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Salute

La Dimensione Relazionale nella Professione Infermieristica

Le funzioni dell’Infermiere sono ben specificate nel Patto infermiere-cittadino che recita così:
Io infermiere mi impegno nei tuoi confronti a:
PRESENTARMI al nostro primo incontro, spiegarti che sono e cosa posso fare per te.
SAPERE chi sei, riconoscerti, chiamarti per nome e cognome.
FARMI RICONOSCERE attraverso la divisa e il cartellino di riconoscimento.
DARTI RISPOSTE chiare e comprensibili o indirizzarti alle persone e agli organi competenti.
FORNIRTI INFORMAZIONI utili a rendere più agevole il tuo contatto con l’insieme dei servizi sanitari.
GARANTIRTI le migliori condizioni igieniche e ambientali.
FAVORIRTI nel mantenere le tue relazioni sociali e familiari.
RISPETTARE il tuo tempo e le tue abitudini.
AIUTARTI ad affrontare in modo equilibrato e dignitoso la tua giornata supportandoti nei gesti quotidiani di mangiare, lavarsi, muoversi, dormire, quando non sei in grado di farlo da solo.
INDIVIDUARE i tuoi bisogni di assistenza, condividerli con te, proporti le possibili soluzioni, operare insieme per risolvere i problemi.
INSEGNARTI quali sono i comportamenti più adeguati per ottimizzare il tuo stato di salute nel rispetto delle tue scelte e stile di vita.
GARANTIRTI competenza, abilità e umanità nelle svolgimento delle prestazioni assistenziali.
RISPETTARE la tua dignità, le tue insicurezze e garantirti la riservatezza.
ASCOLTARTI con attenzione e disponibilità quando hai bisogno.
STARTI VICINO quando soffri, quando hai paura, quando la medicina e la tecnica non bastano.
PROMUOVERE e partecipare ad iniziative atte a migliorare le risposte assistenziali infermieristiche all’interno dell’organizzazione.
SEGNALARE agli organi e figure competenti le situazioni che ti possono causare danni e disagi.
Inoltre, numerosi articoli del Codice Deontologico dell’Infermiere (12 maggio 1999) sono direttamente relativi agli aspetti relazionali della professione:
1.2 L’assistenza infermieristica è servizio alla persona e alla collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari, di natura tecnica, relazionale ed educativa.
1.3 La responsabilità dell’infermiere consiste nel curare e prendersi cura della persona, nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità dell’individuo.
2.3 L’infermiere riconosce che tutte le persone hanno diritto ad uguale considerazione e le assiste indipendentemente dall’età, dalla condizione sociale ed economica, dalle cause di malattia.
2.4. L’infermiere agisce tenendo conto dei valori religiosi, ideologici ed etici, nonché della cultura, etnia e sesso dell’individuo.
2.5 Nel caso di conflitti determinati da profonde diversità etiche, l’infermiere di impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. (…)
2.6 Nell’agire professionale, l’infermiere si impegna a non nuocere, orienta la sua azione all’autonomia e al bene dell’assistito, di cui attiva le risorse anche quando questi si trova in condizioni di disabilità o svantaggio.
4.1 L’infermiere promuove attraverso l’educazione, stili di vita sani e la diffusione di una cultura della salute. (…)
4.2 L’infermiere ascolta, informa, coinvolge la persona e valuta con la stessa i bisogni assistenziali, anche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e consentire all’assistito di esprimere le proprie scelte.
4.3 L’infermiere, rispettando le indicazioni espresse dall’assistito, ne facilita i rapporti con la comunità e le persone per lui significative, che coinvolge nel piano di cura.
4.4 L’infermiere ha il dovere di essere informato sul progetto diagnostico terapeutico, per le influenze che questo ha sul piano di assistenza e la relazione con la persona.
4.5 L’infermiere, nell’aiutare e sostenere la persona nelle scelte terapeutiche, garantisce le informazioni relative al piano di assistenza e adegua il livello di comunicazione alla capacità del paziente di comprendere. Si adopera affinché la persona disponga di informazioni globali e non solo cliniche e ne riconosce il diritto alla scelta di non essere informato.
4.9 L’infermiere promuove in ogni contesto assistenziale le migliori condizioni possibili di sicurezza psicofisica dell’assistito e dei familiari.
4.11 L’infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l’opinione del minore rispetto alle scelte terapeutiche, in relazione all’età ed al suo grado di maturità.
4.15 L’infermiere assiste la persona, qualunque sia la sua condizione clinica e fino al termine della vita, riconoscendo l’importanza del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale. (…)
4.16 L’infermiere sostiene i familiari dell’assistito, in particolare nel momento della perdita e nella elaborazione del lutto.
Come si vede, su 49 articoli del Codice Deontologico degli Infermieri, ben 15 si riferiscono esplicitamente alla dimensione relazionale della professione nel rapporto con il paziente, mentre l’intero Patto infermiere-cittadino è volto a sottolineare obiettivi e modalità della relazione d’aiuto che si instaura tra l’operatore e il malato.
Questa consonanza tra i due documenti, pur realizzati in due momenti diversi, non lascia dubbi circa l’importanza che si riconosce alla dimensione relazionale nella professione infermieristica quale componente indispensabile per poter prendersi cura della persona, del suo benessere fisico e spirituale.
D’altronde, essendo l’infermiere al servizio della qualità della vita dell’Uomo, quindi di una persona globale e non solo biologica, la sua prestazione professionale non può esaurirsi, per definizione, nella componente tecnico-sanitaria, ma si estende a coprire anche quella spirituale/psicologica/relazione: si parla infatti di “interventi specifici, autonomi e complementari, di natura tecnica, relazionale ed educativa (art. 1.2).
Data la finalità di questo articolo, mi limiterò ad esaminare più dettagliatamente gli interventi di tipo relazionale ed educativo.
Interventi di natura relazionale
Si tratta per definizione di interventi ad personam, cioè non standardizzabili, poiché ogni relazione interpersonale è diversa da qualsiasi altra. Ciò dipende dal fatto che entrambi i partecipanti entrano nella relazione con tutta la loro soggettività e con tutte le variabili (differenze individuali) di cui sono portatori (“pari dignità nel rispetto della diversità”).
L’infermiere è, tuttavia, consapevole che quella che stabilisce con la persona assistita è una relazione d’aiuto (o supportiva) e come tale volta ad ottenere una maggiore valorizzazione delle risorse personali e una migliore possibilità di espressione dell’altro, anzi, direi di entrambi gli interlocutori.
Nel caso specifico dell’infermiere, grazie ad efficaci modalità comunicative l’operatore cercherà di far pervenire alla persona assistita:
· fiducia nella competenza, trasparenza, coerenza e attendibilità delle sue prestazioni professionali;
· un senso di empatia, grazie alla quale l’infermiere si sforza di immedesimarsi profondamente nell’altro fino ad arrivare a provare e sentire ciò che egli prove e sente;
· interesse sincero, senza (pre)giudizi, con una accettazione incondizionata della realtà fisica, psichica e relazionale dell’assistito;
· autonomia e reciprocità, proprio perché è compito dell’infermiere quello di analizzare il grado di autonomia del cliente e di innalzarlo per quanto possibile; al tempo stesso lo coinvolgerà in quel raggiungimento degli obiettivi che è consentito solo da uno sforzo comune.
La relazione terapeutica tipica dell’attività infermieristica ha spesso un carattere informale, ma ciò non sminuisce affatto la sua potenziale efficacia nel rendere il paziente più fiducioso e collaborativo e nel favorire il miglioramento del suo benessere psicofisico.
Per quanto riguarda i veri e propri interventi di natura relazionale, alcuni esempi sono:
· ascolto attivo, consistente nel prestare attenzione e nel dare un significato ai messaggi verbali e non verbali della persona;
· potenziamento del coping, ossia aiuto al cliente a far fronte ad agenti di stress, modificazioni o minacce percepite che interferiscono con la risposta a richieste della vita o con lo svolgimento di ruoli;
· supporto emotivo, fornendo rassicurazione, accettazione e incoraggiamento in momento di stress.
Interventi di natura educativa

Si può affermare che tutti coloro che richiedono prestazioni infermieristiche hanno anche dei bisogni di apprendimento. Per soddisfarli servono insegnamenti di carattere generale, per esempio sulla preparazione a determinate indagini diagnostiche, e insegnamenti specifici, riguardanti ad esempio la cura di una data patologia.
La pianificazione educativa (e non l’estemporaneità di informazioni veloci), che deve essere coerente con il piano di cure/assistenza, presenta diversi vantaggi:
rende la malattia un momento di apprendimento per il miglioramento della qualità della vita (empowerment);
favorisce l’omogeneità dell’insegnamento;
favorisce la continuità dell’assistenza.
Quanto alle vere e proprie attività educative, le possiamo distinguere in due categorie:
educazione alla salute ed educazione sanitaria.
· L’Educazione alla salute consiste in “opportunità strutturate e sistematiche di comunicazione per sviluppare le conoscenze e le abilità personali necessarie per la salute individuale e collettiva” (OMS, 1998) e costituisce il principale strumento di promozione della salute;
· l’Educazione sanitaria consiste in iniziative a carattere informativo ed educativo, volte a fornire ai cittadini conoscenze di carattere sanitario che li rendano parte consapevole ed attiva nel rapporto con i servizi.
Ascoltare, informare, coinvolgere (art. 4.2)
Come si vede, ascoltare è il primo verbo della sequenza prevista dell’art. 4.2. Nell’ascolto ritroviamo il riconoscimento dell’altro, della sua soggettività e unicità, senza esprimere giudizio e senza incasellare l’altro in schemi o stereotipi che inficerebbero il flusso della comunicazione e quindi della relazione sia con il paziente, con la famiglia, con la collettività (ascolto attivo ed empatico).
Secondariamente, l’infermiere informa stabilendo una vera relazione d’aiuto e fornendo al cliente le conoscenze effettivamente necessarie alla sua situazione, selezionate in modo mirato dopo aver valutato le necessità conoscitive del cliente (comunicazione efficace).
Infine, coinvolge, dopo aver ascoltato in modo attivo e dopo aver fornito informazioni non generiche, perché così facendo ha posto le basi per il coinvolgimento della persona/famiglia/collettività nel processo assistenziale (empowerment).
Empowerment

Il modello dell’empowerment risponde alla necessità di “favorire l’acquisizione di potere, ovvero accrescere la possibilità dei singoli e dei gruppi di controllare attivamente la propria vita”.
La psicologia sociale ha dimostrato che le persone che si trovano in condizioni svantaggiate possono ottenere un miglior accesso alle risorse se possono disporre di:
informazione: conoscere le strategie necessarie per adattarsi all’ambiente e porre in atto cambiamenti;
organizzazione sociale: maggior coinvolgimento e partecipazione nel definire i problemi e prendere decisioni.
L’individuo empowered possiede un senso di maggior controllo sul proprio destino. Al contrario, l’individuo powerless manifesta sintomi di apatia, acquiescenza, passività, oppure aggressività, scarsa produttività.
Parimenti, la persona malata che ha acquisito una maggior coscienza della propria situazione presente e dei possibili sviluppi (empowered):
· vede accrescere la propria autostima ed autonomia, perché ha acquisito conoscenze e competenze atte a ridurre la necessità di aiuto, quindi la dipendenza da altri;
· mobilita e valorizza le parti migliori di sé perché partecipa consapevolmente alla realizzazione degli obiettivi stabiliti e prende decisioni al riguardo;
· può utilizzare la propria esperienza per esercitare un ruolo terapeutico anche su altri individui (tipico il gruppo di auto-mutuo-aiuto).
Per finire, una considerazione personale: quando l’infermiere, al di là dei limiti strutturali – talvolta importanti – entro cui si trova ad operare, riesce a porre la sua umanità al servizio di questo meraviglioso progetto d’aiuto, non solo la condizione della persona assistita migliora, foss’anche in fase terminale, ma la sua stessa qualità di lavoro e di vita si eleva: dove c’è responsabilità e umanità nell’agire professionale, il burn-out non attecchisce facilmente!

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Marisa Nicolini

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