Innanzi tutto dobbiamo distinguere tra chi è nato cieco e chi lo è diventato.
Chi è nato cieco si è formato degli schemi conoscitivi parziali. Primi tra tutti quelli spaziali. Lo spazio del non vedente è conoscibile soltanto attraverso il tatto e l’udito. Conoscere con il tatto significa esplorare camminando, toccando, “urtando”. Con il tatto si percepiscono anche le vibrazioni che emanano gli oggetti, la sensazione di pieno e di vuoto, lo spazio aperto e chiuso.
Conoscere con l’udito significa ascoltare i suoni, le voci, i rumori, ma anche percepire gli echi, le risonanze e quindi, di conseguenza, le distanze.
Il mondo di chi non vede è un mondo di suoni, odori, vibrazioni, superfici, forme, risonanze, echi. È un mondo ovattato, lento, dove ci si muove lentamente perché la realtà intorno si conosce solo dopo averla sperimentata, secondo un iter che è l’esatto contrario di chi vede.
Chi vede prima inquadra, sistema, sceglie e poi sperimenta e verifica. La vista ci dice sempre dove e come mettere il piede, come e dove procedere e dirigersi.
Il cieco conosce solo gli oggetti che tocca, che usa, che sperimenta. Conosce e immagina solo distanze brevi, limitate, sperimentabili a lunghezza di braccio o, al limite, di bastone bianco. Una distanza di dieci, diciotto, venticinque o trenta metri è uguale all’infinito.
Quello che può aiutare è l’eco, il rumore dell’impatto della freccia sul paglione, la vibrazione della corda, la sensazione dello spazio aperto o chiuso e quando si è imparato a decifrare questi messaggi si ha la possibilità di godere anche del tiro con l’arco.
Se questo mezzo di conoscenza apre degli orizzonti anche al vedente che ne sente parlare ci fa anche riflettere su quali e quante sono le carenze di mezzi conoscitivi a cui invece un vedente può ricorrere.
Lo svantaggio tra chi vede e chi non vede non sta soltanto nel diverso mezzo di cui si dispone al momento (tatto e udito anziché vista) che già sarebbe notevole, ma è il fatto che per tanto tempo, per tutta la durata dell’handicap fisico, il non vedente ha fatto a meno della ricchezza della vista e di quello che comporta.
Scrive Kurt Meinel (“Teoria del movimento”) che è il movimento la base della conoscenza dell’uomo. Aggiunge che “una sana attività intellettuale può espandersi e mantenersi solo se ha per base un buon sviluppo delle funzioni sensomotorie”
Dice ancora che “il movimento diventa fonte di processi cognitivi. Le azioni motorie e l’acquisizione di conoscenze attraverso i sensi sono un processo unico e sono radicalmente connessi. Però la conoscenza attraverso i sensi è la prima forma di conoscenza. È la base sulla quale si costruisce il mondo percettivo e concettuale del bambino che, a sua volta, diventa il presupposto per un comportamento che deve essere sempre più adeguato alle condizioni oggettive. E se poi consideriamo che in questo processo di formazione si completa lo sviluppo del linguaggio e del pensiero, già comprendiamo quale sia l’importanza fondamentale delle complesse azioni motorie dell’età infantile…… Il bambino, attraverso la propria attività, deve acquisire l’intera motricità volontaria che gli è necessaria, imparare a usarla e controllarla. Costantemente, durante questo processo, le sue reazioni motorie, prima di tutto, sono stimolate e provocate dal contatto immediato sensomotorio con gli oggetti del suo ambiente materiale, ma fin dall’inizio c’è una selezione e organizzazione decisiva della loro efficacia da parte dell’ambiente umano, della madre, dei fratelli, delle sorelle, dei compagni di gioco…È dimostrato che normalmente, un ritardo nello sviluppo motorio generale porta ad un ritardo dello sviluppo mentale” (cfr. Schimdt-Kolmer).
Quindi, limitare o sottovalutare lo sviluppo motorio ha effetti sullo sviluppo mentale.
In generale ci sarà sempre più una mortificazione della normalità nella vita sociale e lavorativa e questo renderà necessario apprendere ed affinare per altre vie la competenza motoria.
Avere consapevolezza di questa capacità dà fiducia in se stessi e sviluppa potenzialità sconosciute. Dà sicurezza e permette ulteriori sviluppi di ciò che è possibile fare.
L’occhio ha un ruolo particolarmente importante nell’apprendimento dei movimenti perché si possono ricevere informazioni “a distanza” e anche da altri soggetti, non solo da noi stessi. Questo ci permette la formazione mentale di un modello di movimento. L’occhio ha una grande importanza anche nel controllo del movimento stesso, che viene mentalmente confrontato al modello, e anche nella coordinazione.
Tutto questo ci fa capire ancora di più quanto sia importante svolgere un’attività sportiva, o anche soltanto motoria per tutti, ed in particolare da parte di soggetti che sono sempre stati mortificati e deprivati di occasioni anche banali di movimento.
Lo sport per i non vedenti acquista anche funzione conoscitiva.