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Comportamento

Il Turismo e il Marketing Esperienziale

Il consumatore non è un soggetto totalmente razionale: recenti studi parlano di un 95% di scelte dettate dall’inconscio, magari in seguito razionalizzate. Ecco allora che la classica logica “bisogno-acquisto-beneficio” mostra la corda e diventa una teorizzazione appropriata solo in parte alla realtà, dato che ci troviamo in un contesto in cui il consumo risponde prevalentemente a necessità psicologiche.

Ciò è tanto più vero in quei settori, come il turismo, in cui il servizio offerto ha valenze e connotazioni intangibili e permeate di emozionalità. Il turismo è infatti un comportamento sul quale incidono numerosi fattori (emotivi, cognitivi, culturali, sociali, economici, geografici, ecc.) variamente combinati. Spesso però tali fattori tendono ad essere sottostimati da chi privilegia gli aspetti economici e occupazionali, cioè a dire pressoché tutti coloro che operano professionalmente nel comparto.

Invece in un’ottica più aperta il marketing del turismo, la comunicazione turistica e la psicologia del turismo sono tre discipline che afferiscono ad un macrotema comune: le motivazioni, i processi decisionali che portano alla scelta e all’acquisto, il comportamento del turista a destinazione e la sua personalità in vacanza. Cercando di mettere in relazione la competenza turistica, cioè la capacità consapevole di fare vacanza, con la soddisfazione turistica, cioè gli effetti positivi dell’esperienza.

Da questa premessa la nuova strategia della funzione marketing deve essere sempre più quella di “customer relationship management”. Ovvero, “curare le relazioni tra impresa e cliente affinché il loro rapporto non sia più costruito sui classici target (età, residenza e sesso), ma imperniato su un rapporto emozionale”.

L’offerta quindi, intesa non solo come singolo prodotto ma come l’insieme delle attività legate alla relazione (vitale) che si instaura tra azienda e cliente da quando quest’ultimo viene a contatto con essa, va riconfigurata. Per farlo l’impresa (t.o., adv, ente che sia) deve entrare in stretta interazione con l’individuo al quale si rivolge. Lo deve conoscere in modo approfondito per cogliere le caratteristiche dell´esperienza di consumo che questi vuole vivere. Gli strumenti a disposizione non sono soltanto quelli classici (ricerche di mercato, focus group e simili) ma anche tecniche nuove per il marketing, di derivazione antropologica e psicologica, in grado di cogliere l’intero processo di consumo, senza limitarsi al solo momento dell’acquisto.

Il problema è che la sfida, al giorno d’oggi e in un comparto turistico caratterizzato da un’esasperata concorrenzialità, non è più quella tra prodotti (basta entrare in un’agenzia per rendersi conto che ne esistono fin troppi di qualità equivalente) ma quella tra percezioni attorno ai prodotti; ed è allora la comunicazione, che sulle percezioni lavora, a fare la differenza. Ne consegue la necessità per l’azienda di trasmettere gli stimoli più adatti a convincere il cliente circa l’irrinunciabilità e l’insostituibilità del servizio offerto.

Già da diversi anni si parla di marketing emozionale o dell’esperienza. Teorizzato da Bernd Schmitt il marketing esperienziale è così chiamato in quanto si basa più sull’esperienza del consumo che sul prodotto in sé. Obiettivo primario della strategia di marketing sarà allora quello di individuare che tipo di esperienza lo valorizzerà al meglio.

Al di là delle cinque tipologie di cui parla l’autore (SENSE, FEEL, THINK, ACT e RELATE) ci sono varie combinazioni e un approccio olistico da destinare ai consumatori mediante il communication mix, ovvero l’insieme degli strumenti che parlano della marca, inclusi siti internet, punti vendita e personale di contatto.

Proprio lo spazio del punto vendita, nel processo attuale di trasformazione del retailing, deve rispondere a queste nuove esigenze dotandosi di strumenti comunicativi e di attrazione basati sulla stimolazione di tutti e cinque i sensi del cliente: e questo discorso vale non soltanto per i concept store delle grandi firme della moda ma anche per le semplici adv. Luci, colori, materiali, suoni: tutto deve rimandare ai valori della marca in un circolo autoreferenziale che coinvolge il consumatore già a partire dalla semplice presenza fisica nello spazio di vendita.

L’obiettivo è instaurare una sorta di empatia tra l’agenzia e il cliente che faccia aumentare il coinvolgimento del consumatore e la sua differenziazione percepita durante il processo di consumo, il che si traduce in una nuova fonte di vantaggio competitivo. E´, in altre parole, il tentativo dei vari competitors del nostro settore di una più enfatizzata differenziazione.

La logica del marketing esperienziale centralizza ancora di più l’attenzione sul cliente e tutte le funzioni aziendali vanno ripensate in quest’ottica: “bisogna far emozionare il potenziale viaggiatore”.

Pine e Gilmore, nel loro fondamentale testo “L’economia delle esperienze”, ci dicono che le caratteristiche principali dell’esperienza sono l’unicità e la personalizzazione: “le aziende mettono in scena un’esperienza ogni qualvolta coinvolgono i clienti mettendosi in contatto con loro in modo personale e degno di essere ricordato”. Anche le operazioni più banali possono essere trasformate in esperienze memorabili, e quest’ultime non sono altro che eventi che parlano anche alla sfera intima dell’individuo, alla sua psiche. Dunque, l’impresa che decide di arricchire la propria offerta, in modo da farla percepire come unica, dovrà trasformarsi in “regista di esperienze”, ovvero dovrà essere capace di coinvolgere l’individuo a livello emotivo, fisico, intellettuale e anche spirituale.

Le esperienze infatti sono assai diverse dagli acquisti, perché sono legate profondamente a cosa succede alla propria identità mentre si compra, mentre si consuma e mentre si racconta il proprio consumo ad altri (reputazione). Quando si fa un’esperienza emotiva intensa si è coinvolti così profondamente che la fedeltà alla marca diventa forte e insostituibile, perché l’esperienza globale cambia lo stato d’animo dell’acquirente.

Dunque la strada è verso un marketing che propone tecniche di vendita e di comunicazione (polisensoriale appunto) basate sulla sollecitazione strategica di tutti e cinque i sensi del consumatore. Suo compito sarà quello di estendere i propri contenuti e le proprie capacità espressive oltre il visivo e l’auditivo, ottenendo così due vantaggi: dotare il servizio di un’identità forte e coinvolgere maggiormente il consumatore sia sul piano cognitivo che su quello passionale, utilizzando innanzitutto linguaggi di tipo sinestetico (mettendo quindi in relazione due o più sistemi sensoriali).

Al giorno d’oggi il sincretico, un testo quindi che utilizza più codici espressivi come lo spot pubblicitario o un sito internet, si apre sempre più al sinestesico. Lo dice bene in un bel saggio intitolato “Dal sincretico al sinestesico” Ceriani: “mediante l’enfatizzazione delle contaminazioni e delle corrispondenze sul piano del sensibile, la pubblicità riesce a creare una relazione più prossima col ricevente e ad attivare il suo consenso, sia abbassando la soglia cognitiva responsabile del giudizio in favore di quella affettiva/sensoriale, sia moltiplicando i percorsi cognitivi, relativi ai sensi chiamati in causa”.

Il brand diventa sempre più quindi un oggetto relazionale, uno strumento che crea contatto fra il consumatore e il suo bisogno di scambio relazionale. Nel turismo questa è una grande opportunità: non bisogna sprecarla.

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