Già lo stesso Freud si interessò all’arte. Egli definisce l’artista come “uomo che si distacca dalla realtà poiché non riesce ad adattarsi alla rinuncia al soddisfacimento pulsionale che la realtà inizialmente esige, e lascia che i suoi desideri di amore e di gloria si realizzino nella vita della fantasia” (1911). L’artista, cioè, “trasforma le sue fantasie in una creazione artistica invece che in sintomi” (ibidem). Per cui, il prodotto artistico si rivela specchio del mondo interno del soggetto, delle sue strutture e dei suoi processi psichici, e la creazione artistica diventa materiale di interpretazione per l’analista.
Anche se è evidente la concezione patologica dell’arte (Freud coniò anche il termine patografia), e l’attenzione rimane sul prodotto più che sul processo artistico, resta però il fatto che già Freud aveva colto la straordinaria peculiarità dell’arte come strumento privilegiato di accesso ed espressione dei propri contenuti interni.