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Salute

Il Caregiving nel Network Socio-Assistenziale

Abstract
La relazione fra caregiver e paziente è un flusso unidirezionale d’informazione. Secondo la teoria dei grafi, i caregivers sono nodi adiacenti al paziente. Quindi, il fenomeno caregiving può essere descritto come un’insieme di percorsi geodetici, in grado di orientare le risorse emotive, fisiche e psicologiche del sistema familiare. Tale network sviluppa uno scambio di esperienze e costituisce un utile supporto alla risoluzione dei problemi.
Parole chiave
Caring, caregiving, relazione di aiuto, empowerment, data image, ciclo euleriano.
Introduzione

Da una ricerca statistica (Censis, 1999) è emerso il ruolo esercitato dalla “solidarietà inter-generazionale” nell’assistenza dei soggetti affetti da malattia di Alzheimer: in particolare, i soggetti più attivi nel caregiving sono risultati, nel 49,6% dei casi, figli/e e nel 34,1% coniuge/partner. Nel 42% dei casi i malati vivono con i figli, mentre per il 39,7% vivono con il coniuge/partner. I caregivers non conviventi, che pure subiscono l’impatto della malattia del proprio assistito, fanno parte di nuclei familiari con figli al loro interno nel 75,3% dei casi, mentre nel 14,4% si tratta di coppie.

Il fenomeno caregiving è analogo alla cosiddetta “relazione di aiuto”(Ardigò, 2003), processo comune a tutti gli operatori socio-assistenziali, il cui sviluppo è articolato nelle seguenti fasi:
1. analisi della situazione
2. avvio della progettazione
3. definizione del programma operativo
4. realizzazione e verifica dei processi
5. valutazione del risultato
6. corretta diffusione delle informazioni su risultati e processi
L’analisi della situazione(Trombetta, 1988), da cui dipende l’inquadramento del rapporto paziente-familiari, verte su:
a) il paziente: condizioni cliniche generali, grado di autosufficienza, comportamenti ed abitudini, relazioni familiari;
b) i problemi emergenti nel nucleo familiare: livello, rilevanza;
c) la definizione degli scenari alternativi e l’indicazione degli obiettivi;
d) la verifica della congruenza tra problema, obiettivi e scopi..
E’ in questa prima fase che l’azione svolta da operatori e familiari assume dimensioni spaziali e temporali diversificate. L’intervento deve essere progettato intorno al problema di riferimento sia per il paziente, che per la propria famiglia, realizzando un piano personalizzato (Comune di Civitavecchia, 2003) con il consenso degli interessati alle iniziative da intraprendere. I risultati sono così valutati anche attraverso il grado di soddisfacimento del malato, dei familiari e degli operatori. Al fine di consentire all’operatore di svolgere un ruolo nel monitoraggio delle attività (A.N.S.D.I.P.P., 2002), viene facilitato l’empowerment psicologico e sociale (Arcidiacono, Gelli e Putton, 1999; Piccardo, 1995), mediante un processo di autoapprendimento strutturato in quesiti:
1. come si verificano i processi:
a che punto sono le singole azioni previste;
quali risultati intermedi sono stati ottenuti;
quali cambiamenti stanno avvenendo nella situazione individuata;
rispetto a cosa si verifica l’evoluzione/involuzione del sistema;
il paziente o i suoi familiari sono motivati e consapevoli dei cambiamenti;
i cambiamenti sono rilevanti e per chi.
2. come si valuta il risultato:
nel periodo a disposizione, con le iniziative intraprese, per il problema individuato;
rispetto agli obiettivi concordati, quali risultati si sono ottenuti;
sono congruenti e sufficienti rispetto agli obiettivi ed aspettative prefissate;
per chi sono soddisfacenti.
3. come e a quali interlocutori diffondere le informazioni sui risultati.
L’abilità dell’operatore, quindi, non consiste soltanto nel comprendere gli elementi riguardanti lo stato di salute generale del paziente e le dinamiche familiari indotte, ma include la capacità di discernere, tra le informazioni da restituire ai diretti interessati, quelle che individuano gli obiettivi assistenziali ed espandono il dominio della relazione paziente-caregiver (Simeone, 2002). Noi pensiamo che lo sviluppo delle competenze, entro un modello unidirezionale, possa mettere i caregivers nelle condizioni migliori per evitare sia il rimodellamento degli equilibri familiari, sia il ricorso ad attività e/o risorse aggiuntive rispetto a quelle ritenute ordinarie.


Materiali e metodi
Questo studio ha avuto origine nell’ambito del Seminario di informazione e formazione teorico – pratico su “Il caregiving nella malattia di Alzheimer – dalla relazione affettiva ai compiti assistenziali: il ruolo della famiglia”, organizzato dalla Cooperativa Sociale di Servizi ONLUS Nuova Era di Civitavecchia ed ivi svolto dal 13.03.’04 al 12.06.’04 con il patrocinio del Comune di Santa Marinella (Deliberazione della Giunta Comunale n.15 del 06.02.’04). Ogni provider assistenziale è da ritenersi osservatorio privilegiato delle condizioni e delle necessità, non solo degli assistiti, ma anche dei loro familiari. Il personale che presta assistenza infatti, raccoglie per primo dai diretti interessati, le difficoltà, i desideri, i bisogni, e si trova a dover gestire, spesso anche insieme ai familiari, sentimenti di impotenza e di inadeguatezza. La diretta conseguenza è l’esposizione ad una condizione di stress, i cui effetti possono durare a lungo anche dopo che l’assistenza si è conclusa. Pur presentando delle realtà così significative, il territorio ha mostrato una scarsa attenzione verso i caregivers. L’idea di un seminario di approfondimento è nata, quindi, con l’intento di fornire uno strumento di conoscenza e di supporto riguardo le problematiche di relazione verso la malattia e il malato, così come una partecipazione consapevole in ogni fase della programmazione assistenziale. Un efficace “caregiver” non può essere solo un “assistente” ma deve essere una persona informata; deve saper conoscere i servizi disponibili; deve saper chiedere ed ottenere aiuto; deve ridurre e gestire lo stress al ritmo dei cambiamenti; deve essere, quindi, capace di gestire il presente e programmare il futuro. Sotto il profilo dell’innovazione e della sperimentazione, si può evidenziare come le fasi didattiche siano state costantemente monitorate mediante esercitazioni pratiche, nel corso delle quali i partecipanti hanno potuto utilizzare direttamente strumenti e competenze acquisite:
struttura didattica: il seminario è stato tenuto dagli stessi autori del presente articolo.
soggetti beneficiari: operatori assistenziali, volontari, studenti dei corsi di Laurea nelle professioni sanitarie, per i quali il seminario si poneva come uno strumento di facilitazione previsto per le attività di tirocinio. Il 50% svolge già attività assistenziali.
ciclo didattico articolato in 6 moduli formativi:
Mod. 1 Introduzione – Aspetti conoscitivi
Mod. 2 Definizione del “caring” e del “caregiving”
Mod. 3 I processi di aiuto
Mod. 4 Il percorso assistenziale
Mod. 5 Percorsi nelle acquisizioni dei servizi
Mod. 6 Percorsi nelle acquisizioni delle informazioni
Dati demografici e generali del campione
I dati sono stati raccolti dagli assistenti domiciliari partecipanti al seminario ed elaborati, insieme ai docenti, mediante la formazione di gruppi di studio teorico-pratico. Questo studio è stato condotto su un campione di 8 pazienti, 5 femmine e 3 maschi di cui il 62,5% con un’età compresa tra 65 e 80 anni ed il 37,5% oltre 80 anni. Riguardo al grado di istruzione più della metà (65,5%) hanno frequentato la scuola primaria, mentre il 25% sono laureati e il 12,5 % del campione non possiede titolo di studio. Il 50% dei pz inoltre sono coniugati, mentre i vedovi rappresentano il 37,5% ed il 12,5% non è sposato.Sono inoltre state raccolte notizie sulla rete sociale dei pazienti: soltanto il 37,5% hanno familiari conviventi, la stessa percentuale è ottenuta dai familiari non conviventi, mentre il 25% ha una rete più allargata di parenti,amici,volontari. Eccetto un paziente istituzionalizzato, quindi con un’assistenza continua, il 75% usufruiscono di un numero maggiore di 12 ore di assistenza giornaliera da oltre tre anni; solo in un caso il paziente è assistito per meno di 4 ore al giorno, comunque da oltre 3 anni. Nella descrizione del campione per l’esistenza di comorbidità, due dei pazienti sono affetti da malattia di Alzheimer, mentre l’unico paziente che si discosta per i valori di A.D.L. e I.A.D.L. presenta una disabilità legata a patologie osteoarticolari.
Strumenti utilizzati
La valutazione del grado di autonomia dei pazienti (Resnick, 1999; Finch e Schneider, 2001) è stata condotta utilizzando le seguenti scale:
Activities of daily living Scale (A.D.L.)( Katz, Downs e Cash,1970);
Instrumental Activities of Daily Living Scale (I.A.D.L.)( Lawton e Brody, 1969):
Norton Rating Scale(Norton, 1989).
Per le coppie caregivers – pazienti sono stati valutati gli indicatori della qualità di vita (I.Q.V.) utilizzando una scala adattata da Quality of Life – AD (QoL-AD)( Logsdon, Gibbons, McCurry e Teri,1999).
Il modello teorico
Nella descrizione del caregiving abbiamo formulato un modello unidirezionale dell’assistenza domiciliare basato sulla teoria dei grafi (v. Appendice) ed ispirato ai seguenti principi analitici:
1. all’interno di una rete, in genere le relazioni sono reciproche, dirette o indirette;
2. le relazioni sono asimmetriche, in quanto differiscono per contenuto ed intensità;
3. la struttura del network sociale si sviluppa in modo non casuale;
4. la struttura emergente distribuisce le risorse e le differenzia in ruoli e compiti;
5. il dominio della relazione caregiver – paziente si espande lungo le tre direttrici dell’essere, dell’appartenere e del divenire.
Per la rappresentazione del modello abbiamo utilizzato esclusivamente una misurazione binaria, in cui viene considerata soltanto la presenza o l’assenza di una data relazione, non essendo oggetto di questo studio l’analisi dei costi delle singole relazioni.
Risultati e conclusioni
L’interpretazione dei dati relativi alla valutazione dell’autonomia ha evidenziato tre diversi scenari(vedi tabelle1 e 2): nel primo rientrano i pazienti che conservano parziale autonomia sia nelle attività basilari, sia nelle attività strumentali; nel secondo rientrano i pazienti con totale perdita di autonomia valutata nelle I.A.D.L. ma con parziale autonomia nelle attività della vita quotidiana; infine, appartengono al terzo scenario i pazienti totalmente inabili. Il punteggio della scala di Norton mostra valori sostanzialmente invariati nel primo e secondo scenario, con rischio medio-alto (10 £NR£ 14), ma in assenza di lesioni; mentre per i pazienti del terzo scenario, che presentavano lesioni da decubito, il Norton Rating indica un rischio altissimo (NR £ 10). Inoltre, è stata valutata la qualità di vita, i cui indicatori sono stati raggruppati in tre ambiti: essere, appartenere e divenire(Bianchetti e margotta, 2003)(vedi tabelle 3 e 4). I risultati mostrano diverse relazioni fra i punteggi di pazienti e caregivers:
· il primo scenario indica qualità di vita buone per entrambi;
· nel secondo scenario è evidente un decadimento nella qualità di vita dei caregivers in quasi tutti gli ambiti di valutazione;
· nel terzo scenario nonostante una flessione dei punteggi relativi ai pazienti, i caregivers presentano una valutazione migliore rispetto allo scenario precedente.
Analizzando i punteggi degli I.Q.V. secondo gli ambiti, si rileva una minore differenza tra pazienti e caregivers nella sfera dell’appartenere, probabilmente in relazione al fatto che i due soggetti spesso si trovano a condividere abitazione, condizioni economiche, situazioni familiari ed accesso ai servizi sanitari. Nella dimensione dell’essere, il punteggio dei caregivers rimane sostanzialmente invariato nonostante la progressiva gravità dei pazienti. Infine le variazioni più sensibili sono relative all’ambito del divenire in cui i punteggi dei caregivers subiscono una flessione nel secondo scenario per poi migliorare nel terzo. Come spiegare il decadimento della qualità di vita emerso nel secondo scenario? Possiamo ipotizzare che l’incapacità del paziente di svolgere le attività strumentali costituisca il vero impatto della malattia sui caregivers. Ciò concorda con uno studio di psicologia sociale, condotto in alcuni centri geriatrici della regione Lombardia (Tamanza, 2001), che ha messo in evidenza come sia il deficit di autonomia funzionale e strumentale, e non la gravità della patologia in senso assoluto, a determinare i livelli di stress nei caregivers. Potremmo valutare i dati su diversi piani:
· l’incremento del carico di assistenza assunto dal caregiver e le risorse impiegate;
· l’elaborazione della “data image”, o analogo gnostico, inteso come la somma dei dati clinici e funzionali riguardanti il paziente, differenziato dal soggetto reale verso il quale è diretta la relazione affettiva (caring);
· Il processo di riorganizzazione delle relazioni familiari, conseguente alla comparsa della patologia ed alle sue manifestazioni;
· la perdita della “funzione mediativa” del caregivers nella coesione e adattabilità familiare.
In altre parole, è proprio in questo scenario che il caregiver si trova davanti al pesante compito di elaborare il lutto del proprio assistito, considerato “persona non più capace”. Il sistema familiare in cui è inserito il paziente si può rappresentare in un grafo composto da m nodi ed n archi. Considerato che il caregiver è un nodo adiacente al paziente, nelle figure 1a e 1b si evidenzia la transizione dall’invarianza del “quotidiano prendersi cura dell’altro” all’induzione di un grafo orientato, le cui connessioni si sviluppano in relazioni asimmetriche con l’inserimento di un operatore. Il flusso di informazioni in uscita dal paziente è raccolto dall’assistente domiciliare ed elaborato attraverso le proprie conoscenze e competenze professionali (definizione del “data image”, o analogo gnostico). Il processo assistenziale pone in corrispondenza biunivoca il paziente e il suo analogo gnostico: l’assistito fornisce dati alla sua “data image” e questa viene utilizzata per prendere decisioni. Quali dinamiche favoriscono il passaggio dal caring al caregiving? Il fattore determinante è l’empowerment, cioè la realizzazione e la significatività del ruolo di “brokeraggio” assunto dagli operatori, che si configurano come promotori del medesimo processo nei caregivers, con l’intermediazione del paziente stesso. Una pratica di intervento orientata all’empowerment consiste nell’aiutare le persone ad utilizzare le proprie forze, abilità e competenze, finalizzandole al problem solving. Non si tratta di dare potere a chi ne è privo: gli operatori possono solo facilitare le attività che educano gli utenti, sviluppando il processo di coinvolgimento e mettendo in grado entrambi gli interlocutori, in questo caso pazienti e caregivers, a diventare sempre più capaci ad agire. In altre parole, l’operatore può stimolare, nel caregiver, i meccanismi d’attivazione di una serie di abilità metacognitive che, se utilizzate, rendono il ruolo assistenziale più economico, in termini di impegno fisico e di stress psicologico ed emotivo. La reiterazione del processo assistenziale è qui rappresentata in un ciclo euleriano, in cui le relazioni sono ottimizzate in un cammino unidirezionale. Possiamo dedurre che l’acquisizione dello status di caregiver implichi il passaggio alla fase “empowered” dell’affettività, condizione di per sé indifferenziata, alla quale non può essere affidata la risoluzione delle conflittualità emergenti da una gestione del paziente non disgiunta dalle informazioni relative al suo grado di autonomia.
Appendice
Dall’iniziale contributo offerto dallo psicologo J. M. Moreno(1963) nel campo della sociometria, si è giunti all’attuale network analysis basata sulla teoria dei grafi (Diesel, 1997). Un grafo G(V, E) è dato da una coppia di insiemi finiti:
a) V = {v1, v2,…, vm} l’insieme degli m nodi (ad es. individui) di G;
b)   E = {e1, e2,…, en} l’insieme degli n archi (ad es. relazioni tra individui) di G.
Ogni arco ek = (vi, vj) è detto non orientato se (vi, vj) = (vj, vi), oppure orientato se (vi, vj) ¹ (vj, vi): in quest’ultimo caso si indica vi coda e vj testa dell’arco. Una sequenza di archi in un grafo è detta cammino ed un cammino in cui ogni nodo ed ogni arco sono distinti è detto percorso; inoltre, si parla di ciclo se il nodo iniziale coincide con quello finale. Un ciclo euleriano è un cammino chiuso che passa per ogni arco una sola volta. La distanza geodetica tra due nodi è pari alla lunghezza del percorso più breve che li connette. Una rete aleatoria è costituita da nodi aventi più o meno lo stesso numero di collegamenti, distribuiti in una curva poissoniana. In un siffatto network non esiste alcun attore preminente. Tuttavia, la regolarità del modello delle reti aleatorie dà luogo a strutture sociali, all’interno delle quali si realizzano i diversi comportamenti, le decisioni e le azioni di ciascun attore. Nelle dinamiche familiari ogni vincolo è un canale di trasmissione delle risorse ed i dati non possono essere considerati soltanto nel livello di misurazione binaria: infatti, in base a valori numerici assegnati ad ogni connessione, i percorsi nel grafo assumono pesi (o costi) differenti.

TABELLE E FIGURE




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Ermanno De Fazi

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