Forse non c’è mai stato un periodo storico in cui l’opinione pubblica ha avuto una così grande importanza e pervasività come nel corso del XX secolo. Mai come nella seconda metà del novecento, la vita politica e sociale dell’intera collettività ha avuto visibilità, rilevanza ed influenza attraverso le forme e le dinamiche dell’opinione pubblica. Un’importanza che ha cominciato a farsi consistente e significativa nel periodo dei due conflitti Mondiali e del confronto ideologico tra Stati, che è diventata poi sempre più centrale ed intrusiva nel periodo successivo – anni ’60 e ’70 – attraverso gli appelli continui all’opinione pubblica, l’uso quotidiano dei sondaggi e delle ricerche di mercato connesse alla rilevazione di motivazioni ed atteggiamenti in campioni rappresentativi della popolazione. Non è quindi paradossale pensare al Novecento come al “secolo dell’opinione pubblica” [1]. Infatti è alla fine del secondo millennio che una delle componenti fondamentali della modernità – l’opinione pubblica intesa come elemento rilevante nei rapporti sociali in una società democratica – non solo ha raggiunto il suo massimo sviluppo ma ha ottenuto anche la sua piena legittimazione. L’opinione pubblica, dunque, non come un “fantasma” o come “metafora”, ma come costruzione simbolica materiale, una “quasi-istituzione”, un fenomeno e un processo fondamentali per comprendere una serie di dinamiche collettive che riguardano i rapporti di potere nelle società, la partecipazione sociale e culturale, i bisogni individuali e le pulsioni popolari.
Anche se la nascita dell’opinione pubblica nella sua accezione contemporanea risale almeno al XVIII secolo, è solo nel ‘900 che assume l’attuale configurazione: quella di entità politica immateriale che riguarda l’intera collettività, che si nutre in prevalenza di “pubblicità mediata”, cioè di uno spazio pubblico veicolato e costruito soprattutto dai mass media, che viene continuamente sollecitata e analizzata mediante tecniche di rilevazione empirica ed orientamento statistico e che rappresenta, quasi quotidianamente, il punto di riferimento di ogni legittimazione democratica. Se la nostra è veramente una “democrazia del pubblico”, l’opinione pubblica costituisce, motivatamente, proprio il senso della democrazia stessa: non solo luogo della rappresentanza ma anche della partecipazione, non solo ambito della decisione ma anche della discussione e del confronto.
Emerge però anche una nuova dimensione dell’interazione sociale tipica della modernità che incarna il contesto primario dell’opinione pubblica: la sfera pubblica. Il fenomeno e la sua concettualizzazione storica e sociale sono stati definiti ed analizzati per la prima volta in un lavoro di Habermas – Strukturwandel der Oeffentlichkeit (1962) [2] – un’opera entrata a pieno titolo tra i classici sociali dedicati all’analisi dell’opinione pubblica e dei processi simbolici connessi alle dinamiche di opinione nelle società capitalistiche, democratiche e massmediatizzate. Habermas, soprattutto, evidenzia un aspetto che spesso è stato sottovalutato o marginalizzato e che invece è un elemento costitutivo della sfera pubblica: il mercato.
La circolazione stessa delle merci e delle notizie è infatti una delle precondizioni dell’emergere della sfera pubblica: le merci perché sono il fondamento del nuovo sistema produttivo ma anche perché riguardano l’identità del nuovo ceto sociale (la borghesia), e le notizie in quanto rappresentano il nuovo strumento di circolazione dell’informazione e delle idee che si “commercializza” fin da subito, segnando così la sua autonomia relativa dal potere religioso e politico dell’aristocrazia e del clero, ma anche consegnando la produzione simbolica alle logiche del mercato della nascente industria culturale. Il mercato dei beni culturali costituisce quindi l’ambito delle dinamiche dell’opinione pubblica connesse alle logiche dello scambio e degli interessi.
Né l’idea di democrazia, né l’emergere di una sfera pubblica, tuttavia, potevano da sole garantire la genesi e la formazione di un’opinione pubblica senza il contemporaneo sviluppo di un altro fenomeno tipico della modernità: la comunicazione mediale. Questa trasformazione dei processi di comunicazione collettiva mediante l’introduzione di supporti tecnologici e secondo logiche commerciali (l’industria culturale) ha prodotto notevoli conseguenze. Si instaurano infatti progressivamente sia nell’ambito pubblico che in quello privato nuove forme di interazione comunicativa non più legate alla compresenza spazio-temporale tipiche del dialogo faccia a faccia. Si sviluppa perciò anche un nuovo tipo di visibilità pubblica e aumenta di conseguenza sia per l’individuo sia per la collettività la possibilità di fare esperienze e di accedere a forme simboliche:
“Con lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione […] la notorietà o pubblicità si è separata dall’idea di conversazione dialogica in un luogo condiviso. Ha perso il suo ancoraggio nello spazio ed è diventata non dialogica, legandosi in misura sempre maggiore al tipo particolare di visibilità prodotto da, e accessibile grazie ai media (in particolare la televisione)” [3]
Dunque, anche se già Habermas aveva sottolineato il nesso fondativo del rapporto tra pubblicità e giornali, la rivoluzione della comunicazione mediale ha progressivamente segnato nel tempo sempre più la stessa natura della sfera pubblica, trasformandola in arena privilegiata del dibattito pubblico mediato, capace di formare o influenzare l’opinione pubblica, attraverso la sua “virtualità”.
Alla luce di queste potenzialità, il ruolo dei media si caratterizza dunque per due nuove funzioni: la possibilità di generalizzazione della sfera pubblica (e quindi dell’opinione pubblica) – al di là della condivisione di uno stesso luogo – e la creazione di una pubblicità mediata, cioè di un tipo di sfera pubblica e di opinione pubblica che sono sempre più la conseguenza di relazioni interattive attraverso i media e la comunicazione mediale.
L’importanza dei media nei confronti dei processi di formazione e di attivazione dell’opinione pubblica non è però legata solo al loro impatto tecnologico di tramite comunicativo e simbolico ma è connessa anche alla tendenza dei media stessi, sviluppatisi soprattutto nella seconda metà del XX secolo, ad assumere un ruolo attivo, a diventare veri e propri protagonisti del processo. Questo ruolo attivo dei media si manifesta soprattutto in tre competenze specifiche, che rappresentano il contributo dei media stessi alle dinamiche di opinione in quanto attori/protagonisti delle medesime.
• La prima è legata alla capacità di attenzione su temi ed eventi e di fornire quindi visibilità agli attori politici e agli esponenti delle istituzioni: la decisione di cosa mettere all’attenzione o all’ordine del giorno, è una competenza non esclusiva ma certo specifica dei media, con la conseguenza non solo di attivare le dinamiche di opinione ma anche di fornire agli attori politici una ribalta per partecipare alla discussione pubblica ed influenzare gli orientamenti collettivi.
• La seconda competenza da evidenziare è la funzione che i media hanno di interprete dell’opinione pubblica stessa. I media inizialmente, soprattutto i giornali, cominciano anche ad autoproclamarsi portatori di opinione pubblica, sostenendo o spostando alcuni orientamenti di opinione come se fossero maggioritari – così tentando di legittimare campagne di opinione o screditare comportamenti non graditi –; successivamente, nella seconda metà del Novecento, essi promuovono direttamente e pubblicano sondaggi di opinione con l’obiettivo non solo di informare sulle preferenze, gli orientamenti, i giudizi dell’intera collettività su qualunque tema all’ordine del giorno, ma anche di influenzare la formazione dello stesso dibattito pubblico a tutti i livelli.
• Infine la terza peculiarità riguarda più in generale la capacità di “rifrazione” della realtà sociale dei media stessi, cioè la loro non neutralità come strumenti di mediazione simbolica nel fornirci una rappresentazione della sfera pubblica, del dibattito politico, delle dinamiche collettive. [4]
Perciò se si passa a considerare, ad esempio, l’opinione collettiva come oggi la intendiamo ci si accorge che la sua intrinseca natura comunicativa ed interattiva si è andata progressivamente trasformando proprio attraverso il ruolo e l’importanza che i media hanno assunto.
In questo senso lo spazio pubblico diventa oggi qualcosa di più complesso e differenziato di quanto poteva apparire nella prima modernità: non solo per la diversa articolazione simbolica in cui sono strutturati i flussi cognitivi e di opinione che in esso circolano, ma soprattutto per il diverso modo di produzione della pubblicità che lo caratterizza. Poiché lo stesso spazio pubblico è prevalentemente mediato (cioè filtrato, rappresentato e costruito dal sistema dei media), anche le dinamiche di opinione risentono di questa trasformazione, e la loro formazione appare via via più complicata e contraddittoria proprio per la multidimensionalità dell’ambito in cui si sviluppano.