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Azienda e Organizzazione

L’Agenda Setting

La teoria dell’agenda setting, elaborata sul finire degli anni Settanta da Maxwell, E. Mc Combs e Donald Shaw nell’ambito di una ricerca riguardante l’informazione prodotta nel corso della campagna presidenziale americana del 1968, rappresenta un modello interpretativo ancora oggi funzionale per spiegare il complesso rapporto che intercorre tra i mezzi di comunicazione di massa e il pubblico.
La teoria dell’agenda setting sostiene che, in conseguenza dell’azione dei mezzi di informazione di massa come quotidiani o televisione, la gente tende a includere o escludere dalle proprie conoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio contenuto.
Come scrive Mauro Wolf nell’opera Teoria delle comunicazioni di massa, l’ipotesi dell’agenda setting asserisce che i mass media offrono al destinatario «”l’ordine del giorno” dei temi, argomenti e problemi presenti nell’agenda dei media» e «la gerarchia di importanza e di priorità con cui tali elementi sono disposti nell’ “ordine del giorno”».
Ciò non significa che la stampa riesca a spingere il pubblico ad adottare un particolare punto di vista, ma che riesce a far sì che le persone considerino alcuni temi come più importanti di altri; i media, cioè, non dicono esplicitamente alla gente cosa pensare, bensì su cosa pensare, offrono una lista di eventi riguardo cui pensare qualcosa.
Senza contare la possibilità che i media hanno di distorcere o manipolare, più o meno intenzionalmente, la visione della realtà offerta ai loro fruitori.
Molti degli effetti sul pubblico derivano da una “distorsione involontaria” della realtà da parte dei media (un esempio banale: quante volte i TG sbagliano nel riferire il nome di una persona, o la data in cui un determinato fatto è accaduto?), anche se spesso la possibilità di strutturare la realtà è sfruttata scientificamente.
Al proposito di indicare eventi sostanzialmente costruiti per calamitare l’attenzione o creare una particolare impressione nel pubblico è stato coniato il termine “pseudo-eventi”.
L’allestimento di pseudo-eventi è ormai una tattica ben nota in molte campagne elettorali (e non solo), ma più significativa è l’eventualità che un’alta percentuale di cronaca dell ”attualità” nei media sia fatta in realtà di eventi studiati per impressionare favorevolmente nell’interesse di qualcuno.
Gli organi d’informazione, che siano telegiornali o quotidiani, hanno il potere di scegliere cosa la gente debba o non debba sapere e anche la maggiore o minore rilevanza di determinati argomenti, utilizzando espedienti di cui avrò modo di parlare in seguito.
Il potere di agenda dei media è forte soprattutto in virtù del fatto che nella nostra società le persone raramente riescono ad avere fonti diverse dai media stessi per ampliare la lista dei temi con i quali confrontarsi e verificare l’accuratezza e l’obiettività delle notizie ricevute.
In un lavoro del 1922, L’opinione pubblica, antecedente quindi alla teoria dell’agenda setting, l’autore Walter Lippmann riportava molti esempi che dimostrano come le caratteristiche del mondo reale abbiano spesso uno scarso rapporto con le opinioni che le persone hanno di quello stesso mondo.
Il lavoro di Lipmann dimostrava già all’epoca che le interpretazioni che la stampa dà degli eventi possono radicalmente alterare la decodifica della realtà da parte del pubblico ed i conseguenti modelli d’azione.
Lipmann cita l’esempio dell’Europa del 1914, al momento dello scoppio della Prima guerra mondiale. Per diversi giorni molte persone non seppero http:\\/\\/psicolab.neta dell’inizio della guerra. In tutto il mondo la gente continuò a produrre beni che non sarebbero mai stati consegnati, a comprare all’estero beni che non sarebbero mai stati importati, a fare progetti di carriera e a pianificare iniziative che non si sarebbero mai realizzate. In altre parole, vivevano in un mondo la cui raffigurazione sarebbe radicalmente cambiata quando sarebbe giunta la notizia della guerra.
Alle stesse conclusioni, anche se per vie diverse, arrivarono Hartman e Husband nel 1974 quando, nel loro studio di come i bambini arrivassero a definire il “problema” razziale mostrarono che, specialmente in mancanza di un’esperienza personale, venivano accolte le definizioni dominanti nei media.
Inoltre, come sosteneva il sociologo Marshall McLuhan, «il medium è il messaggio», cioè il messaggio, nel nostro caso l’agenda dei temi da proporre al pubblico, è influenzato dal mezzo: stampa e televisione, anche se possono suggestionarsi reciprocamente, differiscono nella scelta degli argomenti da enfatizzare.
Queste riflessioni non devono però indurci a pensare che lo spettatore sia completamente dipendente e passivo di fronte al potere dei media; il paradigma secondo cui i media sono un soggetto attivo e il fruitore un soggetto passivo che “assorbe” tutto ciò che gli viene proposto è un assunto della teoria ipodermica (altrimenti definita anche teoria del proiettile magico o teoria della cinghia di trasmissione), ad oggi largamente superato.
I media producono delle notizie che i destinatari sono liberi di rifiutare o meno, ad esempio scegliendo di rimanere fedele ad una testata oppure decidendo di acquistarne un’altra; i fruitori sono anche liberi di leggere più quotidiani al giorno o vedere diversi telegiornali, in modo da ottenere un’informazione a tuttotondo, il più esauriente possibile.
I mezzi di comunicazione di massa, a loro volta, a seconda dei segnali inviati dai destinatari dell’informazione, possono riformulare le loro strategie editoriali; dobbiamo aver sempre presente, infatti, che i quotidiani sono un prodotto commerciale, e come tale sono soggetti, come qualsiasi merce, al riposizionamento del prodotto, qualora non si fosse colpito adeguatamente il target prefissato.
Dobbiamo ricordare inoltre che la maggiore forma di sostentamento di un quotidiano (come di una rete televisiva, del resto) è la pubblicità, perciò a volte l’informazione viene manipolata sotto l’influsso di potenze economiche e politiche.
Le ripercussioni della logica di mercato, perciò, influiscono direttamente sulla quantità e la qualità del sapere dei cittadini che, come abbiamo visto, hanno nei mass media la loro unica fonte di informazione.
Dunque, l’immagine che i mass media ci offrono del mondo circostante spesso si trova lontana dal rispecchiare la realtà, in quanto viziata dalle pressioni esercitate direttamente o indirettamente a livello economico o a livello politico.
Ma, oltre alle influenze esterne, a condizionare l’informazione offertaci dai media ci sono anche logiche interne che condizionano i processi di produzione, ignoti ai non addetti ai lavori; queste logiche orientano la redazione sia nel momento della selezione dei fatti potenzialmente notiziabili, sia nel processo di trasformazione del fatto “nudo e crudo” in notizia.


McQuail D. 1996
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Marta Maddaloni

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