Molte malattie croniche, di tipo evolutivo (tumori, AIDS, malattie cardiovascolari, affezioni dell’apparato respiratorio, patologie del sistema nervoso, malattie pediatriche di varia natura) raggiungono una fase terminale, in cui i trattamenti specifici risultano ormai inefficaci e lo stato di salute del paziente peggiora rapidamente ed in maniera irreversibile. In questi casi l’unico intervento medico-assistenziale possibile, quello palliativo, non si propone più di guarire la patologia, ma di controllare la sintomatologia e le alterazioni psicofisiche che ne conseguono (Ventafridda, 1990).
I dati reperibili nella letteratura specialistica confermano che il 90% dei decessi per cancro ed il 60% dei decessi per patologie cerebrovascolari avvengono appunto in seguito ad una fase terminale della malattia.
Limitatamente alla patologia oncologica, ogni anno sul territorio nazionale si verificano circa 160.000 decessi e nel 90% dei casi la morte sopraggiunge dopo una fase terminale della durata di circa 90 giorni. Si stima che nel 65% circa sul totale dei casi di patologia oncologica terminale si rendano necessari interventi di tipo palliativistico e che per il 25% di questi pazienti sia fondamentale il ricovero presso una struttura tipo hospice.
La peculiarità della medicina palliativa risiede nel nuovo approccio culturale all’evento morte, accettato come epilogo naturale ed inevitabile del percorso esistenziale. Da quest’acquisizione teorica nasce una pratica clinica che considera centrale non più la malattia, ma il malato nella sua globalità (Corli, 1988), e che pone dunque un’attenzione particolare all’esperienza complessiva di dolore, includente gli aspetti psichici, sociali, spirituali oltre che fisici del paziente.
La consapevolezza della morte stimola una profonda riflessione sulla qualità della vita del paziente.
Come afferma Spinanti “la medicina delle cure palliative è e resta un servizio per la salute. Non dunque una medicina per il morente e per aiutare a morire, ma una medicina per l’uomo, che rimane un vivente fino alla morte” (Spinanti, 1988).
In Italia esistono enti convenzionati con le aziende sanitarie locali ed associazioni di volontariato che affiancano i Dipartimenti Oncologici delle U.S.L. nell’assistenza ai malati di cancro in fase terminale. Per capire meglio i vari livelli a cui può essere svolto un servizio di Cure Palliative (CP) abbiamo intervistato il Dottor Pierdomenico Maurizi, Responsabile di Medicina del Dolore e Cure Palliative dell’U.S.L 8 di Arezzo e Consulente del progetto SCUDO.
D – Qual è attualmente la realtà dell’Unità di Cure Palliative (UCP) dell’U.S.L. 8 di Arezzo?
R – Su 325.000 abitanti ogni anno circa 900 muoiono per via di una patologia oncologica, che nella quasi totalità dei casi raggiunge la fase terminale. Di questi pazienti 500 necessiteranno di interventi di Cure Palliative (CP) di vario tipo, 130 dei quali in regime di ricovero in Centri Residenziali di CP (hospice). Si stima che la prevalenza puntuale quotidiana presso l’UCP sia di 240 soggetti affetti da cancro e che la presa in carico di malati terminali da parte dell’intera struttura sia mediamente di 60 persone al giorno.
Per venire incontro alla richiesta assistenziale di questa categoria di pazienti l’U.S.L. 8 di Arezzo ha costituito una struttura dipartimentale, a valenza aziendale, denominata Medicina del Dolore e Cure Palliative, inserita nel Dipartimento Oncologico. Tale struttura fornisce un servizio destinato ai malati terminali i cui bisogni di natura clinico-sanitaria, assistenziale o psico-sociale si rivelano di particolare complessità.
D- Quando si rende opportuno un intervento palliativistico?
R- L’ambito di applicazione delle CP riguarda la fase terminale di malattie evolutive ed irreversibili definite da alcuni criteri: il criterio terapeutico, che si riferisce all’assenza, all’esaurimento, alla non opportunità di trattamenti curativi specifici o non specifici; il criterio sintomatico, che riguarda la presenza di sintomi invalidanti che condizionano la riduzione delle performance al di sotto del 50% della scala di Karnofski; il criterio evolutivo o temporale, relativo alla rapida evolutività con imminenza della morte, in genere entro tre mesi.
D- A quali categorie di pazienti oncologici sono destinate le CP?
R- Ai malati terminali, a quelli non ancora terminali ma che necessitano di interventi palliativistici, ai pazienti che, rifiutando consapevolmente ed adeguatamente interventi di radioterapia, chemioterapia e chirurgia, decidono in modo autonomo di passare a questa tipologia di cura. Nei primi due casi il passaggio alle CP è preceduto da una valutazione tecnica collegiale, coordinata dal Medico di Medicina Generale (MMG) del paziente.
D- Come viene definito il programma d’intervento assistenziale del paziente oncologico terminale?
R- Il piano assistenziale prevede due livelli in base al grado di complessità della condizione presentata dal paziente. Il primo di questi consiste nell’Assistenza Domiciliare Intergrata (ADI), che contempla le cure domiciliari tramite il servizio di Assistenza Domiciliare Integrata del Distretto e che riguarda pazienti oncologici terminali con problemi di modesta complessità; è attivato dal MMG del paziente, il quale concorda con il Medico del Distretto le modalità operative e le risorse strumentali e di personale, comprese le consulenze specialistiche, fra cui quella dell’UPC. L’UPC fornisce a sua volta supporto di consulenza, quando richiesta dal MMG e/o dal Distretto.
Il secondo livello riguarda pazienti il cui stato di salute è estremamente critico ed instabile. In questi casi il MMG richiede una valutazione collegiale con il Medico del Distretto e con il Medico dell’UCP, dalla quale scaturisce il programma d’intervento assistenziale, di cui il MMG è interamente responsabile. In aggiunta è possibile attuare un intervento diretto (terapeutico e/o prescrittivo) da parte dell’UCP.
D- Un’elevata percentuale di malati terminali viene spesso ricoverata in Reparti di Medicina diversi. In che modo è possibile semplificare e velocizzare l’iter del malato e l’integrazione Ospedale -Territorio?
R- Qualora il Medico Ospedaliero ravvisi in un paziente ricoverato caratteristiche di terminalità e/o la necessità di un intervento di tipo palliativistico, può richiedere la consulenza del Medico esperto in CP. È così possibile stabilire un protocollo d’intesa tra Dipartimento Medico e Dipartimento Oncologico.
Nell’imminenza di un’eventuale dimissione del paziente una specifica Unità di Valutazione (Medico Ospedaliero, MMG del malato, Medico Palliativista, Medico del Distretto, Infermiere Professionale dell’Assistenza Infermieristica Territoriale) considererà i bisogni del malato, la possibilità di assistenza e cura ed il luogo più idoneo al loro espletamento.
D- La cittadinanza aretina ha dimostrato sempre una particolare ricettività rispetto alle necessità medico-assistenziali dei pazienti oncologici. Esiste inoltre da circa 30 anni un’associazione di volontariato per la lotta ai tumori, il CALCIT. Ce ne parli.
R- Ad Arezzo nel giugno 1978 è nato il CALCIT (Comitato Autonomo Lotta Contro I Tumori), che ha donato strumenti destinati esclusivamente alle Divisioni Ospedaliere che si occupano di Oncologia. Il CALCIT, con la consueta generosità e sensibilità, ha costruito due centri oncologici, il Bunker e ha donato le apparecchiature necessarie per permettere all’Ospedale di Arezzo di erogare servizi di ecografia, TAC, PET, chirurgia endoscopica urologia, chirurgia microscopica oculistica e per otorino, radioterapia e angiografia. Inoltre, dal 4 dicembre 2004, il CALCIT, in stretta collaborazione con l’U.S.L. 8 di Arezzo, finanzia il progetto SCUDO, acronimo di Servizio Cure Domiciliari Oncologiche, con l’intento di garantire ai pazienti ed ai loro familiari una migliore copertura dei bisogni assistenziali ed un sostegno psicologico in una fase così delicata della vita. Lo SCUDO è rivolto esclusivamente ai pazienti oncologici che, a causa dello loro stato di malattia, necessitano di assistenza medica-infermieristica presso il proprio domicilio. L’équipe è composta da 1 medico, tre infermieri ed una psicologa. Il servizio è gratuito per gli utenti ed attivo 24 ore su 24. Lo SCUDO opera all’interno di un programma ADI, in accordo con il Medico del Distretto ed il MMG del paziente. La sede dello SCUDO si trova presso il Centro Oncologico CALCIT dell’Ospedale di Arezzo.
Attualmente è in fase avanzata di progettazione l’idea di garantire un servizio di questo tipo anche nelle altre zone del distretto aretino, nonché in quelle del Casentino e della Valdichiana.
Il vantaggio più grande che il progetto SCUDO possa offrire è la possibilità di alleviare la sofferenza dei pazienti, permettendo loro di sentirsi protetti e rassicurati in un ambiente familiare com’ è quello della propria casa. L’ospedale è il luogo meno adatto per queste persone, in quanto luogo di alta professionalità e tecnologia dove si salvano le vite. Quando l’emergenza è finita, quando non c’è più http:\\/\\/psicolab.neta da indagare e da guarire, serve tutt’un altro tipo di professionalità, dall’alto contenuto umano.