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Scuola

Il Problem Solving Matematico

La risoluzione dei problemi è una delle principali competenze del nostro sistema cognitivo e per la psicologia questo significa anche dire che la si può considerare un’abilità caratteristica di un vero e proprio stile cognitivo che in modo strategico procede nella ricerca di soluzioni. Le componenti cognitive di cui il nostro sistema cognitivo ha bisogno per poter riuscire nella risoluzione di problemi (e che risultano essere in grado di spiegare la maggior parte della varianza totale relativa alle abilità di risoluzione), tutte indipendenti e pertanto parimenti importanti, risultano essere:

  • Comprensione delle informazioni e delle loro relazioni;
  • Rappresentazione delle informazioni mediante schemi capaci di integrarle e strutturarle;
  • Categorizzazione del problema in base alla struttura profonda, alle operazioni necessarie alla risoluzione;
  • Pianificazione delle procedure;
  • Soluzione, monitoraggio e valutazione.

La ricerca psicologica ha studiato le componenti di comprensione del problema e le abilità strategiche e metacognitive di soluzione dello stesso, dando vita a diverse teorie. I padri del gestaltismo erano convinti che una mente strategica ricavi la propria abilità dalle forme di pensiero produttivo, capace di procedere nella risoluzione di situazioni problematiche in modo flessibile, intelligente e dunque costruttivo. Nelle situazioni in cui il soggetto è motivato a raggiungere una meta, ma è ostacolato, deve pianificare un percorso di soluzione. Tale convinzione ha influenzato anche gli approcci di matrice cognitivista che sostengono come la soluzione di problemi implichi un atteggiamento strategico, in grado di modificare la situazione presente in vista di un obiettivo futuro. La mente può sapere come modificare una situazione (conoscenza procedurale) solo se conosce cosa modificare (conoscenza dichiarativa), è necessaria dunque una conoscenza delle informazioni chiave. Secondo Simon (1980), perché un soggetto sappia risolvere un problema, prima deve ricavarne una rappresentazione cognitiva delle informazioni, individuando quelle chiave, selezionandole e integrandole. Perciò la competenza sembra implicare comprensione e ricerca di strategie. Greeno (1978, 1983) propone un modello secondo cui comprendere il problema comporta rappresentarsi cognitivamente le informazioni e comprendere le operazioni, i piani e le strategie da usare.
Un aspetto interessante, riscontrato grazie allo studio di studenti esperti nella soluzione di problemi, è quello dei processi metacognitivi, che permettono ai soggetti, dialogando tacitamente con se stessi, di controllare il processo risolutivo, di usare in modo competente le strategie. Il controllo consapevole garantisce la corretta esecuzione del compito. Mayer (1985) ha evidenziato quattro processi conoscitivi coinvolti nella risoluzione di problemi matematici: la traduzione (conversione di ogni frase in rappresentazione mentale), l’integrazione (relazione e combinazione delle informazioni in rappresentazioni coerenti dell’intero problema), la pianificazione (piano d’azione), l’esecuzione (uso di operazioni matematiche). Secondo la ontagne (1992), i bambini possono imparare ad usare in modo adeguato i tre livelli di conoscenza necessari per risolvere i problemi, ovvero il livello dichiarativo (uso dei concetti quantitativi, delle operazioni e degli algoritmi), quello procedurale (le conoscenze dichiarative sono applicate in modo diverso in base al contesto) e quello condizionale (uso critico e consapevole delle strategie con modifica del comportamento cognitivo al variare del compito), attraverso l’autoistruzione, l’automonitoraggio e l’autointerrogazione.
Nel problem solving matematico troviamo la compresenza di: Componenti cognitive: lettura (comprensione), parafrasi (traduzione), visualizzazione (trasformazione), formulazione di ipotesi (pianificazione delle operazioni da fare), stima (previsione del risultato), computazione (calcolo), controllo (valutazione di ciò che si è fatto). Componenti metacognitive: auto-istruzione (conoscenza delle caratteristiche e dell’utilità delle strategie e suggerimenti per il loro utilizzo), auto-interrogazione (micro verifica continua sul corretto uso delle strategie), auto-monitoraggio (controllo generale sulle strategie).
Parlando di problem solving ci riferiamo alla risoluzione di un problema, ma che cosa intendiamo per problema? Potremmo definirlo come una situazione difficile che richiede una via di uscita, una modalità per aggirare eventuali ostacoli ed ottenere un risultato che non può essere ottenuto immediatamente; oppure potremmo definirlo come una situazione di vita reale che richiede una risposta efficace, non immediatamente chiara o disponibile all’individuo per mantenere un buon livello di adattamento.
Quindi non possiamo confondere il problema con l’esercizio. Nell’esercizio le conoscenze sono necessarie e sufficienti allo svolgimento, si tratta cioè di un processo di applicazione, riproduzione di schemi noti, di tecniche acquisite e memorizzazione di procedimenti, l’attenzione è rivolta al risultato che è univocamente determinato. Nel problema invece le conoscenze sono necessarie ma non sufficienti alla sua risoluzione, c’è bisogno di una sorta di scoperta, frutto di creatività, intuizione, invenzione, ragionamento, strutturazione; in questo processo l’attenzione è rivolta alle attività procedurali.
Il criterio comunemente accettato per individuare una specifica situazioni di difficoltà è il criterio della discrepanza, ovvero della differenza tra la stima delle abilità intellettive generali e l’effettivo successo scolastico. Le ipotesi principali sulle cause dell’insuccesso in matematica sono state ricondotte a cause neuropsicologiche, cognitive e psicopedagogiche.
cause neuropsicologiche: la mancata integrità delle funzioni cerebrali compromette la buona riuscita nei compiti cognitivi; secondo diversi autori, alla base delle disabilità in ambito matematico vi sarebbero aree cerebrali danneggiate o non integre nelle loro funzioni (Lurija, Strang, Rourke). Lurija ha sostenuto una correlazione anatomo-cerebrale tra danno neurologico e tipo di disturbo cognitivo evidenziato (zona parieto-occipitale sinistra per i disturbi del calcolo e di organizzazione spaziale, lobi frontali per le difficoltà nella soluzione di problemi matematici), tuttavia la ricerca in tal campo si è riferita a pazienti adulti con disturbi acquisiti.
cause cognitive: gli studi che hanno rilevato cause psicologiche alla base dei disturbi di apprendimento in matematica hanno posto enfasi su processi cognitivi quali la memoria, fattori visuo-percettivi, psicomotori, attentivi… ; queste variabili sono studiate e analizzate in relazione alle prestazioni specificamente implicate, ovvero alle operazioni aritmetiche e il problem solving. La componente fondamentale è la comprensione del testo (e diversi studi documentano come molte delle difficoltà che i bambini incontrano siano dovute proprio alla “confezione” del testo e alla presenza di informazioni irrilevanti), successivamente entrano in gioco le componenti di rappresentazione, categorizzazione e pianificazione; a questo punto si usano le competenze di calcolo per risolvere le idee definite.
cause psicopedagogiche: intese come tutte le componenti delle difficoltà di apprendimento ascrivibili alla qualità dell’insegnamento. Hoy (1988) ritiene che spesso gli insegnanti facciano uso di strumenti con un livello di difficoltà non adeguato ai propri allievi; ciò può portare ad una risposta cognitiva inadeguata, ma anche a una percezione di sé inadeguata o a una mancanza di motivazione. Secondo Wood (1990) molte difficoltà dipendono dai contenuti della disciplina mediata spesso da didattiche attente la correttezza epistemologica ma non all’abilità di apprendimento individuale. Per questo autore le cause responsabili di un apprendimento debole o deficitario possono riscontrarsi in: un linguaggio che penalizza i bambini con difficoltà; programmi che non tengono conto dell’esercizio; ricorso a quantità di simboli che richiede abilità di decodifica ed elaborazione carenti in bambini con difficoltà; operatori non adeguatamente formati in relazione ai nuovi contenuti e alle strategie didattiche necessarie; eliminazione dei genitori come partner dell’insegnante.

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