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Salute

Il Bambino di Fronte alla Malattia Grave e Prolungata

Per studiare l’interazione tra corpo e mente non vi è forse sede migliore che un ospedale per bambini con malattie gravi e croniche. Vengono suddivise qui le malattie gravi in cui è in gioco la prognosi per la vita in un periodo più o meno lungo e le malattie di lunga durata più o meno invalidanti. Nel primo caso, la tematica della morte è in primo piano, nel secondo caso è quella dell’integrità fisica e narcisistica. Questa differenziazione per altro è frequentemente arbitraria, poichè i due casi sono spesso correlati. Il problema, davanti ad una malattia grave e cronica è sempre duplice:
– quello dell’investimento da parte del bambino di un corpo il cui funzionamento è “irregolare” o in pericolo
– quello dell’investimento da parte dei genitori di un bambino malato.
Dopo vari studi, si potrebbe affermare che non esiste un profilo di personalità caratteristico di un tale o altro tipo di malattia, anche se per la loro natura e per le cure necessarie alcune malattie suscitano movimenti emotivi o vissuti particolari (come ad esempio diabete insulino-dipendente, insufficienza renale cronica).
Il bambino malato cronico, quindi, si trova a crescere in un contesto difficile e complesso.
I problemi che deve affrontare sono legati non soltanto alla sofferenza fisica che spesso la malattia comporta ma anche a varianti psicologiche che riguardano da una parte da un punto di vista le caratteristiche di relazione con la famiglia e con il contesto sociale in cui il bambino vive, dall’altra lo sviluppo cognitivo. L’interferenza della malattia cronica nel normale sviluppo psichico del bambino è stata da tempo evidenziata in letteratura. I fattori che influiscono lo sviluppo possono essere in correlazione con l’ospedalizzazione prolungata che spesso la malattia cronica comporta, insieme alle pratiche terapeutiche invasive e le limitazioni fisiche alle quali il bambino deve sottoporsi.
 
Le reazioni del bambino di fronte alla malattia.
 
Nel periodo iniziale della diagnosi, i mutamenti dell’equilibrio familiare sono energiche e veloci.
Emerge sempre un fase di schock con reazioni talvolta di prostazione o soppressione nei genitori, soprattutto nella madre.
In seguito, appare un periodo di lotta contro la malattia che a seconda delle famiglie si orienterà verso un’attitudine di negazione o di rifiuto di questa malattia o verso una cooperazione con il medico.
In ultima analisi la cronicità della malattia provoca una riorganizzazione dell’economia familiare.
 
Da specificare che le reazioni dipendono principalmente dall’età e dalla comprensione che il bambino può avere della propria malattia.
Prima dei 3-4 anni, la malattia è faticosamente percepita come tale, ogni avvenimento è vissuto per suo conto separatamente: il bambino è sensibile alle separazioni, alle ospedalizzazioni etc.
Fra i 4 e i 10 anni la malattia è inizialmente, come ogni episodio acuto, l’occasione di una regressione più o meno profonda e duratura: 

 

I bambini con queste tipologie di malattia vengono spesso descritti come disarmonici per le loro caratteristiche di passività e di dipendenza, alternate ad iperattività e condotte aggressive nell’ambito di un ritardo globale dove è spesso presente povertà e ripetitività nel gioco simbolico. Questa situazione, pur non configurandosi come la premessa di insufficienza mentale o di disturbi specifici del linguaggio, determina difficoltà più o meno importanti rispetto ai processi di differenziazione ed a quelli di rappresentazione. Ne possono derivare ritardi rispetto all’apprendimento e alle crisi adolescenziali. Più analiticamente, non si riscontrano deficit specifici, ma genericamente difficoltà di attenzione e di memoria. Ad esempio l’aggressività nei bambini con malattie croniche e gravi, si manifesta molto sporadicamente e può rivolgersi contro se stessi, ma a volte può anche manifestarsi con ribellione al trattamento. I bambini più piccoli hanno la tendenza marcata a subire marcatamente la loro malattia, oltre i 10 anni invece i bambini provano il bisogno di mascherare la loro malattia, alcuni per desiderio di autonomia totale e altri per vergogna.
Negli adolescenti la situazione tende ad essere più complessa e delicata, infatti il sentimento di limitazione esistenziale è frequente e, parallelamente, esistono atteggiamenti negativi, talvolta con ribellioni che coinvolgono i rapporti con i coetanei o con gli insegnanti o con i genitori. Inoltre presentano instabilità dell’umore con irritabilità ed immaturità affettiva che si esterna in un gran bisogno di protezione, amore assoluto, mancanza di fiducia in se stessi, dipendenza prolungata nei confronti di uno o di entrambi i genitori.
 
Cambiamenti dell’atmosfera affettiva durante l’incontro della malattia.
 
I genitori che si trovano ad affrontare una malattia grave e cronica di un figlio vivono una prova personale profonda, unica, che li confronta con una condizione di estrema sofferenza ed impotenza. Se pure a livello concreto la loro esperienza appartiene all’ordine naturale degli eventi possibili, a livello emotivo essa è pesantemente traumatica e può interferire in modo significativo con il figlio. Si delinea un rischio di compromissione parziale o totale dell’esercizio sufficientemente appropriato della funzione genitoriale, che ritrae uno delle componenti per lo sviluppo equilibrato del bambino.
La presenza di una malattia infantile grave può incidere negativamente su tale processo di crescita, innescando una condizione di crisi patologica, assai comprensibile se abbiamo presente che al “nuovo bambino” in genere affidiamo la continuazione di noi e della famiglia; poniamo su di lui il nostro desiderio di eternità (rispetto al limite della condizione umana), di realizzazioni felici (rispetto probabilmente ai nostri progetti mancati), di compagnia e di amore (rispetto al sentimento di isolamento). Pertanto ogni genitore si augura che il proprio figlio viva con lui un rapporto particolare, assoluto e speciale senza tener conto che con la nascita del bambino si va incontro a dei cambiamenti importanti, che mette in risalto le proprie capacità, rispetto alle quali si può essere fiduciosi o indecisi. Del resto le caratteristiche fisiche e/o psichiche del bambino rappresentano una variabile totalmente sconosciuta in principio che solo in seguito può essere quasi completamente esplorata: nella relazione, genitore-figlio o geitore-malattia-figlio, sono quindi in gioco le fragilità e le risorse di ciascuno, che si intrecciano in modo alquanto diverso, come accade in ogni esperienza del divenire .
La maggior parte dei genitori si comporta nei riguardi del bambino malato in modo diverso rispetto al bambino sano. Genitori con tendenze “rigide” hanno paura di viziare il proprio bambino in quei periodi di malattia non avendo cura di quel continuum quotidiano e il loro comportamento potrebbe, ad esempio, essere quello di lasciare il bambino quanto più possibile a se stesso, di affidare la guarigione alla sua natura sana e ai suoi processi di recupero. Altri, se non la maggior parte,cade nell’estremo opposto. Molti bambini durante questi periodi lunghi di malattia si sentono tanto amati, protetti, e raggiungono (soprattutto quelli con famiglie numerose) il loro desiderio irraggiungibile: il possesso esclusivo, integro e incontestato della madre che li cura.
Vi sono poi casi in cui, come ad esempio madri molte ansiose per la salute del loro figlio, che mettono in atto quei comportamenti di totale assenza educativa per la formazione del bambino assumendo atteggiamenti troppo permissivi e poco naturali. Altre, invece per la stessa preoccupazione, dimenticano le regole più elementari e abituali di un modo psicologicamente giusto di porsi al bambino; ad esempio gli “shock” provocati da un’alimentazione forzata e da clisteri, le separazioni improvvise e continue per ricoveri in ospedale, bugie e falsità non hanno più alcuna o la stessa importanza se il fine è la garanzia di guarigione del proprio figlio.
Per i genitori la consapevolezza è particolarmente sofferta, non solo in rapporto al dato reale di patologia grave e/o cronica, ma anche in rapporto alla perdita della propria capacità (prima idealizzata) di tutelare la vita che hanno generato e al crollo delle speranze rappresentate dal bambino, talora investito in modo particolare di aspettative, o per le sue caratteristiche di vitalità e di forza o per condizioni di fragilità e di malattia degli altri figli.
È importante quindi considerare la relazione di aiuto che possiamo offrire a questi genitori. Come per tutte le occasioni di crisi profonda, di fronte alla realtà di malattia del proprio figlio è pregiata nei genitori, accanto alle risorse personali e familiari, la possibilità di ricevere aiuto, non sempre aperta, a causa della paura che chi ci sta vicino non sia veramente e completamente disponibile a capire la situazione e ad accompagnarli nella loro “difficile esperienza”. Occorre lavorare attentamente con i genitori avendo un grande rispetto della posizione che assumono momento per momento. La comunicazione si svolge molte volte su “una corda tesa e debole” in quanto si cerca di raffigurare e di sostenere le speranze realistiche, senza creare o alimentare illusioni, quindi senza “volere per forza” abrogare la sofferenza ed evitare il dubbio e l’incertezza, ma prospettando man mano un itinerario da compiere insieme.

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Francesca Lecce

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