell’ideale immoto eppure non indispensabile, nella fissità individuale di una eterogeneità da catalogo STANDA. Il Paesaggio Estetico veste le differenze, ma si risolve in un’indifferenza totale: ogni scorcio, ogni giardino, ogni progetto è una differenza, che vale di per sé; ogni Paesaggio Estetico è un tutto, inconfrontabile, non relazionabile, cellulare. L’esteta sceglie nel Paesaggio Estetico la differenza di una bellezza rispetto ad un’altra bellezza, in un movimento dove tutto è diverso da tutto, ma tutto è giustificato perché nella sua pretticità è uguale a tutto. Per l’esteta, una vita vale l’altra, una donna vale l’altra, un Paesaggio vale l’altro.
Kierkegaard rintraccia la patologia nevrotica e angosciante del meccanismo estetico nell’atto erotico-musicale, ma niente c’impedisce, in questa sede, di trattenerlo per applicarlo produttivamente ai nostri materiali d’indagine. Quel che davvero conta è che l’esteta, justa propria principia, trova da solo la contraddizione: occorre allora fare una scelta. L’esteta sa scegliere, riconosce le differenze, ma sceglie non tra questo e quello, ma questo e quello.
Il turista estetico e non etico del paesaggio detiene totipotente il catalogo delle alternative, le apprezza tutte, le sfoglia come prostitute, ognuna passibile di eventuale utilizzazione, all’istante, nell’istante. L’esteta sceglie l’equivalente del contesto, in virtù delle coordinate di questo e perciò, in realtà, non sceglie proprio un bel niente. Il turista estetico e non eticop del Paesaggio viene semmai scelto, è selezionato da, non utilizzato per.
Al determinismo anonimo dell’istante il Paesaggio Etico oppone invece un sii vero, sii te stesso, nel tempo perenne della fedeltà alla verità del Paesaggio stesso: il Paesaggio Etico è identico a se stesso, non si prostituisce all’altro da sé, non è più una piatta coordinata spazio-temporale, ma una mediata, razionale, produzione naturale, certo artefatta, comunque antropologica, funzionale, qualificata, ecologica. Alla mutezza dovuta all’assenza di strumenti di discriminazione dell’esteta fa fronte la libertà della morale del Paesaggio Etico; l’esteta si sottrae al dominio della ragione e del linguaggio scientifico, alla realtà logica del mondo; si sottrae, cioè, al medio del dover essere, per essere senza dovere. L’essere dell’esteta rifiuta l’identità a favore del plurimo, del dionisiaco orgiastico, fuori da sé, in maschera, irradiante di luce riflessa, una cera assolutamente indeterminata, impressa dal capriccio di un timbro.
Il Paesaggio Estetico è come Don Giovanni, privo d’identità, debole, agibile, mancante, si offre all’altro, non ha peculiarità ma è materia malleabile, una mera cornice in cui l’altro viene a scoprirsi, a desiderarsi, a svelarsi narcisisticamente.
Il Paesaggio Estetico è la soppressione dell’IO.