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Psicoterapia e Psicoanalisi

Il Cavallo per l’Ippoterapia e la Riabilitazione Equestre

Lo scopo di questo articolo è quello di rispondere alle più comuni domande di chi si avvicina all’ippoterapia e vuole saperne di più sullo “strumento” di cui essa si avvale.
 
Come un artista crea le sue opere migliori con gli strumenti che più ama, così le terapie più belle prendono vita da un cavallo amato.
Se amiamo il nostro cavallo ci piace guardarlo, passare del tempo con lui, conoscerlo, volere il suo bene. Da tutto questo nasce la conoscenza, nostra di lui e sua di noi. Meglio conosciamo uno strumento meglio lo utilizzeremo. Ecco perché la TMC, terapia a mezzo del cavallo, scopre sfumature e ricchezze maggiori, tanto più conosciamo il nostro strumento. Ma dobbiamo uscire da un’ottica strumentalistica per comprendere questo messaggio. Si parla di rapporto tra essere viventi in relazione, di relazione affettiva. Quindi questa conoscenza non nasce né dalla teoria né dalla tecnica, ma dall’amore. Tecnica e teoria aiutano a migliorare una relazione che senza una base affettiva avrebbe magari una bella forma ma un contenuto assai povero. Un bel vaso senza fiori da metterci dentro.
 
Come deve essere il cavallo da ippoterapia?
Belle domanda. Schietta, diretta, assetata di una risposta tecnica e decisa. Del tipo: che chiavi servono per questo motore? La dodici e la nove. O.K. vado a comprarle. Purtroppo non è così semplice, ma per non scoraggiare posso rispondere con due parole: SANO E LAVORATO.
Diverse volte io stessa ho formulato e ho sentito formulare questa domanda. Molti esperti del settore hanno cercato di elaborare una risposta tecnica ed esaustiva per dare indicazioni a chi si trova a lavorare o a volerlo fare in questo settore. Esistono delle schede tecniche molto esaurienti, nate da studi sperimentali, che riassumono le caratteristiche ideali che un cavallo dovrebbe possedere per essere ritenuti adatti al lavoro coi disabili. Altezza al garrese, frequenza del passo, larghezza della groppa, proporzioni delle gambe. Beh, io ho lavorato con cavalli largamente bocciati da queste pagelle che si sono rivelai degli ottimi “colleghi”. Ogni cavallo ha caratteristiche peculiari che possono tornare utili nella terapia: indole, stazze, caratteri, andature differenti possono soddisfare esigenze differenti.
Così come ogni bambino è diverso da un altro così i cavalli sono diversi tra loro.
Una scuderia eterogenea spesso può essere come una ricca tavolozza per un pittore ispirato da un paesaggio variopinto. VARIABILITÀ = RICCHEZZA DEL LAVORO.
Ogni aspetto del nostro cavallo può adattarsi o meno alle caratteristiche o alle esigenze dei nostri bambini.
Cavalli docili e socievoli sono ideali per avvicinare i più timorosi.
Quelli più dispettosi possono aumentare notevolmente le richieste di attenzione e sono incredibilmente preziosi per lavorare con bambini che hanno disturbi dell’attenzione.
Cavalli dalla groppa larga e il passo regolare sono ideali per il “maternage” e le terapie che hanno lo scopo di indurre rilassamento muscolare.
Al contrario, cavalli dal passo elastico e ritmo veloce stimolano e aiutano ad uscire da uno stato di passività e chiusura, come quello dentro cui si barricano i soggetti autistici.
Capita molto spesso che i cavalli che finiscono nei centri di ippoterapia vengano donati da privati che, per una ragione o per l’altra, non possono più occuparsi del loro amico e confidano di trovare loro un ambiente sano e amorevole dove essi possano ancora “dare qualcosa”. Il consiglio che do è quello di non scartare a priori nessun cavallo solo perché non risponde alle tabelle che si trovano sui libri. È molto più utile cercare di conoscere il cavallo, magari provandolo per un certo periodo di tempo e provare a vedere se si presta a soddisfare le esigenze degli utenti. È utile tener presente che mentre è ben difficile modificare le caratteristiche morfologiche di un cavallo, che al massimo si possono attenuare o accentuare attraverso il tipo di bardatura, no lo è altrettanto per quanto riarda il suo comportamento e il suo carattere. Con pazienza e un buon addestramento possiamo guadagnarci la fiducia del nuovo arrivato e insegnargli cose nuove o correggere vecchie abitudini. Possiamo anche farci aiutare da un esperto se incontriamo resistenze o pensiamo che stiamo commettendo degli errori. Non è però necessario essere degli impareggiabili addestratori per togliere ad un cavallo delle fobie o per renderlo mano reattivo o anche solo più ubbidiente. Ciò che è sicuramente necessario è una buona dose di pazienza, capacità di ascolto e osservazione e anche una parte del nostro prezioso tempo. Quasi mai i risultati arrivano in un lampo, a questo vale per chiunque, anche per i famosi addestratori.
 
SANO
Per svolgere bene il suo lavoro il cavallo deve essere necessariamente sano: questo vale per il cavallo impiegato in qualunque disciplina e oltremodo nell’ippoterapia. Zoppie e dolori di qualunque tipo costringono il cavallo ad avere una andatura rigida e incostante. I problemi di schiena riducono la possibilità di caricare pesi. Disturbi intestinali lo rendono soggetto a coliche o costipazione. Deficit carico del sistema cardio-respiratorio gli precludono attività più dinamiche come le galoppate o il lavoro presportivo.. Chi fa terapia a mezzo del cavallo ha una doppia responsabilità: nei confronti dell’animale e delle persone con cui lavorerà. Quindi è doveroso assicurasi che il cavallo sia e rimanga sano: perché sia in salute e lavori bene e abbia voglia di lavorare con noi bisogna prenderci cura di lui in diversi modi.
Quelli più ovvi e che risultano più facilmente intuibili riguardano le sue esigenze fisiche
Un punto fondamentale è l’alimentazione: ogni cavallo ha le proprie esigenze alimentari che dipendono sia dalla sua corporatura che dal suo carico di lavoro. Chiunque abbia avuto un cavallo sa quanto sia delicata la sua digestione e quanto spesso un cavallo vada incontro a seri problemi di salute a causa di un’alimentazione scorretta (coliche, scaldate agli zoccoli, ecc.…). È necessario farsi aiutare a un buon veterinario ma soprattutto, ancora una volta, conoscere il nostro cavallo, le sue reazioni e i suoi bisogni. PIÙ IMPORTANTE DELLA CONOSCENZA DEI CAVALLI IN GENERALE É CONOSCERE I PROPRI CAVALLI. E questo può avvenire grazie al nostro attento e quotidiano rapporto con essi.
È necessario proteggerlo dal freddo e dal caldo, dagli insetti e dalle malattie. Dobbiamo garantirgli il giusto riposo e il giusto svago. Infatti una componente decisiva della salute del cavallo è data dalla sua serenità psicologica. Il cavallo ha tanto bisogno di riposare quanto di lavorare. All’ingresso delle scuderie dove montavo da bambina campeggiava una scritta: “Il cavallo che lavora è un cavallo contento” serviva ad ammonire gli svogliati padroni a montare il loro cavallo con regolarità e non solo nei week-end o quando ne avevano più tempo e voglia.
E di più tra le seconde che tra le prime che si inserisce il lavoro. Come dicevamo prima, perché un cavallo lavori bene è necessario che abbia voglia di lavorare con noi. Un modo molto valido per far sì che ciò avvenga è montare personalmente i cavalli che utilizziamo per le terapie. Si cade spesso nell’errore di pensare che il lavoro di questi cavalli sia “leggero” perché si svolge prevalentemente al passo. Ma questo può risultare anche estremamente noioso e rendere gli animali annoiati e frustrati, tutte cose che si esprimono in tic, difetti e resistenze che non aiutano di certo la qualità del lavoro. Ho conosciuto una cavalla che era addirittura caduta in depressione e l’unico modo per farle riprendere vivacità e vitalità fu concederle lunghe passeggiate nei boschi e….saltare. Avendo fatto questo tipo di attività per tutta la sua vita ne sentiva fortemente la mancanza, tanto da sentirsi spegnere nella ripetitività del lavoro al passo dentro al maneggio, con bambini che le chiedevano al massimo di girare a destra o a sinistra. Se però nelle sue giornate si inserivano anche le attività che più amava era in grado di prestarsi con spirito docile e sereno ai suoi oneri e doveri.
 
 
È necessario saper andare a cavallo per diventare operatori?
Non occorre essere dei campioni o degli istruttori federali ma è necessario per due motivi. Prima di tutto dobbiamo sapere che cosa significhi stare a cavallo, che tipo di sensazione i nostri bambini ricevono. Non possiamo trascurare questo aspetto. È certo più importate essere buoni fisioterapisti o buoni psicologi o buoni educatori che buoni cavalieri ma è eticamente doveroso e corretto conoscere noi stessi cosa stiamo proponendo ad un altro, tanto più se questi è un bambino. Inoltre è altrettanto scorretto chiedere a qualcuno di sottoporsi ad un’esperienza di cui noi non sappiamo http:\\/\\/psicolab.neta.
Come facciamo a capire la paura di un bimbo di trottare se non sappiamo che sensazioni da? Come facciamo a proporre un esercizio se non sappiamo che sforzo richieda?
Conoscere il cavallo è anche saperlo montare. Montare un cavallo ci mette in un rapporto molto intimo con lui. Montare i propri cavalli risponde a entrambi i requisiti suddetti cavallo sano e lavorato.
Lavorare il cavallo e corregge eventuali difetti lo mantiene “ginnasticato” e lo toglie dalla noia. Un cavallo che non salta può imparare a farlo, uno che non galoppa idem, uno che prende la mano può essere addolcito. Più lavora e meno si annoia. E tutto questo farlo sempre con l’aiuto di un istruttore valido.
 
 
e dopo?
Nonostante quello che abbiamo detto finora che non è importante l’età di un cavallo (luogo comune che il cavallo anziano sia più docile, meno reattivo, più paziente e prevedibile) è una realtà di fatto che spesso sono cavalli a fine carriera che si trovano ad essere arruolati nelle schiere dei cavalli per la riabilitazione equestre. Cavalli spesso anziani che, per quanto ben tenuti, sono più soggetti ad ammalarsi e a guarire meno facilmente di un cavallo giovane. E se non ce la facessero più? Indipendentemente dall’idea di ognuno riguardo alla macellazione è un vero delitto scegliere questa via che per molti è la più economica e la più facile. La via che tutti i cavalli invece, secondo mio parere, meriterebbero, e quelli che si sono dati a lavorare coi bambini disabili ancor più a ragione, è di finire i loro giorni in pace e a prato. Chi si è trovato nella condizione di cercare un posto a questi “colleghi da pensionare” forse ha un idea di quanto sia difficile trovare una soluzione del genere se non a costi proibitivi che spesso le associazione non riescono a mantenere, occorre smuovere mari e monti, rivolgersi a volontari, a privati benestanti, ad associazioni come la LAV, gli Alpini, i parchi. A questa domanda non segue qui una risposta ma un appello: occorrerebbe creare un ente sovvenzionato che raccolga i cavalli da ippoterapia che vanno in pensione.

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