Andando ad affrontare sommariamente, un tema più specifico legato alla struttura dell’io, all’affettività e allo sviluppo della personalità femminile, in relazione alle condotte devianti e/o criminali, sembra utile sottolineare alcuni aspetti essenziali.La “passività femminile” subisce l’influenza dell’educazione, dell’ordine sociale e culturale tra mondo interno e esterno. La donna subisce delle imposizioni dall’uomo per sottometterla a causa del sentimento di paura che esso sviluppa perché percepisce un essere umano diverso, più “irrazionale” ed emotivo, sempre a causa delle sue conformazioni biologiche diverse (mestruazioni, gravidanza e parto).Sono note infatti, le condizioni di estrema subalternità che troviamo in Paesi, quali l’Africa Orientale, il Sudafrica, tra i Paesi Arabi ecc… Quindi partendo dalla natura fisiologico-biologica “passiva” della donna, il passo per poter difendere armonicamente il proprio Io sembra essere la protezione della natura femminile, in quanto tale, per combattere i pericoli legati alla differenza di genere, come conseguenza dell’impossibilità di agire sulle frustrazioni esterne. Ma la comprensione della psicologia femminile, sarebbe scarsa e riduttiva se si continuasse a incentrare il problema, solo sulla sessualità.Anche Lombroso[1] e Ferrero[2] facendo un’analisi della donna criminale, scoprono che molto è legato alla funzione principale della donna che è appunto la maternità per il semplice motivo che essa comporta sacrificio fisico e psicologico, dal quale deriva una mutilazione dello sviluppo fisico.La donna delinquente è più facilmente dell’uomo una delinquente occasionale, che viene comunque percepita come particolarmente innaturale perché mascolina e caratterizzata da un’inversione di tutte le qualità che si percepiscono nella donna normale quali la riservatezza, la docilità ecc…Un’immagine popolare della donna delinquente, ritrovabile spesso nella letteratura scientifica positivista, è quello della donna poco femminile e che anzi assume tratti fisici e caratteriali “contro natura”.La presenza femminile nelle bande, non veniva considerata come normale, perché statisticamente non era significativa quindi le donne della gang erano devianti in primo luogo rispetto al loro ruolo, ed erano etichettate come “maschiacci”.Quando Lombroso parla delle donne criminali e dei loro caratteri “mascolini”, dal suo punto di vista, esse presentano più intelligenza, più attivismo e più vivacità di quanto mediamente ne possiedono le cosiddette donne “normali”, di solito meno evolute, meno attive e meno intelligenti del maschio. Ricordiamo, di Lombroso, il testo scritto nel 1893 con G. Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale: qui la donna viene descritta come appartenente a un sesso inferiore. La ‘donna normale’ non è che una ‘semi-criminale innocua’, la prostituta è una regressione della donna normale (la donna primitiva è una prostituta, non una criminale), mentre la criminale è un fenomeno mostruoso, in quanto unisce alle caratteristiche della donna normale, intelligenza e astuzia.
E con queste motivazioni veniva liquidato il dato statistico sulla netta inferiorità numerica delle donne tra gli autori di reato e tra i carcerati.
L’inizio del processo di cambiamento della condizione femminile nelle società occidentali poteva far pensare ad un cambiamento anche per quanto riguarda l’incidenza dei reati compiuti da donne. Invece questo particolare aspetto del comportamento femminile è rimasto immutato.
Tassi di arresti molto bassi, natura banale dei reati commessi, scarsissima presenza nelle prigioni: questi continuano ad essere ancora oggi i dati della delinquenza femminile. La causa della criminalità risiede nelle ataviche alterazioni organiche del cervello che taluni individui “delinquenti nati”, presenterebbero fin dalla nascita, talchè essi sono visti come predestinati al delitto. Tali alterazioni fanno sì che in tale individuo le pulsioni aggressive erompano all’esterno senza freni inibitori, come se l’uomo regredisse a una fase primitiva del suo sviluppo psicologico. Tale teoria non funziona allo stesso modo con le donne perché non sono così psicologicamente sviluppate come gli uomini, quindi hanno meno possibilità di regredire.[3] In campo sociologico è da segnalare la relazione tenuta da Di Gennaro nel 1968 a un convegno organizzato a Milano sulla criminalità femminile. Egli considera i presenti e gli entrati in istituti, in vari periodi e in Paesi diversi e rileva che le donne delinquono meno in percentuale rispetto agli uomini; rileva la tendenza della criminalità femminile a diminuire con il passare degli anni, fatta eccezione per i periodi interessati da eventi bellici, in cui la criminalità femminile aumenterebbe.La criminalità femminile[4] si distingue, inoltre, per il tipo di reato:
omicidio per avvelenamento, infanticidio e aborto;
furto nei grandi magazzini, ricettazione e truffa;
abbandono dei bambini, corruzione dei minori.
La criminale nota, geneticamente più vicina al sesso maschile che a quello femminile, in quanto del tutto priva dell’istinto materno, detiene tutte le caratteristiche criminali dell’uomo unite alle peggiori caratteristiche della donna, quali la falsità, l’astuzia e il rancore. Sembrerebbe di ritrovare alla base della delinquenza femminile, caratteristiche come vagabondaggio, irregolarità sessuali e anomalie dell’istinto materno; mentre un intenso bisogno d’amore le spingerebbe alla devianza, e in particolare alla prostituzione.
L’arco di tempo caratterizzato dall’emancipazione femminile, smentirebbe il rapporto tra evoluzione della donna e l’andamento della criminalità femminile. Si ipotizza che la criminalità femminile abbia la peculiarità di essere in minor misura una delinquenza occasionale. Quindi la donna che delinque per qualsiasi motivo, tenderebbe a persistere sulla via del delitto.
[1] C. Lombroso, L’uomo delinquente, Hoepli, Milano, 1984.
[2] G. Gennaro, Manuale di sociologia della devianza, F. Angeli, Milano, 1991.
[3] Cesare Lombroso in, La criminalità femminile tra stereotipi culturali e malintese realtà, Cedam,1996,Milano,
[4] J. Pinatel, La societé criminogene. Calmann-Levy, Paris, 1971