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Psicoterapia e Psicoanalisi

La Terapia della Gestalt

Cenni storici: Friz Perls e la nascita della Terapia della Gestalt
La terapia della Gestalt nasce intorno al 1950 ad opera di Frederick Perls, con la collaborazione di R. Hefferline e P. Goodman.
Frederick Perls, chiamato Friz, nasce a Berlino nel 1893. Adolescente indisciplinato e ribelle, si avvicina al teatro, ed in particolare alla scuola di Reinhardt, basata su una profonda conoscenza e su un ampio utilizzo del linguaggio del corpo.
A Berlino si laurea in medicina, e pochi anni dopo la laurea si forma presso l´istituto di psicoanalisi classica. Verso il proprio ambiente professionale Perls nutre, però, sentimenti di diffidenza ed estraneità, e preferisce frequentare gli ambienti della controcultura della sinistra, degli anarchici, e degli artisti di teatro.
L´incontro e la frequentazione con Karen Horney e Wilhelm Reich, “analisi dissidenti” (Schutzenberger, 1977, p.65), segna un punto di svolta. Perls si allontana sempre di più dalla psicoanalisi ortodossa, e nella sua prima opera Ego, Hunger and Aggression (1947) espone una serie di concetti che lo collocano definitivamente fuori dalla psicoanalisi: la fame, espressione dell´istinto di conservazione della specie, e non la libido, è considerata la principale motivazione dell´individuo. Perls anticipa inoltre alcuni temi che troveranno più ampio sviluppo nella sua Terapia della Gestalt: l´importanza del tempo presente rispetto alla focalizzazione archeologica sul passato; l´attenzione per il corpo e il suo linguaggio; l´attitudine per la sintesi più che per l´analisi; la messa in discussione della nevrosi di transfert come forma di evitamento di un contatto più diretto tra paziente e analista; una revisione dei meccanismi di difesa; l´utilizzazione della prima persona singolare come forma di appropriazione delle proprie emozioni; una visione olistica dell´individuo all´interno del proprio ambiente.
Durante la seconda guerra mondiale Perls, di origine ebraiche, si trasferisce prima in Sud Africa e poi negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni naziste. Qui si interessa alle nuove forme di terapia, tra cui la Dianetica di Ron Hubbard e, soprattutto, lo Psicodramma di Moreno, da cui erediterà l´utilizzo della drammatizzazione come tecnica terapeutica.
Nel 1951 nasce ufficialmente la Terapia della Gestalt, con la pubblicazione di Gestalt Therapy: excitement and growth in the human personality in cui Perls, con la collaborazione di Hefferline e Goodman, espone i principi teorici e metodologici della sua nuova forma di psicoterapia.
Il nuovo approccio, dopo alcuni anni di incubazione, si diffuse con forza inaspettata, sia negli Stati Uniti che in Europa.
La terapia della gestalt è, essenzialmente, terapia dell´autoconsapevolezza, e deriva da una sintesi coerente di più correnti filosofiche, metodologiche e terapeutiche, sia europee che americane ed orientali.

Fondamenti teorici della Terapia della Gestalt
I principali fondamenti teorici della terapia della gestalt derivano dalla psicologia della forma.
In particolare, Perls deriva dalla teoria del campo di Kurt Lewin, il principio secondo il quale

L´individuo è inevitabilmente, in ogni momento, parte di qualche campo. Il suo comportamento è una funzione del campo totale, che comprende lui e l´ambiente. (Perls, 1973, p.27)

La spiegazione circa le dinamiche interagenti nel campo è arricchita da Perls mediante il riferimento al principio di autoregolazione organismica di Kurt Goldstein (secondo il quale tra individuo e ambiente c´è una continua negoziazione tesa all´attualizzazione delle risorse potenziali e al raggiungimento della situazione ottimale dal punto di vista del riequilibrio energetico), e agli studi sulla dinamica figura-sfondo. Studi, che Rubin aveva condotto nel campo della percezione visiva e che Perls traspone in campo psichico per spiegare il processo attraverso il quale l´individuo percepisce gli elementi più rilevanti in un dato momento nel campo come l´emergere di una figura sullo sfondo.
La configurazione del campo individuo-ambiente, dunque, dipende dall´equilibrio che si stabilisce tra le forze di attrazione e repulsione che, in un dato momento, attraversano il campo, sia in direzione degli elementi esterni all´individuo che in direzione di quelli del suo mondo interiore.
Ogni qual volta l´individuo percepisce un bisogno, o un elemento esterno verso il quale è “caricato” energeticamente (sia in senso positivo che negativo) si presenta a lui, l´equilibrio del campo viene sconvolto: una gestalt si apre e chiede di essere conclusa. Se l´individuo sarà capace, di volta in volta, di identificare i suoi bisogni dominanti, che emergono come figure sullo sfondo, e di instaurare con l´ambiente il contatto più adeguato per la loro soddisfazione, allora l´equilibrio sarà ripristinato, la gestalt potrà essere conclusa, e l´individuo sarà pronto per nuove esperienze, nuovi contatti con l´ambiente, nuove gestalt. Se, invece, il processo omeostatico fallisce, perché l´individuo non è stato capace di identificare i suoi reali bisogni, o perché non ha saputo stabilire con il suo ambiente un contatto adeguato, la gestalt non si chiude, rimane inconclusa; e una gestalt inconclusa pone continue interferenze al flusso di scambi tra l´individuo e l´ambiente, determinando una certa fissità nelle modalità con cui questi manipola e interagisce con l´ambiente stesso. L´elemento che differenzia maggiormente l´individuo sano da quello nevrotico è, infatti, per Perls proprio l´elemento di mobilità.
Un modello sano di funzionamento prevede, dunque, un continuo, armonico e ritmato processo di apertura e chiusura verso l´ambiente, o come direbbe Perls, di contatto e ritiro:

Se il contatto è troppo prolungato diventa inefficace o doloroso; se il ritiro è troppo prolungato interferisce nei processi vitali. Contatto e ritiro, in una struttura ritmica sono, sono i mezzi per soddisfare i nostri bisogni, per continuare i processi costanti della vita stessa. (Ibidem, p.33)

I disturbi psicologici nella terapia della Gestalt
Il concetto di contatto è centrale nelle formulazioni di Perls: il contatto, e il suo opposto dialettico, il ritiro, come abbiamo visto, sono gli strumenti che ci consentono di orientarci nel mondo e di soddisfare i nostri bisogni. Il confine di contatto rappresenta l´interfaccia che connette l´individuo all´ambiente (sia interno che esterno) e, quindi, quel luogo privilegiato che segna la differenziazione tra sé e altro da sé; le nevrosi stesse sono concettualizzate come “disturbi di confine”.

Tutti i disturbi nevrotici derivano dall´incapacità di trovare e mantenere il giusto equilibrio tra sé e il resto del mondo. (Ibidem, p.39).

Per cui, nella terapia della gestalt, l´attenzione è posta sull´esplorazione dei confini e, soprattutto, delle modalità con cui avviene l´esperienza di contatto al confine, cercando di identificare eventuali blocchi o interruzioni. Molto spesso le interruzioni di contatto sono il frutto di un´esperienza traumatica o di tante piccole situazioni in cui l´interruzione costituiva l´unica risposta adattiva disponibile. Nel corso del tempo le interruzioni di contatto diventano modalità apprese, automatismi, che fanno parte di noi e che scompaiono dalla nostra consapevolezza.
Sono quattro, secondo Perls, i meccanismi attraverso i quali l´individuo distorce o interrompe il contatto e, quindi, attraverso i quali si attua la nevrosi: introiezione, proiezione, retroflessione e confluenza.
introiezione è quel meccanismo per il quale gli elementi dell´ambiente esterno (fisico, ma soprattutto sociale) vengono accettati senza essere realmente assimilati e integrati. Gli introietti, al pari di un cibo ingerito senza essere masticato e digerito, sono indigesti e provocano disgusto. L´uomo che introietta perde l´opportunità di sviluppare la propria personalità “giacchè è occupatissimo a tenere a bada i corpi estranei alloggiati nel suo sistema” (Ibidem, p.41), ed è soggetto, inoltre, al pericolo di disintegrazione della personalità stessa, dal momento in cui è possibile che introietti concetti incompatibili tra loro.

Nell´introiezione, abbiamo spostato tanto al nostro interno il confine tra noi e il resto del mondo che non rimane quasi http:\\/\\/psicolab.neta del nostro vero essere. (Ibidem, p.42)

Il contrario dell´introiezione e la proiezione. In questo caso il confine tra sè e il resto del mondo è spostato verso l´esterno, e si tende a rinnegare e ad attribuire agli altri le parti della propria personalità ritenute più difficili e sgradevoli. Anche la proiezione, dunque, mette a grave rischio l´integrità della personalità.
La retroflessione consiste invece nel fare a sé stesso ciò che si vorrebbe fare ad altri. Chi retroflette sostituisce se stesso all´ambiente esterno come bersaglio del comportamento, e così facendo scinde letteralmente la propria personalità in colui che agisce e colui che subisce: la linea di confine tra sé e l´ambiente passa esattamente per il centro di sé stesso.
Quando, invece, l´individuo non percepisce più alcun confine tra sé e l´ambiente egli è in confluenza con l´ambiente. La mancata percezione del confine rende impossibile sia il senso di sé che il contatto con gli altri.

Il trattamento dei disturbi nella terapia della Gestalt
Nel corso della terapia, quindi

(…) dobbiamo ristabilire la capacità di discriminazione del nevrotico. Dobbiamo aiutarlo a scoprire cos´è e cosa non è lui stesso; cosa lo realizza e cosa lo frustra. Dobbiamo guidarlo verso l´integrazione. Dobbiamo assisterlo nella ricerca del giusto equilibrio e del confine tra sé e il resto del mondo. (Ibidem, p.48)

(…) il paziente deve tornare in sè, tornare ai suoi sensi. (…) Deve smettere di allucinare, di trasferire e proiettare. Deve smettere di retroflettere e di interrompersi. (Ibidem, p.97)

Nel far ciò l´attenzione è posta sul qui e ora, piuttosto che sul lì e allora, e sul come, piuttosto che sul perché.
Perls critica l´approccio delle terapie tradizionali basto sulla ricostruzione storica e l´interpretazione per vari motivi. Prima di tutto ritiene limitante il focalizzarsi su di un unico insieme di cause (i conflitti passati), in quanto un tale approccio rende l´analisi cieca a tutti gli altri fattori; inoltre egli mette in dubbio il fatto che basare la terapia sulla ricerca dei perché della nevrosi risolva davvero il problema.

Finché si continuerà a nutrire con interpretazioni tali pazienti, soprattutto quelli bloccati emotivamente, essi si rannicchieranno contenti nel bozzolo della loro nevrosi, ronfando beatamente. (Ibidem, p.76)

Se, invece, il soggetto diventa veramente consapevole del come delle proprie interruzioni, cioè di come, piuttosto che perché, nel qui e ora, egli produce le proprie difficoltà, allora potrà aiutarsi da sé a risolverle nel presente.

Per dissolvere un sintomo nevrotico (…) si ha bisogno della consapevolezza del sintomo in tutta la sua complessità, non di un´introspezione intellettuale, né di spiegazioni. (Perls, 1947, p.241)

Le domande che iniziano con un ´perché´ non danno luogo ad altro che a risposte belle e pronte, a difese, a razionalizzazioni, a pretesti, e al delirio che un evento è spiegabile con una sola causa. (…) Non è così per il ´come´. Il ´come´ indaga sulla struttura di un evento, e una volta chiarita la struttura tutti i perché ricevono automaticamente una risposta. (Perls, 1973, p.75)

Perls non nega che spesso l´origine dei propri problemi, delle proprie gestalt inconcluse, abbia luogo nel passato, ma focalizza l´attenzione sul fatto che questi siano prima di tutto operanti nel qui e ora, e che è solo nel presente che possono essere affrontati e risolti.

Per chiudere definitivamente il libro sui problemi passati, il paziente deve chiuderlo nel presente (ibidem, p.65)

Le principali tecniche terapeutiche della Terapia della Gestalt
L´autoconsapevolezza è, dunque, uno degli obiettivi primari, forse, l´obiettivo primario della terapia della gestalt. Una delle tecniche principali finalizzata, appunto, ad accrescere in tutti i sensi la consapevolezza del paziente è la così detta tecnica della consapevolezza:

La nostra tecnica per sviluppare l´autoconsapevolezza consiste nell´estendere in ogni direzione le aree dell´attuale consapevolezza. Per riuscire in questo è necessario portare alla vostra attenzione le vostre esperienze che preferireste evitare e non riconoscere come vostre. In seguito verrà lentamente alla luce l´intero sistema di blocchi su cui si basa la vostra abitudine, l´abituale strategia di resistenza alla consapevolezza. (Perls, 1951, p.91)

Sono cinque le domande, ormai diventate classiche, con le quali il terapeuta della Gestalt favorisce il processo di autoconsapevolezza (Perls, 1973, pp.73-74): “Cosa fa?”, “Cosa sente?”, “Cosa vuole?”, “Cosa evita?”, “Cosa si aspetta?”.
Il lavoro sulla consapevolezza prevede infatti più livelli di indagine; Perls usa la metafora del “pelare la cipolla” (ibidem, p.73): si parte dalle bucce in superficie, il comportamento osservabile (cosa fa?), per poi passare via via agli strati più profondi, le sensazioni e le emozioni (cosa sente?), e in fine i processi cognitivi e volitivi (cosa vuole?; cosa evita?; cosa aspetta?) . Il terapeuta darà moltissima importanza anche alle risposte non verbali del soggetto in quanto, mentre il linguaggio mente, il corpo è più sincero, e spesso svela quando e come il paziente mette in atto le sue strategie automanipolative e difensive.
La tecnica della consapevolezza è essenzialmente una tecnica interrogativa (ibidem, p.75), che Perls contrappone e preferisce a quella assertivo- interpretativa affinché

(…) il peso del riconoscimento e dell´azione spetti alla persona giusta: cioè al paziente. (Ibidem, p.75)

Il compito del terapeuta è, dunque, solo quello di accompagnare il soggetto in questo, mai indolore, processo di consapevolezza, portandolo faccia a faccia con le sue contraddizioni e con gli aspetti negati di sé.
Lo scopo è quello di responsabilizzare il paziente: sentirsi responsabili della propria vita, della propria sofferenza come del proprio benessere, è infatti un requisito fondamentale per giungere all´autoconsapevolezza e l´autoappoggio
Perls ha inoltre incorporato nella sua terapia della gestalt anche la tecnica psicodrammatica. La tecnica moreniana, infatti, si sposa perfettamente con gli obiettivi dell’autoconsapevolezza e dell´adattamento creativo. Attraverso l´azione psicodrammatica il soggetto, non solo raggiunge una migliore comprensione di sé, ma può anche riscattarsi una volta per tutte dai blocchi e dalle interruzioni originatesi in passato, sperimentare nuove modalità di contatto con il mondo esterno, ma anche con se stesso, assimilare e integrare l´evento incompiuto nel qui e ora, infine, chiudere la gestalt.
La tecnica psicodrammatica, così come viene utilizzata nell´ambito della terapia della gestalt, presenta comunque alcune differenze rispetto allo psicodramma classico.
Il paziente non si muove su un palcoscenico, ma si siede sulla “sedia che scotta”, detta anche sedia bersaglio. Da quel momento in poi il gruppo recede sullo sfondo, e l´attenzione del terapeuta è interamente focalizzata sul soggetto. Il gruppo infatti, nella terapia della gestalt, non partecipa attivamente, nelle vesti di io ausiliario, alla rappresentazione del soggetto, ma si limita al ruolo di spettatore e di cassa di risonanza. Il protagonista di turno, dunque, interpreta da solo tutti i ruoli presenti sulla scena che ha deciso di rappresentare, e anche l´inversione di ruoli avviene tra sé e sé, con l´aiuto di una sedia vuota.

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