Abstract: La difficoltà della scienza a simulare un processo cognitivo, fondato sulle verità matematiche, è correlata alla capacità della mente di evolvere in modo impredicibile rispetto a regole prefissate. Nessun agente cognitivo potrebbe rendere oggettiva la propria mente, alla stregua di uno strumento sintatticamente limitato da esibire come modello ideativo ed organizzativo, ma può affidarsi alla sua apertura logica per esplorare gli spazi della conoscenza e delle dinamiche socio-culturali.
Parole chiave: complessità, cognitivismo, identità cognitiva, intersoggettività, empowerment, progettualità.
quest’ultimo, non sa che l’essenza di esso viene dischiusa solo a partire
da quell’essere che non subisce variazioni.
ERNST HOFFMANN
Introduzione
Nel 2002 il U.S. Department of Education(Sanders, McCabe, 2003) ha interrogato il Washington Center for Complexity and Public Policy circa le modalità operative ed i contesti in cui viene utilizzata la scienza della complessità (SC), con particolare riguardo alla possibile influenza esercitata nel campo educativo. Il report, pubblicato nell’ottobre 2003, indica tre distinte categorie di attività nelle quali la SC ha svolto il ruolo di framework for thinking: a) ricerca scientifica; b) organizzazioni economico-politiche; c) sistemi educativi. Se la scienza tradizionale si è sviluppata lungo le linee direttrici della sperimentazione e dell’osservazione/descrizione, per la SC è stato introdotto un nuovo strumento analitico, affermatosi con lo sviluppo della tecnologia informatica, definito agent – based model o multi – agents system, con cui viene simulata una dinamica real – life mediante un sistema flessibile, adattativo e rapido nella risposta ai cambiamenti ambientali. Un multi – agents system è costituito dai seguenti elementi (Cavezzali, Rabino, 2003):
· un ambiente (bi o tridimensionale);
· un insieme di agenti, ovvero le unità attive del sistema;
· un insieme di obiettivi, che interagisce con gli agenti;
· un numero di leggi, che regolano le attività degli agenti.
Un agente è un’entità fisica, o virtuale, che:
· agisce in un ambiente;
· può comunicare con gli altri agenti;
· possiede risorse personali nel raggiungimento degli obiettivi;
· le sue abilità possono essere indotte su disposizione di altri agenti;
· può riprodurre se stesso;
· il suo comportamento è soddisfatto dal raggiungimento degli obiettivi prefissati.
L’aspetto più interessante dei multi – agents systems è che gli agenti non sono soltanto gli elementi costitutivi dell’intera organizzazione, ma ne definiscono le caratteristiche essenziali. Esistono due principali categorie di agenti: a) agenti cognitivi; b) agenti reattivi. I primi hanno una conoscenza di base che gli consente di comprendere i dati e le informazioni necessarie per svolgere i propri compiti, interagire con gli altri agenti e con l’ambiente. In poche parole, sono “agenti intenzionali”, a differenza di quelli reattivi che non sono affatto capaci, individualmente, di seguire un piano d’azione, ma reagiscono soltanto a stimoli ambientali secondo regole prestabilite. Il framework per l’interazione degli agenti, compatibile con obiettivi, risorse ed abilità è definito da due criteri: indipendenza e collaborazione. A questi due criteri devono corrispondere due stati funzionali dell’agente, sia esso cognitivo o reattivo: a) identità cognitiva; b) intersoggettività. La collaborazione si differenzia ulteriormente nei termini interazione e cooperazione, in riferimento al fatto che la cooperazione fa emergere nuove proprietà del sistema in modo non proporzionale alle attività svolte dai singoli agenti: si parla di cooperazione reattiva o intenzionale a seconda dell’inconsapevolezza o della esplicita intenzionalità dell’agente. Nel mondo reale, la distanza euristica tra le condizioni di reattività e intenzionalità è colmata dal processo di empowerment. Più precisamente, l’identità cognitiva (o unità epistemologica dell’individuo) viene affermata come inerenza del soggetto nello svolgimento dei compiti assegnati e l’intersoggettività (o unità sperimentale), posteriore all’interazione tra il soggetto della volontà e il soggetto della conoscenza (De Fazi, De Stasio, Malfitano, 2006), si colloca nelle dinamiche relazionali tra individuo e ambiente, essendo quest’ultimo il “dominio delle relazioni che implicano diversità”(De Fazi, Villa, 2005). Definiamo unità epistemologica l’insieme dei determinanti che costituiscono il mondo della propria esperienza, mentre l’unità sperimentale(Russell, 1913) è il luogo dell’azione conforme alle regole stabilite (leggi scientifiche, norme sociali, sistemi educativi, ecc.).
Mentre l’identità cognitiva è essenzialmente basata sull’evoluzione biologica, l’intersoggettività è regolata dall’evoluzione culturale, ovvero dal trasferimento o scambio orizzontale di idee (Dyson, 2005).
1 La gestione della complessità
Di fronte al quesito “cos’è un robot?”, è sufficiente reclutare solo parte del senso comune di cui siamo dotati per rispondere con certezza che si tratta di un’invenzione. Lo stesso non accade alla formulazione della domanda più complessa “cos’è un’invenzione?”. Una singolare invenzione è l’atto di nascita di un sistema, un insieme di elementi e di regole, che aggiunge proprietà al mondo su cui l’autore vuole apporre il sigillo del cambiamento.
Quale altro valore possiamo allora assegnare al senso comune, così come alle risposte che quotidianamente ci detta, se non quello di far confluire nello stesso mondo ideatori e fruitori degli artifici, consentendone l’interazione. I concetti di creazione e conservazione hanno lo stesso valore in termini di gestione della complessità delle idee. In effetti, Renè Descartes(1641), nella Terza Meditazione, scrive: “Se si presta attenzione alla natura del tempo … che tra la conservazione e la creazione esiste soltanto una differenza di ragione è una delle verità che sono manifeste per luce naturale”. Tale distinzione è opera esclusiva del pensiero, non corrispondendo ad essa alcuna materia o forma reale. Lo spirito di gratitudine, che spinge Eugenio Montale a rivolgersi ai propri lettori con l’apoftegma “questo è il ricordo di me che vorrei porre nella vostra vita”(Lettera Levantina, da “Poesie disperse”, 1984), è lo stesso con cui Archimede Pitagorico pubblicizza le sue attività esponendo ai potenziali avventori l’insegna “noleggiansi idee geniali”(Walt Disney C., 1994). Gli uomini si diversificano solo per il diverso contributo offerto alla complessità del mondo reale. Edmund Husserl(1929) precisa: “La vita pratica è ingenua, consistendo nell’esperire, pensare, valutare, agire entro il mondo già dato. … Nulla di diverso nelle scienze positive. Esse sono ingenuità di ordine superiore, formazioni prodotte da un’acuta tecnica teorica, senza che siano state esposte le operazioni intenzionali da cui tutto ciò infine deriva”. Il positivismo rende lo scienziato simile all’uomo comune. Nel XIX secolo, convinto che con il concetto di energia la scienza avesse raggiunto il proprio apogeo, Wilhelm Ostwald riteneva chiusa ogni argomentazione fisica basata sui modelli atomici, tanto da mettere in discussione l’esistenza stessa di atomi e molecole. La vita pratica, come pure il positivismo, sono due diverse espressioni dello stesso principio agente nel “mondo già dato”, la consuetudine(custom) o abitudine(habit), che rende utile l’esperienza anche laddove le operazioni si svolgono senza l’intervento dei ragionamenti più complessi. Come osserva David Hume(1748), “senza l’influsso della consuetudine saremmo del tutto ignoranti di ogni materia di fatto all’infuori di ciò che è immediatamente presente alla memoria e ai sensi. … Si avrebbe la fine, nello stesso tempo, di ogni azione, come anche della parte principale della speculazione”. L’effetto più rilevante della consuetudine, per quanto non possa procedere all’infinito, è quello di farci “attendere, per il futuro, un seguito di avvenimenti simile a quello che ci si è presentato nel passato”. Interpretando il pensiero di Hume, si può affermare che il flusso del tempo diviene continuo nella vita umana per customary conjunction. Tuttavia, questa catena di congiunzioni non produrrebbe alcuna forma di conoscenza, o esperienza reale, se la memoria non presentasse all’intelletto il fondamento di tale inferenza, in rapporto alla determinazione di ciò che la mente intende scoprire. L’uniformità delle azioni umane conduce a due importanti regole inferenziali: la mutua dipendenza degli uomini da se stessi e dagli altri. Nel primo caso la regolarità delle congiunzioni produce l’identità cognitiva dell’individuo, nel secondo viene affermata la cultura a cui storicamente appartiene. Sembra pleonastico affermare, quindi, che non può esserci cambiamento alcuno in una esistenza uniforme e completa, per questo il corso della natura ha bisogno di invenzione e genialità. Arthur Rimbaud(1886), nelle sue Illuminazioni, descrive il vero genio come “ragione meravigliosa ed imprevista” o “celerità della perfezione delle forme e dell’azione”, quasi a farne una divinità senza volto e crede che il passo con cui egli si concede alle nostre facoltà abbia origine nella correlazione tra “fecondità di spirito e immensità dell’universo”: da un lato la predisposizione della coscienza ad accogliere la molteplicità del mondo fenomenico, dall’altro la capacità di restituire il molteplice al suo legittimo proprietario, vale a dire l’universo, mediante la costruzione unitaria di un mondo noumenico. La teoria scientifica, l’invenzione tecnologica, come pure l’opera d’arte sono, per il poeta francese, “il canto chiaro delle sventure nuove”, la linea di confine su cui inevitabilmente s’interrompe il viaggio di un’epoca, atto liberatorio o naufragio della cultura prevalente. Rimbaud scrive: “Egli (il genio) ci ha conosciuti tutti e ci ha amati tutti”. Questo verso indica il passaggio metafisico dalla identità alla alterità, dalla univocità delle facoltà cognitive individuali alla pluralità degli agenti cognitivi, ai quali viene affidata, in coerenza e per commissione dell’autore, la ri-creazione e la diffusione/conservazione dell’opera stessa nella piena autonomia di linguaggi e significati operanti in società. L’impatto dell’opera di un genio sulla collettività non sarebbe rilevante, né utilizzabile per scopi pratici, se la società stessa non fosse interpretabile come una rete logica, un insieme di dispositivi definiti porte logiche, opportunamente connessi e operanti su segnali di tipo binario (vero/falso, aperto/chiuso, buono/cattivo, ecc.) rilevati come livelli di tensione. La mente di ogni individuo, comune esponente di una data popolazione, è una porta logica in grado di eseguire simili operazioni computazionali: la semplice risposta in approvazione/disapprovazione, di fronte alla visione di un film, ne costituisce un tipico esempio. Il pubblico che applaude durante un concerto di musica, o le variazioni dell’audience televisiva sono la testimonianza di quanto le singole porte logiche possano operare in sincronia, decretando il successo o la censura su larga scala di un evento sociale. Non fanno eccezione a questa regola l’invenzione della stampa, della lampadina, del telefono o la formulazione delle leggi naturali. Basti pensare che trascorsero ben 35 anni dalla loro pubblicazione, prima che le osservazioni sperimentali di G. Mendel fossero approvate dalla comunità scientifica e divulgate in forma di leggi della genetica formale. Su quali livelli di tensione opera, dunque, la genialità umana? In verità, l’ultimo verso citato di Rimbaud rivela che dei dieci principi pitagorici, contrari e disposti in serie coordinata, la cui unione è posta alla base della proprietà dei numeri e delle computazioni elementari, è proprio il terzo “uno e molti” a fissare il livello di tensione, ad un tempo creativo e conservativo, rispetto al quale sono valutate quelle opere grandiose, rivolte sì all’individuo, ma destinate all’intero panorama socio-economico, politico e culturale al fine di incrementarne i livelli di complessità.
2 Unità epistemologica
2a Costruzione della conoscenza ed apprendimento
M. Scheler (1923) scrive: “L’uomo vive più negli altri che in se stesso, più nella collettività che come singolo individuo”. Tale affermazione, avvalorata dalle teorie cognitiviste e comportamentiste, mette in evidenza come la storia dello sviluppo dell’uomo sia un continuo oscillare tra innatismo ed ambientalismo, tra unità e globalità, tra identità e molteplicità. L’identità è il senso del proprio essere continuo attraverso il tempo e distinto, come entità, da tutte le altre. Per J. Locke e D. Hume l’identità è un meccanismo psicologico che ha il suo fondamento non in un’entità sostanziale che noi chiameremmo Io, ma nella relazione che la memoria instaura tra le impressioni continuamente mutevoli, tra il presente e il passato. Da questo punto di vista l’identità non è un dato, ma una costruzione della memoria. L’identità cognitiva dell’individuo è costituita dall’insieme di quelle funzioni che permettono all’organismo di raccogliere informazioni, di immagazzinarle, analizzarle, valutarle e trasformarle in esperienza nel mondo circostante. In termini finalistici, la cognizione permette di adattare il comportamento dell’organismo alle esigenze dell’ambiente o di modificare l’ambiente in funzione dei propri bisogni. Si è soliti comprendere nella definizione di funzioni cognitive diverse attività quali: percezione, intelligenza, ragionamento, giudizio, memoria a breve e a lungo termine, rappresentazioni interne, linguaggio, pensiero, sapere. Lo sviluppo cognitivo segue una successione di stadi: J. Piaget ne ha distinti quattro, che interessano la vita dell’individuo da 0 a 14 anni. Il progressivo aumento di complessità è stato illustrato da Piaget attraverso la dialettica tra processi di assimilazione (incorporazione di un nuovo oggetto, o idea, in uno schema cognitivo attuale) e processi di accomodamento (produzione di nuovi schemi mentali per l’integrazione dei dati esperenziali attesi), mentre lo sviluppo di conoscenze specifiche avviene attraverso il costituirsi di situazioni cognitive problematiche. Piaget parla di equilibrazione quando i processi di assimilazione e di accomodamento hanno una dinamica tale per cui il soggetto, sia bambino sia adulto, è soddisfatto delle proprie esperienze cognitive perché queste danno spiegazioni soddisfacenti e coerenti a ciò che avviene intorno a lui. La problematizzazione avviene invece attraverso la rottura dell’equilibrio che può essere spontanea (quando il soggetto avverte una lacuna o una contraddizione tra certi dati e certi altri) o provocata (quando si mostra che il problema è più complesso rispetto alla soluzione data e ritenuta soddisfacente). In entrambi i casi si crea una situazione di squilibrio e di tensione, definita da L. Festinger (1957) dissonanza cognitiva, che incentiva le capacità di strutturazione o l’acquisizione di nuove conoscenze per poterla superare.
A favorire lo sviluppo cognitivo del bambino concorrono diversi fattori presi in esame da G. Petter (1972):
a) crescita: avviene tra adulti, che presentano strutture mentali e conoscenze più complesse che costituiscono un buon terreno di sollecitazione al differenziamento delle strutture mentali;
b) educazione intenzionale: svolta in modo psicologicamente adeguato al suo desiderio di esplorare e conoscere il mondo;
c) attività imitativa: si sviluppa a partire dal primo anno di vita e lo porta all’acquisizione di molti schemi mentali già validati dall’esperienza dell’adulto;
d) gioco: il carattere simbolico di questa attività lo allena ad utilizzare oggetti come simboli di altri oggetti non direttamente presenti, favorendo la capacità rappresentativa e la rievocazione analitica di situazioni già vissute;
e) rapporti sociali: la loro ricchezza e varietà, sia con coetanei che adulti, favorisce lo sviluppo cognitivo attraverso il confronto tra il proprio modo di formulare problemi ed il modo che vede realizzato negli altri;
f) giudizio e previsione: l’insorgenza di situazioni problematiche, orientate alla correzione delle proprie valutazioni, è favorita dalla constatazione della discordanza tra il giudizio e/o la previsione da un lato, e il risultato dall’altro;
g) linguaggio: il progressivo arricchimento delle funzioni comunicative consente un’analisi più dettagliata e un elevato grado di finezza nella percezione del reale, che porta a una differenziazione significativa dei dati e della loro possibili combinazioni.
L’attivazione del processo di categorizzazione della conoscenza per la scelta delle azioni più utili, insieme alla sua evoluzione spazio-temporale, definiscono l’empowerment, ovvero l’accrescimento delle capacità individuali, espresse e quantificate in termini di competenza e prestazione: l’uomo costituisce il proprio essere esplorando il mondo. Per competenza (capacity) si intende l’abilità ad eseguire un compito o un’azione; indica il più alto livello probabile di funzionamento in un ambiente considerato come standard o uniforme. La capacity riflette l’abilità adattativa dell’individuo ed è strettamente legata ai fattori ambientali (ambiente fisico, sociale e attitudinale, nel quale si vive e si conduce la propria vita) organizzati a due diversi livelli: individuale e sociale.
Per prestazione (performance) s’intende ciò che l’individuo fa nel suo ambiente attuale/reale e descrive il coinvolgimento di una persona nelle situazioni di vita o esperienza vissuta nel contesto attuale in cui vive: un problema può derivare direttamente dall’ambiente sociale. Competenza e prestazione sono l’espressione, a livello psico-sociologico, rispettivamente di attività e partecipazione: per attività s’intende l’esecuzione di un compito o azione di un individuo; per partecipazione s’intende il coinvolgimento in una situazione di vita. La costruzione della conoscenza e l’apprendimento sono rappresentabili con il seguente paradigma: Esperienza > Simbolo > Concetto, elementi inseribili in un processo circolare entro cui conoscenza, linguaggio ed esperienza interagiscono senza soluzione di continuità. Così G.H. Mead (1934) può scrivere: “L’organismo è, in un certo senso, responsabile dell’ambiente relativo, e siccome l’organismo e l’ambiente si determinano reciprocamente e sono mutuamente dipendenti per la loro rispettiva esistenza, ne consegue che il processo vitale, per essere adeguatamente compreso, deve essere considerato in funzione delle loro interrelazioni”.
A partire da queste interrelazioni, Mead arriva a formulare un modello di coscienza concepita non più come una proprietà dell’individuo, ma come la risultante dell’interazione tra individuo e ambiente: “La cosiddetta coscienza deve essere trasferita all’interno della relazione fra l’organismo e il suo ambiente. La nostra selezione costruttiva in un ambiente – colori, valori emozionali e simili – fatta in termini di sensitività fisiologiche, costituisce essenzialmente ciò che noi intendiamo per coscienza. Siamo stati indotti a collocare la coscienza, sulla base di una lunga tradizione storica, nella mente o nel cervello. L’occhio e i processi relativi attribuiscono il colore agli oggetti nello stesso senso che un bue attribuisce all’erba le caratteristiche del cibo; cioè, non nel senso di proiettare le sensazioni negli oggetti, ma piuttosto nel senso che l’occhio si pone in relazione con l’oggetto che rende possibile la comparsa e l’esistenza del colore, intesa come una qualità dell’oggetto. I colori sono inerenti agli oggetti solo in virtù delle loro relazioni con un determinato organismo percipiente. La struttura fisiologica o sensoria dell’organismo percipiente determina il contenuto sperimentato dell’oggetto”.
L’uomo, a differenza delle cose che sono al mondo, ha un mondo, nel senso che il mondo non è solo il luogo che lo ospita, ma anche e soprattutto il termine in cui proietta le sue intenzioni e la sua progettualità. Dalla risposta del mondo-ambiente si decide la costruzione o la decostruzione dell’individuo. La relazione con il mondo-ambiente (Umwelt) è ciò che dà all’individuo un’immagine dinamica e non statica di sé, dove convergono e si compongono gli elementi tattili, visivi, muscolari, emotivi, in quella sorta di sensibilità diffusa grazie alla quale l’individuo si sente vivere come quella totalità unitaria che sottende ogni azione, unifica ogni sensazione, rapportandola all’unità dell’essere.
2b Sviluppo delle competenze verso l’integrazione sociale
Nei confronti dei modi del conoscere tradizionali (Bocchi, Ceruti, 1985) la complessità può essere propriamente considerata uno “strumento di sfida”. In senso più ampio ed esteso la nozione di complessità investe tutto il sapere perché assume il significato di un ripensamento sulle domande, sui problemi, sui concetti, sugli oggetti e sulle dimensioni della conoscenza.
La scienza contemporanea è una scienza a un tempo del generale e del particolare, dell’ordine e del disordine, del necessario e del contingente, del ripetibile e dell’irripetibile, inevitabilmente rinnovata nei suoi profili.
L’idea che si sia innescato un mutamento sostanziale nelle dimensioni del sapere si ritrova appieno nel livello sociologico, che perde il suo significato assoluto per essere riformulata ad espressione ed integrazione di vincoli e possibilità. Nella cultura contemporanea bisogna compiere uno sforzo costante per correlare, attraverso la ricerca, il vissuto, i problemi della vita quotidiana, le opinioni individuali, le difficoltà dei rapporti, i pregiudizi, la fede religiosa o la sua mancanza, l’emarginazione o l’integrazione degli individui, le acquisizioni scientifiche ed il senso comune, ai più vasti problemi strutturali, storici, economici e politici e alle realtà istituzionali, che spesso agiscono sugli individui a loro insaputa. Ora, per spiegare come interagiscono civiltà e personalità, ci sembra utile un richiamo alla teoria dei tre mondi, elaborata da Popper ed Eccles, pensando che il rapporto critico e maturo con cui il singolo entra in contatto e interagisce con i vari ambiti della realtà è parte importante del processo di crescita della personalità individuale. Secondo Guardini (1990), in effetti “cultura è tutto ciò che l’uomo crea ed è nel suo vivente incontro con il mondo che lo circonda”: l’esistere e l’agire dell’uomo non si limitano alla dimensione naturale, ma in virtù della libertà hanno sempre anche una dimensione culturale. La cultura viene quindi ricondotta al livello dell’essere e non dell’avere, intendendo qui l’essere in senso dinamico–esistenziale. Si pone l’accento sulla personalità del soggetto, sulla coltivazione della sua psiche, sulla capacità di esercitare in modo costante la cura di sé, ovvero la disposizione a coltivarsi, dando sempre più spessore alla vita interiore e allo sviluppo della soggettività, assimilando tutte le forme della cultura, e con essa, arricchendo la propria umanità. Al centro c’è la formazione del soggetto, come mente/coscienza/individuo, capace di rendersi sempre più attore del fare cultura, di una cultura che è sì tecnica, ma soprattutto alimento, crescita e universalizzazione della propria humanitas.
Luhmann, in riferimento all’educazione, ha sottolineato “l’apprendere ad apprendere”, e l’ha contrapposta al modello della formazione dell’uomo (Bildung), che ormai rivela il suo connotato umanistico tradizionale ed ha perso ogni vera attualità nella società della tecnica. Morin, invece, guarda al soggetto, alla sua mente, e reclama una “scienza con coscienza”, ispirata a un nuovo spirito scientifico e orientata alla comprensione.
La comprensione colloca le conoscenze in insiemi significativi e permette al soggetto di dare un senso alla propria esperienza, di andare al di là dell’informazione data e di procurarsi autonomamente le nuove conoscenze che gli sono necessarie. Si passa dalla “formazione alla comprensione” alla “formazione alla competenza”, un saper fare non meccanico e ritualizzato, ma personale e creativo nel dominio di particolari saperi. Intenzione e responsabilità entrano nella dimensione della temporalità, sia nell’ambito del passato (ogni soggetto è una storia personale che porta in sé la memoria di se stesso), sia in quello del futuro (ogni persona è cambiamento), sia nel presente, nel quale si realizza il progetto di sé. Ciò che viene assunto come intenzionale diventa fattore di formazione e gli effetti non sono quasi mai immediati né del tutto controllabili, ma si dispiegano nel tempo come compenetrazione tra mondo esterno e mondo interno.
Il passaggio verso l’autoformazione è da porsi sempre più al centro dell’agire sociale, per far sì che sia il soggetto stesso a orientare, filtrare, correggere la propria cultura, con un fascio di dispositivi (le competenze) regolamentati in funzione della formazione di se stesso e verso una riformulazione della integrazione sistemica tra organismo, ambiente e società. A proposito dell’integrazione sistemica esiste l’ipotesi di T. Parsons, secondo cui l’integrazione dipende dalla diffusione di dispositivi comuni derivanti da modelli di valore interiorizzati attraverso l’educazione. I processi conoscitivi che prendono forma nella pluralità dei punti di vista, pongono al centro la dimensione partecipativa del soggetto. Ora, mettendo in luce il rapporto di co-determinazione, che lega il soggetto alla realtà e all’ambiente, le ultime elaborazioni costruttivistiche del pensare-pedagogia e del fare-educazione segnano il decadere di un’idea di conoscenza che si sviluppa nella rappresentazione di una dimensione esterna e indipendente da quella personale. Gli aspetti personali, individuali, risultano veri e propri principi costruttivi della conoscenza, dello sviluppo e del dialogo intersoggettivo.
L’analisi della società complessa attuale e dei saperi altrettanto complessi, reclama prima di tutto una riforma del pensiero. Pensiero che deve adattarsi alle sfide del presente, della conoscenza, della complessità, della stessa “globalità” dei saperi e del mondo, deve favorire “il pieno sviluppo dell’intelligenza” e “la nostra attitudine a organizzare la conoscenza”. La testa ben fatta dell’uomo del presente(Morin, 2000) è organizzativa in un nuovo spirito scientifico rivolto a ricomporre i saperi.
Oggi la cultura è un processo attivo di costruzione e contestazione dei significati; le persone, diversamente posizionate nello spazio, nel tempo, nelle relazioni sociali, plasmano significati a partire dalle loro esperienze e dalle tradizioni culturali che abbracciano, e usano le risorse a disposizione per cercare di imporre la loro definizione della situazione. E un concetto di cultura si definisce in primo luogo in termini di relazioni e di organizzazione delle relazioni, piuttosto che di territorio. Non si possono infatti ricondurre culture e società alla geografia degli stati nazionali in tempi in cui esse sono sempre interconnesse e intrecciate, e i luoghi non sono più circoscritti (le persone ricorrono sempre più spesso e contemporaneamente a legami locali, nazionali e globali). Dalle politiche sociali, la prospettiva del multiculturalismo si fonda sul riconoscimento del valore positivo delle differenze culturali e considera il loro confronto come una risorsa per ogni contesto istituzionale. Mentre, la prospettiva universalista difende l’universalità di alcuni principi fondamentali, che ritiene debbano fondare tutte le forme di convivenza sociale indipendentemente dall’appartenenza culturale dei singoli. E se questa posizione sostiene l’uguaglianza di tutti i cittadini e attribuisce loro gli stessi diritti, quella multiculturalista sostiene il diritto alla differenza dei gruppi che compongono una società contro ogni imposizione del gruppo dominante e incoraggia la possibilità di esprimere liberamente culture, identità e integrazione. Quando si afferma, quindi, che educazione è assimilazione e creazione di cultura, inserimento ma anche cambiamento della società, non si guarda a variabili isolate ma in stretta relazione tra loro, al fine di promuovere quel processo di umanizzazione nei singoli e nei gruppi che caratterizza il soggetto nelle sue possibili, illimitate alternative di scelta e di decisione, che richiedono impegno etico e sono testimoniate anche nella memoria, nella tradizione, nei valori diventati cultura, il che significa nei fini realizzati.
3 Unità sperimentale
3a Thought experiment: il superamento dell’aporia eleatica
Lo scrittore argentino Jorge Louis Borges, nella raccolta Finzioni (1944), descrive il sofisma delle nove monete di rame, a riprova dell’inferenza che l’aporia eleatica (essere, non-essere) esercita nell’ambito del senso comune. Il testo è il seguente: “Il martedì, X, tornando a casa per un sentiero deserto, perde nove monete di rame. Il giovedì, Y, trova sul sentiero quattro monete, un poco arrugginite per la pioggia del mercoledì. Il venerdì, Z, trova tre monete sullo stesso sentiero e lo stesso venerdì, di mattina, X ne ritrova due sulla soglia di casa sua”. I suggerimenti forniti dallo stesso autore sono utili alla risoluzione logica del paradosso.
Come prima osservazione, avvalorata dalla presenza di ruggine sulle monete, l’azione si svolge in continuità temporale. Inoltre, la continuità d’azione dei verbi “perdere” e “trovare” si basa sull’inerenza delle singole monete. Per dimostrazione l’unicità del soggetto (X = Y = Z), l’autore ricorre a tre ragioni di carattere metafisico: 1) il ripudio del solipsismo; 2) la conservazione di una base psicologica delle scienze; 3) la conservazione del culto degli dèi. Proponiamoci, innanzitutto, di indicare le condizioni ipotetico-deduttive rispetto alle quali gli oggetti definiti monete e i personaggi X, Y e Z esistono singolarmente nel mondo reale in quanto “enti definiti per mezzo di assiomi”. Nell’indagine sull’assiomatizzazione della geometria, il matematico David Hilbert osserva (Moriconi, 2006): “Se assiomi arbitrariamente stabiliti non sono in contraddizione con tutte le loro conseguenze, allora essi sono veri, allora esistono gli enti definiti per mezzo di quegli assiomi. Questo è per me il criterio della verità e dell’esistenza”. In questa analisi, l’esistenza è sinonimo di non-contraddittorietà (o coerenza). Un sistema di assiomi, ovvero di espressioni suscettibili di ricevere un dato valore di verità, è formalmente equivalente ad un sistema generatore di pensieri. Tornando al sofisma, formuliamo i seguenti enunciati: A) “le monete sono state perse il martedì”; B) “le monete sono state trovate il giovedì ed il venerdì”. Supponiamo che le espressioni deterministiche “perdere” e “trovare” descrivono due diversi sistemi assiomatici: si parla di uguaglianza delle monete solo se i sistemi A e B utilizzano gli stessi enunciati per definirle. Come osserva Borges, “altra cosa è l’identità”. Nella identità le monete devono essere definite mediante lo stesso sistema assiomatico, di cui le condizioni A e B rappresentato diversi stati funzionali. La condizione di identità di un oggetto è definibile come l’equivalenza formale fra esistenza e conoscenza dell’oggetto in studio. In altre parole, verità e dimostrabilità non dovrebbero essere disgiunte: ciò che è vero deve essere dimostrabile. Che possiamo dire dell’identità cognitiva dei personaggi X, Y e Z? Il problema può essere riformulato in questi termini: in che modo il soggetto si distingue dall’oggetto mediante l’azione che compie su di esso? Deve necessariamente emergere nel sistema assiomatico un elemento di asimmetria, che separa l’oggetto dalle proposizioni utilizzate astrattamente per definirlo. Si tratta dell’indecidibilità del sistema assiomatico, proprietà introdotta nelle scienze matematiche con i teoremi di Kurt Gödel: un sistema è decibile se è possibile dimostrare che una data proposizione, ricavata dagli assiomi mediante regole inferenziali, appartiene o meno al sistema. Supponiamo che le monete, indicate con il simbolo m, siano ordinabili in una sequenza infinita di enti teorici, o assiomi, contrassegnati dal simbolo Ei, con i = 1, 2, 3, … , n. In tal modo è possibile fissare gli stati dell’oggetto a partire da condizioni iniziali, mediante l’uso di regole inferenziali (o leggi di evoluzione):
E1(m), E2(m), E3(m), … , En(m)
Se gli enti Ei definiscono una proprietà dell’oggetto m, esprimibile con proposizioni di un determinato linguaggio asemantico, gli stati En(m) comprendono le condizioni di verità della n-esima proposizione che attribuisce la proprietà En all’oggetto m. Per i teoremi di Gödel è possibile, dopo una serie finita di passi, che l’evoluzione del sistema generi l’espressione “l’oggetto m non possiede la proprietà espressa da En”, alla quale assegniamo la notazione nonEn(m): anche questa, essendo una proposizione esprimibile nel medesimo linguaggio, deve essere compresa fra le proprietà enumerabili nella sequenza En. Ciò implica che: la proposizione è indecidibile in quanto non si può dimostrare, con gli strumenti del sistema, la sua verità o falsità (1° Teorema di Gödel); il sistema è incapace di prevedere, sempre e comunque, uno sviluppo contraddittorio, ovvero di dimostrare la solidità delle proprie fondamenta logiche (2° Teorema). Di conseguenza, l’identità delle monete e l’identità cognitiva dei soggetti X, Y e Z possono essere considerati come gli “stati iniziali” di un sistema fisico, condizioni non garantite negli stati successivi in quanto potenzialmente contraddittori. La simultaneità delle due condizioni è legata necessariamente ad una visione meccanicistica della natura, messa in discussione da Gödel. Possiamo concludere che il sofisma delle nove monete rappresenta l’inizio di un racconto al quale nessuno scrittore potrebbe dare un seguito, coerente con le premesse!
3b Il two-folding nello sviluppo dell’intersoggettività
Mentre un oggetto è definito dall’applicazione del principio di non-contraddizione, secondo il quale non possono coincidere nelle determinazioni di spazio e tempo le condizioni En(m) e non[En(m)], un soggetto è l’insieme degli stati di un sistema assiomatico che genera le due proposizioni opposte. E’ in tal modo dimostrata l’equivalenza formale degli enti che sottostanno agli stessi assiomi: l’identità dell’oggetto m è ammissibile fino a quando il sistema genera la proposizione nonEn(m). In questo caso, l’identità del soggetto non sarebbe più compatibile con l’identità dell’oggetto sul quale compie le azioni. Un esempio, tratto dalla vita di tutti i giorni, è utile alla comprensione di tale concetto: il rapporto contrattuale fra negoziante(X) e cliente(Y) relativamente alla vendita (enunciato En che genera lo stato En(m)) e all’acquisto(enunciato En+1 che genera lo stato En+1(m))di un determinato prodotto m. Le condizioni sono definibili con la notazione
X = {m, En(m), nonEn(m)}
Y = {m, En+1(m), nonEn+1(m)}
dove m è l’oggetto della transizione, n e n+1 sono gli indici della sequenza (che in questo caso è la catena commerciale del prodotto) indicata dalla serie di proposizioni Ei. Lo stato di soggetto include, come affermato in precedenza, le due condizioni contraddittorie: i soggetti X e Y sono “insiemi di stati” dello stesso sistema ed ognuno di essi porta con sé le condizioni di non-contraddittorietà dell’oggetto m, ovvero l’esistenza, e gli enunciati che ne stabiliscono l’intelligibilità. L’esistenza dell’oggetto è disgiunta dalla sua conoscenza, pur essendo espressioni dello stesso sistema assiomatico. Ogni soggetto, indipendentemente dall’altro, possiede simultaneamente un duplicato dell’oggetto: 1) l’oggetto esiste, ma non è conoscibile; 2) l’oggetto non esiste, ma è conoscibile. Se assegniamo, secondo i principi dell’algebra di Boole, il valore di verità 1 all’esistenza ed alla conoscenza e il valore 0 alla contraddittorietà (non-esistenza) ed alla indimostrabilità delle proprietà attribuite all’oggetto dagli enunciati (non-intelligibilità), avremo una coppia di valori, (1, 0) o (0, 1), per indicare i due oggetti: alla prima daremo il significato di fenomeno, all’altra quello di noumeno. Per unirli non dobbiamo fare altro che ricorrere ai principi espressi da Kant nella Critica della Ragion pura(1781): “l’intelletto e la sensibilità possono, in noi, determinare gli oggetti solo nella loro unione. Se li separiamo, abbiamo intuizioni senza concetti, o concetti senza intuizioni, e in entrambi i casi rappresentazioni, che non possiamo riferire a verun oggetto determinato”(ivi, Lib. II, Cap. III). L’oggetto a cui si riferisce Kant è descritto dalla coppia di valori (1, 1), con rimozione dell’indeterminazione(0, 0). La condizione di intersoggetività, quindi, non è altro che il passaggio dalla simultaneità delle relazioni soggetto-oggetto in X e Y, alla simultaneità delle relazioni soggetto(X)-soggetto(Y) e oggetto-oggetto, all’interno dello stesso sistema assiomatico. Il livello di complessità del mondo sociale è tale da rendere possibile lo sviluppo dell’intersoggettività tra individui che ne condividono le regole e gli ordinamenti.
Conclusioni
Le impostazioni metodologiche, organizzative (o le regole stabilite), non possono essere prescritte oggettivamente, ma è evidente che le diverse scelte possibili che attengono al campo della libertà individuale e della ricerca, devono essere orientate a promuovere le competenze “chiave” proprie dell’individuo.
Non è pertanto vincolante l’adozione di una particolare facoltà cognitiva rispetto ad altre possibili e diverse, ma è vincolante che la pluralità degli agenti cognitivi sia destinata a sviluppare l’intero sistema complesso, sia attenta a promuovere il soggetto chiamato allo sviluppo dell’intersoggettività e sia sufficientemente flessibile per consentire un’identità sociale individualizzata negli obiettivi da raggiungere e nei modi e nei tempi per conseguirli. All’interno di un sistema complesso, scaturisce un rapporto “dialettico” tra esistenza e conoscenza in quanto, essendo processi coerenti e corrispondenti tra loro, gli elementi cognitivi differenziali portano alla fase empowered, da cui si espande e si distacca la coscienza individuale (approccio olistico come modello di differenziamento sociale). La realtà in cui l’individuo si muove e conosce è una realtà complessa in cui singoli agenti cognitivi si trovano necessariamente a dover condividere spazi di conoscenza e di relazione a partire da regole e linguaggi comuni. Si stabilisce così l’intersoggettività, caratterizzata dalla simultaneità delle relazioni.
Ma la complessità determina la necessità della stessa identità cognitiva di creare più intersoggettività, poiché vive e conosce contemporaneamente in più sistemi sociali, entro cui le singole identità cognitive condividono linguaggi, ordinamenti e regole. Si determina, in questo modo, il processo di differenziamento sociale, mediante il quale ogni individuo diventa agente intenzionale consapevole di costituire, con la sua intersoggettività, soltanto un possibile “stato” di un sistema più o meno complesso.