Come si imparano le cose? Com’è che si impara a parlare, a camminare? E com’è che si impara che ad un sorriso si risponde con un sorriso e ad uno schiaffo con un altro schiaffo? Il percorso dello sviluppo mentale personale, la cosiddetta ontogenesi, è molto lungo, addirittura non finisce mai, e nei primi anni di vita è caratterizzato da successive e radicali stratificazioni di apprendimento, dal conseguimento di progressivi livelli di sviluppo mentale. Inizialmente, appena nati, non siamo in grado di parlare, né di camminare, né probabilmente di capire cosa realmente significhi essere usciti da quella “piccola stanza” calda ed accogliente all’interno di nostra madre, né sappiamo che la donna che ci tiene in braccio è nostra madre, né tanto meno sappiamo cosa in realtà una madre sia, né a cosa serva. Col passare dei giorni, dei mesi, degli anni, il bambino viene progressivamente a contatto con l’ambiente che lo circonda. Sta crescendo, e lo sviluppo fisico lo aiuta in questo: si sviluppa la muscolatura che lo sorregge e che gli consente di muovere i primi passi, di cominciare a toccare gli oggetti; il cervello aumenta il numero delle cellule, che si connettono tra loro in intricate trame di filamenti nervosi. Il bambino prende in mano un cucchiaio, sente che è freddo; tocca la fiamma di un accendino, sente dolore, piange. Basta una volta, e da quel momento prenderà nuovamente in mano il cucchiaio, ma non toccherà più il fuoco, sicuramente per molti anni, forse non sa perché, ma non lo farà. Quell’esperienza è stata memorizzata come un evento negativo, perché ha portato conseguenze negative, il dolore, il pianto. La vita dell’essere umano è costellata nei primi anni dal ripetersi di queste esperienze, alcune delle quali risulteranno positive, altre negative. È il modo in cui ognuno di noi ha cominciato a padroneggiare il mondo che ci circonda, a capire cosa “è bene” e cosa “è male”, a capire ciò che si può continuare a fare e ciò che è meglio non ripetere. A questo meccanismo di “prova delle esperienze” si aggiunge la capacità di apprendere anche senza sperimentare direttamente, ma soltanto osservando gli altri e vedendo quali sono le conseguenze di azioni compiute da altri.
Alla fine degli anni 70 del secolo scorso, uno psicologo americano, Albert Bandura, decise di studiare a fondo questo tipo di meccanismo. Prese allora due gruppi di bambini e li mise in due stanze diverse, in ognuna delle quali c’era un televisore. Uno di questi trasmetteva filmati con scene di farfalle e di fiori, mentre l’altro trasmetteva filmati dove erano rappresentate scene di lotta e di violenza trai personaggi. I due gruppi di bambini furono poi spostati in un’altra stanza, piena di giocattoli. Bene, fu osservato che i bambini che erano stati esposti alle scene di violenza avevano, rispetto agli altri bambini, comportamenti maggiormente aggressivi nei confronti di questi e dei giocattoli. Questo meccanismo venne chiamato apprendimento sociale e fu definito come la tendenza di un individuo ad adottare comportamenti visti porre in atto dai propri simili, che hanno la funzione di modello, e sui quali gli stessi comportamenti non hanno avuto conseguenze negative. Ecco che, alla luce di questa teoria, in seguito accettata dal mondo psicologico, risulta più facile spiegare alcuni comportamenti.
Sappiamo come in una persona, a causa del condizionamento, si possa consolidare la tendenza ad infrangere le norme. Bene, l’apprendimento sociale può essere il principio attraverso il quale la tendenza a deviare si diffonde tra le persone. Rendiamo tutto più chiaro con un semplice esempio: il signor Buoni osserva il signor Cattivi commettere, poniamo l’esempio, un’infrazione al Codice della Strada. L’impossibilità per le forze di polizia di sanzionare con effetto immediato ogni signor Cattivi che commette un’infrazione al C.d.S. fa sì che il signor Cattivi commetta nuovamente e con minor preoccupazione un’infrazione, dato che non ha ricevuto punizioni, e fa nascere nel signor Buoni l’idea che il comportamento del signor Cattivi sia di tipo adattivo, che gli consenta cioè un adattamento all’ambiente privo di conseguenze negative o nocive (apprendimento sociale). Al signor Buoni capiterà poi di assistere ad altri comportamenti, da parte di altri signor Cattivi, del genere di quelli del primo e che non subiscono punizione. Questo farà nascere nel signor Buoni l’idea che questo tipo di comportamento non solo è adattivo per il signor Cattivi, ma anche che lo è per tutta la Comunità, perché adottato da diversi individui facenti parte di questa. Ci sono buone probabilità, dunque, che l’apprendimento sociale porti un giorno anche il signor Buoni a commettere infrazioni al C.d.S.
È così che ognuno di noi risulta portatore sano di questa particolare “malattia”, che rischia di manifestarsi da un momento all’altro, senza preavviso e spesso senza manifestazioni eclatanti. L’unico modo per prevenire il suo manifestarsi è quello di disattivare ogni tanto il pilota automatico che ci guida nelle azioni quotidiane e di fermarsi a riflettere su ciò che abbiamo fatto o che stiamo per fare e sul significato delle azioni altrui. Ma finché vedendo passare un’autovettura col semaforo rosso sentiremo qualcosa che si torce alla bocca dello stomaco, possiamo stare tranquilli: è il segnale che gli anticorpi funzionano ancora bene.