Nonostante i numerosi tentativi di spiegazione, ancora oggi manca un contributo decisivo al problema dello sviluppo (evolutivo) del linguaggio verbale. Tale problema è particolarmente avvertito in seno alle scienze cognitive – filosofia, psicologia, neuroscienze ecc. – dove da tempo si dibatte tra le ipotesi più o meno continuiste. La scoperta dei neuroni specchio da un lato ha alimentato la discussione scientifica e, dall’altro, probabilmente ha consentito di rintracciare i correlati morfologici cerebrali che sarebbero alla base dell’evoluzione del linguaggio umano. In questo articolo cercheremo di fare il punto delle ricerche che sembrano provare, sulla base delle specifiche funzioni dei neuroni specchio, la possibilità dell’evoluzione del linguaggio verbale da forme arcaiche di comunicazione gestuale.
Le prime evidenze sperimentali della presenza dei sistemi di neuroni specchio (mns) si sono avute nella corteccia premotoria delle scimmie e, come sappiamo, risalgono agli anni Novanta. Questi circuiti neurali localizzati inizialmente nelle aree motorie supplementari (F5) e nell’area intraparietale anteriore (aip) dei macachi sembrano coinvolti non soltanto nelle risposte motorie a uno stimolo sensoriale, ma anche nel riconoscimento – cioè nella rappresentazione – dell’atto motorio potenziale e complessivo (Rizzolatti et al. 1996a). Rispetto alle caratteristiche funzionali essi sono perciò diversi dai neuroni canonici con ‘analoghe’ proprietà visive e motorie (Gallese et al. 1996). Gli studi sulle scimmie hanno dimostrato infatti la presenza di sistemi di neuroni con caratteristiche bimodali (somatosensoriali e visive) o trimodali che si attivano cioè in presenza di elementi percettivi somatosensoriali, visivi e uditivi (Fogassi et al. 1996; Graziano et al. 1999).
Per leggere tutto l’articolo, scarica il PDF sotto al titolo