Correva il secolo XVIII e un nobiluomo, per dirsi tale, doveva affrontare un percorso di emancipazione ed erudizione attraverso il viaggio. Una tradizione di cui ci sono esempi famosi, basti citare Goethe o il nostro Vittorio Alfieri, che con il suo aio descrive nella sua autobiografia viaggi compiuti in Italia e in Europa. Il viaggio come scoperta di se stessi attraverso la conoscenza del mondo; viaggio che viene idealizzato e che entra in letteratura nella sfera fantastica attraverso le gesta epiche di cavalieri solitari, a cominciare dall’Orlando furioso per andare fino a Don Quichotte de la Mancha. Poi nell’800 prorompe il nuovo modo viaggiare degli Inglesi che, come afferma lo studioso francese Marc Boyer, introducono una vera e propria “rivoluzione turistica”, di pari importanza di altre rivoluzioni di paternità inglese: la rivoluzione industriale, agricola e bancaria. Si arriva così all’epoca moderna in cui il viaggiatore si è trasformato in turista e il turismo, a sua volta, a partire dal 1975 si è trasformato in turismo di massa, complice lo sviluppo di mezzi di trasporto: treni, auto e, soprattutto, aerei.
Il turista di oggi non viaggia più come quello settecentesco per ritrovare se stesso, ma viaggia per trovare un meta ideale, una meta altra dal proprio quotidiano.
Meta ideale in quanto le forme di turismo che si sono succedute dalla fine dei veri grandi viaggi indicano la pratica turistica come un fenomeno che avviene per imitazione, vale a dire per la tendenza ad emulare le forme di comportamento del ceto sociale superiore, o ritenuto tale. Una meta ideale anche perché ciò che si cerca non è tanto il luogo reale, per ciò che è veramente, ma è la sua idealizzazione, vale a dire la proiezione massmediologica che le persone hanno di quel luogo.
Così le persone vengono in Italia per cercare spaghetti e mandolino e trovano città ai limiti della vivibilità, in termini di smog, cattivi trasporti, ristoranti carissimi con piatti nouvelle cousine… a meno che la macchina turistica non si dia da fare per ricreare una scenografia, una sit-com che dia al turista la sensazione di aver trovato ciò che in quel luogo cercava. E’ così che si mette in moto l’industria del turismo: quella che crea ristoranti e alberghi turistici, gite organizzate ecc…
E’ possibile affermare “io non ci casco”? Considerarsi cioè persone disincantate, poco influenzabili dalle foto patinate dei cataloghi turistici e affermare di poter essere ancora viaggiatori alla scoperta di qualcosa, se non di se stessi, almeno di luoghi veri? In parte sì dal momento che nuove categorie di turisti si sono di recente formate. Come afferma la studiosa Ines Pizzardi tra i nuovi viaggiatori ci sono oggi i “viaggiatori a tema”, coloro che concepiscono il viaggio come arricchimento culturale e ricercano quindi arte, storia, musica, cultura popolare, enogastronomia. Un target medio-alto, con un buon potere di acquisto e un buon livello culturale, che predilige strutture extra-alberghiere, come agriturismo o bed and breakfast. Sicuramente un tipo di turismo che si coniuga con rispetto dell’ambiente e che ricerca l’autenticità dei luoghi. Ma, attenzione: l’agriturismo potrebbe essere un casolare di lusso ristrutturato per assomigliare ad un’azienda agricola e il prodotto tipico potrebbe essere stato reinventato dagli amministratori locali proprio per richiamare turismo. Succede così che piccole località “riscoprono” piatti tipici sconosciuti ai cittadini del luogo da assaggiare nelle sagre o improbabili danze popolari da esibire a in feste popolari. L’importante è dare al turista la sensazione di trovarsi in vero angolo di autenticità. Insomma, ce n’è per tutti i gusti, la meta a misura di sogno è servita.