La corporeità assume un´enorme importanza nella comunicazione: alcune ricerche hanno dimostrato infatti che la comprensione dei messaggi di dialogo dipende per il 7% dalle parole, per il 38% dal tono di voce, per il 55% dalla gestualità.
La comunicazione non verbale associata al linguaggio fornisce più informazioni di quanto non si credesse fino a poco tempo fa. Per fare un esempio, può succedere di interagire con una persona le cui espressioni verbali appaiono piacevoli, ma che lascia comunque una sensazione di ostilità e disinteresse. Probabilmente, durante la comunicazione viene raccolta una serie di informazioni non verbali, unitamente a quelle verbali relative al contenuto del messaggio: ad esempio, il tono di voce, il livello di sudorazione, la postura, o quanto e come guardava mentre parlava. Queste informazioni sono recepite velocemente e in maniera diretta, e creano delle “impressioni” che possiamo difficilmente trascurare. La dimensione non verbale, infatti, risulta più veritiera e genuina di altre.
Alcune ricerche recentissime rivelano che il primo giudizio su una persona si forma in un tempo brevissimo, ed è difficile che questo giudizio venga cambiato (Willis, Todorov, 2006). E’ quindi poco probabile che un’entità cognitiva di tal genere si sia formata sulla base delle informazioni scambiate verbalmente, la cui elaborazione neurale richiede un certo lasso di tempo.
Inoltre, la comunicazione assume diversi significati, e per la specificità dei vissuti personali e delle esperienze di vita degli individui, e per la particolarità delle norme sociali (implicite o meno), delle usanze e delle tradizioni della popolazione o della civiltà considerata. In effetti, ogni cultura o popolazione possiede un particolare “vocabolario” gestuale, talvolta in antitesi rispetto ad altre società umane.
La comunicazione non verbale è fondamentale anche perché, al contrario della parola, e per la sua origine arcaica, è percepita in maniera immediata (anche se spesso inconsapevole). La parola, in effetti, ha tolto immediatezza al gesto, rendendo più fragili i rapporti umani. Essi infatti dipendono dalla chiarezza del messaggio, dalle condizioni contestuali (che possono facilitare o meno l’espressione e la comprensione del messaggio), dalla capacità dell’interlocutore di capire il messaggio (il codice deve essere comune), dalla situazione psicologica degli interlocutori (alcuni disagi psicologici portano a difficoltà di ricezione e trasmissione di messaggi), etc.
Poiché l’attività di “mappatura” e previsione di eventi è primaria per la sopravvivenza e l’adattamento umano, quando le informazioni raccolte non sono abbastanza chiare, l’individuo tende ad utilizzare schemi cognitivi via via più semplici. La maggior semplicità è correlata con le strutture neurali più antiche, quelle che condividiamo con gli altri animali. La comunicazione non verbale passa attraverso queste formazioni cerebrali semplici e dirette, per questo può essere considerata la forma più antica di trasmissione di messaggi. Questo spiega perché è molto più facile e diretto far capire le proprie intenzioni con gesti, posture e tono di voce, piuttosto che attraverso il linguaggio orale. Quest’ultimo, anzi, si serve della comunicazione non verbale per rendersi completo ed efficace.
In sintesi, quindi, la comunicazione non verbale ha un’origine biologica (si può presumere che si sia sviluppata per consentire la sopravvivenza) ed è mediata per lo più dalle strutture cerebrali più antiche, quelle, per intendersi, che sottendono i comportamenti basilari di sopravvivenza, come la reazione di fuga o di attacco, il comportamento aggressivo, quello copulatorio e quello di ricerca di cibo. La comunicazione non verbale è dunque innata.
Nonostante questo, essa, per una certa parte, è sottoposta agli schemi dell’apprendimento. Un bambino apprende quanto e come è lecito mostrare le proprie emozioni, sentimenti e opinioni; in quali situazioni si può sedere in un certo modo, si può guardare in un certo modo e come ottenere i propri obiettivi nascondendo o modulando alcune caratteristiche non verbali tipiche della sua personalità. Quando un bambino non si adegua alle regole, ad esempio quando si siede e gioca per terra, viene detto scherzosamente che è “un piccolo animaletto”. Con l’apprendimento, gli esseri umani imparano dunque che, se vogliono essere accettati nella società, devono controllare alcuni impulsi “animaleschi”. Per fare un altro esempio, quando si dice ad un bambino: ”Su, saluta il signore! Fai Ciao!”, si danno delle precise indicazioni delle regole sociali da tenere, e anche se il bambino inizialmente non capisce, questi apprendimenti entreranno a far parte del suo bagaglio esperienziale. Un giorno potrebbe negare quel tipo di apprendimento e diventare un perfetto maleducato, ma in ogni caso la trasgressione della norma presuppone la consapevolezza della stessa.
Vediamo ora alcuni aspetti interessanti della comunicazione non verbale.
L’espressione dell’emozione negli esseri umani
Il volto è l’area corporea privilegiata per la segnalazione emozionale. Lo stato emotivo non è sempre consapevolmente comunicato. Ma, per una corretta interpretazione dei messaggi, se è presente un´incongruenza tra segnali verbali e non verbali si considerano generalmente più autentici quelli analogici (ossia non verbali), perché meno controllabili razionalmente.
Gli aspetti biologici e fisiologici in questo caso sono predominanti. Le principali espressioni facciali delle emozioni sono di origine innata e sono: rabbia, felicità, paura, interesse, sorpresa, tristezza, disgusto e disprezzo. Sono presenti e relativamente costanti in tutte le culture, sono manifestate anche dai bambini piccoli e dai bambini ciechi e sordi (e quindi si può escludere l’intervento di una componente imitativa), e sono molto simili alle espressioni facciali dei Primati non umani.
Lo scopo adattativo dell’espressione delle emozioni è di mantenere i membri di un gruppo informati costantemente sugli stati interni degli altri. Questa funzione consente di adeguarsi rapidamente alle mutazioni delle condizioni contestuali ed ambientali del gruppo sociale. Le modificazioni degli stati emotivi sono immediatamente percepite e danno luogo a reazioni comportamentali altrettanto immediate. L’individuo che riesce ad essere empatico o ricettivo rispetto a questi segnali che provengono dalle persone che lo circondano è potenzialmente in grado di adattarsi meglio al suo ambiente.
Segnali non verbali che esprimono gli atteggiamenti interpersonali
I segnali del corpo sono usati per esprimere le due principali dimensioni degli atteggiamenti, ossia l’affiliazione e la dominanza. Nell’affiliazione si ha molto contatto fisico (carezze, toccamenti etc.), c’è una maggiore vicinanza fisica, un’orientazione diretta con sguardo reciproco, combinato a sorrisi; il tono di voce è delicato e la postura predisposta all’apertura.
Nella dominanza, invece, manca completamente o quasi il contatto fisico, non c’è vicinanza e l’orientazione è meno diretta; lo sguardo viene usato poco e le sopracciglia non si muovono, il tono di voce è assertivo e sonoro e l’espressione facciale ridotta al minimo.
In alcuni esperimenti (Argyle, 1978c) sono stati variati alcuni di questi elementi e si è scoperto che quando due persone si piacciono, ma vengono allontanate, aumentano di intensità e frequenza gli sguardi e i sorrisi. In altri esperimenti si è notato che le persone si guardano di più quando non parlano e si guardano meno quando parlano, soprattutto se si tratta di argomenti intimi. E’ quindi stata confermata l’equivalenza e la reciproca sostituzione dei segnali, in cui l’aumento di intensità di un segnale riduce l’intensità degli altri.
Segnali non verbali che esprimono la personalità
I segnali non verbali possono anche fornire informazioni rispetto ad aspetti più stabili di una persona, ossia alla sua personalità. Alcuni gesti riflettono uno stato emozionale prevalente nella persona, come l’ansia, o uno stile generale di comportamento, quale l’aggressività.
Negli esseri umani esiste una manipolazione intenzionale degli stimoli emessi, o presentazione del sé (self-presentation). Questa manipolazione raggiunge, però, soltanto un certo grado di controllo, oltre il quale la persona non è consapevole di inviare messaggi non verbali su se stessa. Gli individui infatti inviano segnali su di sé solo nelle situazioni che Goffman (1987) chiama “da palcoscenico”: comparire in pubblico, assumere un comportamento professionale, essere valutato da altri, trovarsi con persone più anziane o più importanti, essere vestito in maniera diversa, oppure distinguersi in altro modo. In tutte queste situazioni le persone possono sentirsi osservate piuttosto che osservatrici, perciò fanno del loro meglio per manifestare gli aspetti positivi della loro immagine del sé. Come l’individuo si veste, si atteggia etc. indica gli aspetti di sé che vuole siano recepiti dagli interlocutori oppure come vorrebbe essere giudicato dagli altri.
Cosa avviene alla comunicazione non verbale quando si parla?
Vi sono alcuni sono segnali che vengono definiti prosodici, i quali danno la cadenza, il timbro e l’accento alle espressioni verbali. Gli aspetti prosodici del linguaggio sono appresi molto precocemente e consentono all’infante di capire il senso delle frasi che gli vengono rivolte, soprattutto dai genitori, ancora prima del completo sviluppo cognitivo e della comprensione letterale del parlato. Altri sono segnali cinesici, ossia segnali gestuali (movimenti della mano, cenni del capo, cambiamenti di sguardo, espressione del volto e del viso) che sono usati per completare sia sul piano quantitativo che qualitativo le parole pronunciate. Una delle funzioni dei segnali cinesici è fornire un feedback visivo mentre l’interlocutore invia un’informazione sonora: in questo modo si verifica l’efficiente utilizzo del canale vocale e si assicura la sincronizzazione degli interlocutori. Tali segnali forniscono un commento continuo a quello che viene detto, in modo particolare attraverso le espressioni del volto dell’ascoltatore. Talvolta si utilizzano movimenti della bocca, oppure chi ascolta può aiutare l’emittente del messaggio aggiungendo le parole mancanti o completando le frasi. Diversi segnali possono fungere da rinforzo: cenni del capo, sorridere, osservare, piegarsi in avanti ed emettere suoni di incoraggiamento. Da quanto emerge dalle ricerche né la persona che viene rinforzata né la persona che utilizza un comportamento gratificante sono coscienti di quello che succede.
Spesso gli ascoltatori compiono sequenze di movimenti del corpo che imitano rigorosamente quelli di colui che parla. Questo succede all’inizio e alla fine delle espressioni. Mentre A sta parlando, B emette dei segnali NV (non verbali) per indicare che si sta occupando di A ed è ancora interessato a ciò che A sta dicendo. Ciò si realizza in parte conservando una vicinanza ed un’orientazione appropriate e con una postura che denota attenzione.
Quando due o più persone parlano fanno in modo di realizzare una sequenza sincronizzata di espressioni abbastanza armoniosa, senza troppe interruzioni o silenzi. Questo si realizza attraverso una prima fase di aggiustamento reciproco: uno dei due interlocutori deve parlare di meno, un’altro deve parlare più velocemente etc. Dato che i segnali per il sincronismo sono per lo più visivi, durante le conversazioni telefoniche la comunicazione è più difficoltosa. Infatti, si è notato che le espressioni sono più brevi, ci sono più pause e meno interruzioni quando la visione viene limitata sperimentalmente per imitare la situazione telefonica.
Ecco alcune tecniche non verbali per la gestione dei turni di parola. Qualora un ascoltatore voglia prendere la parola deve usare i seguenti segnali: interrompere effettivamente (è più facile se usa un tono più alto; la competizione dura meno di un secondo); compiere un triplice cenno del capo o altri segnali NV d’impazienza, spesso accompagnati da segnali verbali come “sì”, “ma” o “bene”. Nel caso che l’interlocutore desideri invece tenere la parola, egli deve: alzare il tono della voce; al termine delle frasi tenere la mano a mezz’aria. Se invece vuole cedere la parola: termina la frase; termina strascicando le parole; pronuncia lentamente la sillaba finale; termina con un tono prolungato ascendente o discendente; cessa alcuni movimenti della mano che accompagnano il discorso; guarda fisso l’altro. Infine, l’ascoltatore che vuole rifiutare l’offerta di prendere la parola può usare i seguenti segnali: cenno del capo; borbottare o fare rumori tipo “ah – hah”; completare la frase; richiedere in breve una chiarificazione; esprimere brevemente in altra forma quello che ha detto l’oratore.
Perché la specie umana usa la CNV?
In primo luogo manca una codificazione verbale per alcune aree, come ad esempio la personalità. È difficile descrivere la personalità dell’altro, esiste un gran numero di parole disponibili, ma è difficile verbalizzare, ed è sempre possibile un fraintendimento. Considerazioni simili si applicano all’intera area interpersonale. Essa sembra gestita perfettamente attraverso il primitivo repertorio non verbale, cosicchè le parole risultano non necessarie, poco usate e spesso inopportune.
In secondo luogo, i segnali non verbali sono più efficaci. Il sistema NV, che abbiamo in parte in comune con gli animali, opera direttamente e provoca risposte del corpo che preparano il ricevente all’azione immediata. Inoltre, l’impatto delle parole è più debole e meno diretto dell’impatto dei segnali non verbali.
I segnali non verbali sono controllati meno bene e perciò sono più genuini. Inoltre potrebbe recare turbamento focalizzare l’attenzione su alcuni segnali o renderli troppo espliciti. Sarebbe sconveniente, ad esempio, affermare apertamente che l’altra persona non ci piace troppo, anche perché nelle relazioni c’è una sorta di contrattazione, che modifica alcune iniziali percezioni e frettolosi giudizi.
Il sistema di comunicazione dell’essere umano ha avuto un valore adattativo enorme. Ma non è possibile parlare di valore adattativo del linguaggio separatamente dal valore adattativo della CNV, in quanto le due forme di comunicazione sono strettamente interrelate e il linguaggio non è assolutamente indipendente e completo in sé, ma necessita degli indici non verbali per essere compreso pienamente.