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Eventi

Il Volto della Follia

La pazzia intesa come opera d’arte, non come massima espressione artistica, ma come una dolorosa realtà. Immagini che hanno saputo fermare le manifestazioni del dolore della follia, del disagio e dell’orrore della vita di chi veniva segnalato come “pazzo”. Fotografie di chi si è avventurato nei luoghi che volgarmente venivano e vengono chiamati manicomi, per portare alla luce a tutti una testimonianza che non potrà essere mai dimenticata. Questo è quello che viene presentato con una mostra che si tiene dal 13 novembre 2005 al 22 gennaio 2006 dal titolo “IL VOLTO DELLA FOLLIA CENT’ANNI DI IMMAGINE DEL DOLORE”. Cinquecento le immagini mostrate, suddivise in quattro sezioni nelle due sedi espositive di Palazzo Magnani a Reggio Emilia e di Palazzo dei Principi a Correggio (RE). In questo bellissimo e crudele percorso sono documentati gli ambienti e la vita all’interno degli ospedali psichiatrici e il difficile processo d’inserimento nella società degli ex degenti. Un evento espositivo curato da Sandro Parmiggiani e promosso dalla Provincia di Reggio Emilia e dal Comune di Correggio in collaborazione con il Centro di Documentazione di Storia della Psichiatria e con il sostegno della Fondazione Pietro Manodori e del CCPL Reggio Emilia e Unieco.
Il viaggio visivo inizia il suo percorso nella prima sezione denominata “Memoria della città dei Matti” a Palazzo Magnani. Si trovano foto scattate tra la fine dell’800 ei primi del ‘900 ai ricoverati del San Lazzaro, ufficialmente denominato nel 1821 con decreto del Duca Francesco IV, “Stabilimento Generale della Case de’ Pazzi degli Stati Estensi”. La storia narra che nei secoli precedenti non era stato ideato come manicomio, ma bensì come lebbrosario. Questa struttura doveva accogliere i folli, o meglio tutti coloro che erano invalidi, decrepiti, storpi, epilettici, sordomuti, ciechi e paralitici. Solo nel 1536 il San Lazzaro viene chiamato a volgere la propria attenzione per selezionare chi veniva ritenuto affetto da pazzia. Le prime rappresentazioni del volto di chi per qualsiasi ragione, anche banale, veniva interpretato come folle, sono quelle delle incisioni di Alexander Morison (1826), di Augusto Tebaidi (1884) e le fotografie raccolte nei tre volumi de La Salpetrière (1876-1880). Da sottolineare il fatto che, alcuni anni prima, a La Salpetrière, nel reparto del Professor Charcot, Duchenne de Boulogne aveva usato la fotografia per immortalare l’espressione di chi era sottoposto a crudeltà, come l’inserimento di elettrodi sui muscoli facciali. Senza pensare che proprio quel gesto, consapevolmente spietato, un giorno, fosse cruda testimonianza preziosa per creare un ponte tra fotografia e arte. Il dramma e il dolore di chi è stato rinchiuso in quelle mura viene presentato in questa prima sezione dalle fotografie di Giuseppe Fantuzzi, che ci porta indietro al 1910 per mostrarci i luoghi e i ricoverati al lavoro. Mentre Mario Vaiani ritrae bambini della Colonia Marro: qui i protagonisti sono i corpi nella loro totalità, con sguardi che tanto sanno. All’interno di questa sezione Giovanni Sesia, nelle sue opere di grande formato, illustra i volti di ricoverati al San Lazzaro con una rielaborazione pittorica, su base fotografica. La prima sezione della mostra si chiude con le immagini di Vasco Ascolini realizzate negli ultimi dieci anni, visitando vari manicomi italiani e istituzioni medico-scientifiche. “I Manicomi svelati” è il titolo della seconda sezione della mostra, con foto scattate dal 1965 in poi, all’interno delle strutture psichiatriche italiane. Una violenza mai capita da chi la realtà del folle l’ha solo giudicata e mai osservata con l’animo aperto verso un disagio che è rimasto come un urlo soffocato. Il percorso inizia con il lavoro di Luciano D’alessandro realizzato tra il 1965 e il 1968, nel manicomio di Nocera Superiore (Salerno): immagini forti come quella dei due reclusi intrappolati nella camicia di forza. Rappresentazioni che danno la sensazione della pietà per i ricoverati sono quelle invece realizzate da Carla Cerati e da Gianni Berengo Gardin, come se volessero farci percepire i respiri, i pianti e i lamenti di quei volti che adesso rimangono solo una cruda dichiarazione visiva. La mostra prosegue con le fotografie di Raymond Depardon scattate tra il 1979 e il 1980 in alcuni manicomi italiani; qui il fotografo riesce a denunciare il disagio dell’inserimento sociale di molti dei ricoverati dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici nel 1978 con la Legge Basaglia. Attraverso gli scatti di Depardon si riesce ad intuire profondamente la sofferenza di chi fino ad allora aveva vissuto nella propria realtà e quanto sarà duro il recupero. Ferdinando Scianna, al contrario, prova a dare una nota di colore in questi spaccati di vita buia: qui l’obiettivo è il giudice spietato e crudele verso un oggettività che oggi vorremmo non fosse mai esistita. Il fotografo infatti si recò per conto del settimanale “L’Europeo” a Gorizia e a Udine in occasione del ballo di Carnevale dell’ospedale psichiatrico. Da questa esperienza si scorgono sorrisi, illusioni e anche speranze. Si può percepire il sentimento della gioia, emozione uguale per tutti, sia per chi viene chiamato “folle” sia per chi è considerato “normale”. Le rappresentazioni continuano con quelle di Gian Butturini tra il 1972 e il 1975, che documenta, con le sue opere, l’apertura dell’ospedale psichiatrico di Trieste, dove Franco Basaglia operava. I volti immortalati portano il tatuaggio della sofferenza. Sguardi senza speranza, senza armonia, tormento di chi vive in un mondo dove la parola dignità non viene contemplata. Uliano Lucas, che da trenta anni non ha smesso mai di occuparsi del disagio di chi veniva chiamato pazzo, con i suoi lavori degli anni ’70 narra il lento e faticoso ritorno alla vita in alcuni dei luoghi e nelle situazioni originati dall’avvento della Legge Basaglia. La terza sezione, “Al di là delle mura tra le persone”, vede protagoniste le foto scattate da Uliano Lucas, Enzo Cei, Philippe Tournay, Roberto Salbitani, John Darwell, Giordano Moranti, Marco Fantini e Ilaria Turba, che documentano la “morte dei manicomi” dopo la loro chiusura. Qui l’attenzione si focalizza sui volti delle persone che vivono tale situazione e sui luoghi, ormai abbandonati, degli ex manicomi. Il percorso termina a Palazzo dei Principi di Correggio con la quarta e ultima sezione, “Prigioni e rifugi nelle terre del mondo”, realizzata in collaborazione con Enrico Vigano. Qui i lavori dei cinque fotografi Chien – Chi Chang, Anders Petersen, Alex Majoli, Adam Broomberg, Oliver Chanarin e Claudio Edinger, che negli ultimi quindici anni hanno realizzato reportage in vari paesi del mondo dal Brasile a Cuba, dalla Grecia alla Svezia a Taiwan: una raccolta fotografica sulla crudeltà delle condizioni disumane in cui tante persone ancora oggi sono tenute. Un evento espositivo immerso in una veridicità spiazzante, che con la forza dell’immagine vuol far risuonare le note dell’anima di tutti coloro che davanti a tanto orrore non possono far altro che riflettere in doloroso silenzio.
“La follia è una condizione umana”, lucidamente diceva Franco Basaglia, aggiungendo: “ In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanta ragione quanto la follia”.

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