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I processi di attenzione nell’apprendimento formale delle lingue

Abstract

According to many researches in the field of Second Language Acquisition and Learning Psychology, attention is said to be crucial to language learning. But whay we usually call “attention” is actually a variety of distinct neuropsychological processes, such as arousal, bottom-up and top-down control. This essay deals with the role of some of those attentional processes in formal language instruction. The first part sums up the essential features of some types of attention, particularly of those we consider relevant to language learning and teaching. The second part is devoted to the discussion of some possible implications to language teaching methodology.

Il processo di apprendimento di una seconda lingua richiede un notevole sforzo attentivo da parte dell’allievo, soprattutto se tale processo avviene in un contesto formale ed istituzionale. Questa affermazione, che di primo acchito potrebbe sembrare ovvia, contiene certamente un fondo di verità, ma in essa si annidano possibili fraintendimenti su che cosa si intenda realmente per “sforzo attentivo” (Schmidt 1990; 2001). Con il termine “attenzione”, infatti,ci si riferisce ad un vasto insieme di fenomeni neuropsicologici distinti, alcuni dei quali sono essenziali per la comprensione dei meccanismi di acquisizione ed apprendimento delle lingue.
In questo contributo si offrirà innanzitutto una descrizione delle caratteristiche generali dei processi attentivi in prospettiva neuropsicologica, con particolare riferimento a due fenomeni distinti: l’attenzione sostenuta e l’attenzione selettiva. Si passerà infine a delineare i risvolti metodologici che queste considerazioni possono avere per l’insegnamento delle lingue in contesti formali.

1. Natura e caratteristiche generali dei processi attentivi

Quella che noi nel linguaggio comune chiamiamo “attenzione” è in realtà un insieme di processi neuropsicologici diversificati, tra i quali rientrano i fenomeni di:
a. arousal”, ossia la preparazione fisiologica a ricevere stimolazioni dall’ambiente circostante;
b. “attenzione sostenuta”, cioè la capacità di tenere alto il livello di concentrazione per un arco di tempo considerevole;
c. “attenzione selettiva bottom-up“, che si verifica quando alcuni input ambientali catturano la nostra attenzione indipendentemente dalla nostra volontà;
d. “attenzione selettiva top-down“, ossia la capacità di selezionare determinati input per poterli elaborare più approfonditamente in un secondo momento;
e. “attenzione distribuita”, che consiste nella capacità di prestare attenzione a più input contemporaneamente.

In generale, tutti i processi connessi all’attenzione sono limitati a livello sia quantitativo che qualitativo (Lavadas, Berti 2003:77-78). Infatti a livello quantitativo si registrano limiti evidenti sia nel numero degli elementi a cui possiamo prestare attenzione simultaneamente sia nell’arco di tempo per il quale possiamo protrarre l’attenzione. A livello qualitativo invece si nota un progressivo peggioramento nella qualità delle prestazioni cognitive quando l’attenzione si protrae per un periodo eccessivamente lungo.
I processi attentivi sono inoltre soggetti ad interferenze, che possono essere originate dalle mutevoli circostanze ambientali o da alcune caratteristiche neuropsicologiche umane (Anolli, Legrenzi 2003:85-86). Se si guarda all’esperienza quotidiana, ci si accorge di quanto sia più faticoso in genere eseguire due compiti contemporaneamente. Tali difficoltà possono essere generate da:

a. “interferenza strutturale”: i due compiti richiedono l’attivazione delle stesse aree cerebrali e degli stessi circuiti neurali. Se ad esempio durante le attività di comprensione in classe l’insegnante inserisce brani cantati in sottofondo, magari con la buona intenzione di rendere il clima più piacevole, è probabile che si genereranno interferenze strutturali negli allievi: l’ascolto di un brano cantato interferisce, ad esempio, sulla lettura, in quanto richiede l’attivazione delle aree cerebrali deputate alla comprensione linguistica;
b. “interferenza da risorse”: i due compiti richiedono una quantità troppo elevata di risorse attentive e cognitive. Per questo, ad esempio, è difficile in fase di produzione linguistica concentrarsi sia sull’efficacia socio-pragmatica che sulla correttezza grammaticale. Nonostante la prima sia controllata da alcune aree dell’emisfero destro e la seconda da alcuni circuiti dell’emisfero sinistro, il controllo di entrambe le dimensioni della lingua richiede un notevole sforzo, a volte al di sopra delle risorse attentive mediamente disponibili.

Tra i fattori psico-fisici che influiscono sull’attenzione in ambito educativo vanno ricordati anche:

a. lo stato di riposo della persona, che permette una maggiore disponibilità di energia;
b. la presenza di un clima sereno e di un ambiente in cui le possibilità di distrazione siano limitate e, di conseguenza, la concentrazione sia facilitata.

Ciò spiega la difficoltà che incontrano quotidianamente i docenti che insegnano in orari che ostacolano il proficuo apprendimento degli allievi[1].

2. L’attenzione sostenuta in classe

Nella didassi quotidiana molti insegnanti lamentano una certa difficoltà nel mantenere viva la concentrazione dei propri allievi durante l’intera lezione. In genere si ricercano le ragioni di ciò nella mancanza di disciplina o nel carattere vivace degli allievi, dimenticando però l’esistenza limitazioni intrinseche nell’attenzione sostenuta, ossia nella nostra capacità di tener alti i livelli attentivi in un arco di tempo.
Nonostante questi limiti fisiologici, esiste la possibilità di ridestare e stimolare l’attenzione sostenuta durante l’attività didattica attraverso alcune strategie.

La figura 1 rappresenta graficamente la curva dell’attenzione media dello studente durante una lezione tradizionale, caratterizzata da un’impostazione poco interattiva, che affida allo studente il ruolo di ascoltatore, o comunque lo relega in una posizione per lo più reattiva rispetto agli stimoli direttivi del docente. In questo contesto generalmente i livelli attentivi sono abbastanza alti nei primi dieci minuti di lavoro, mentre tendono a decrescere con rapidità, risalendo lievemente solo nella fase conclusiva della lezione.
Nei contesti di apprendimento formale, l’attenzione sostenuta può tuttavia essere stimolata attraverso:

a. la novitàdell’input, che fa leva sulla curiosità naturale dell’allievo verso un evento piacevole ed inatteso;
b. l’intensitàdell’input, ossia il carico emotivo ed il potenziale di coinvolgimento contenuto in un compito, che può indurre, dall’esterno, una persona ad interessarsi di un dato argomento;
c. il coinvolgimento e l’interazione, in modo che l’allievo si senta più protagonista dell’evento comunicativo e, in generale, dell’apprendimento linguistico;
d. il decentramento dei punti di vista, per impedire l’assuefazione rispetto ad un tema proposto (ad esempio esaminando uno stesso problema sotto varie angolazioni, o esercitando la stessa struttura grammaticale all’interno di contesti situazionali molto differenti tra loro).

Nella figura 2 è rappresentato il riscontro che una lezione efficace può avere in termini di attenzione sostenuta degli allievi. L’impostazione metodologica della lezione è in questo caso diametralmente opposta, essendo fondata sulla varietà dell’input, sul coinvolgimento dell’ascoltatore e sulla presentazione dei contenuti sotto punti di vista diversi.
Va sottolineato tuttavia che tali strategie possono sortire un effetto temporaneo sull’attenzione sostenuta, in quanto la vera energia che mette in moto e sostiene la concentrazione è la motivazione all’apprendimento (Balboni 2002:37-40). La novità dell’input ad esempio può innalzare l’attenzione temporaneamente, ma se poi essa non suscita l’interesse personale dell’allievo, i livelli attentivi saranno destinati a scendere di nuovo. Allo stesso modo anche l’intensità dell’input deve generare a lungo termine un interessamento profondo ed un coinvolgimento attivo dell’allievo nel processo di apprendimento.

3. L’attenzione selettiva

L’attenzione selettiva può essere definita come l’insieme dei processi che regolano l’attività cognitiva e che, attraverso il filtro e l’organizzazione delle informazioni ricevute, permettono ad una persona di elaborare risposte adeguate al contesto. Questo tipo di attenzione riguarda sia la capacità di contrastare la distrazione che l’abilità di concentrarsi su una fonte o su un canale contenenti informazioni “deboli” rispetto ad elementi di distrazione “forti” (Ladavas et al. 2003:78-79).
In ogni istante della nostra vita siamo esposti ad una miriade di input ambientali, di cui riusciamo a percepire ed elaborare solo una minima parte. Essendo dunque per noi impossibile riuscire a prestare attenzione a tutti i dati provenienti dall’ambiente, sviluppiamo sin dai primi mesi di vita strategie per selezionare alcune informazioni, tralasciandone altre. I processi legati all’attenzione selettiva consentono perciò di selezionare una parte dell’input in entrata sottoponendolo ad un’elaborazione accurata (Bear, Connors, Paradiso 2003:679-680).
In genere, scegliamo di prestare maggiore attenzione alle informazioni che giudichiamo rilevanti per il raggiungimento dei nostri obiettivi, ma vi sono anche situazioni in cui l’attenzione è catturata in modo automatico dagli stimoli, indipendentemente dalla nostra volontà.
Per comprendere questa distinzione immaginiamo di essere ad una conferenza e di essere interessati più ad una conversazione tra due persone sedute dietro di noi che alla presentazione del relatore. La nostra “attenzione selettiva volontaria” ci consente di concentrarci sui bisbigli dietro di noi, attenuando la percezione della voce del relatore, seppur amplificata dal microfono.
Immaginiamo ora di udire nel bel mezzo della presentazione un rumore piuttosto forte proveniente dall’esterno. Istintivamente la nostra “attenzione selettiva automatica” ci fa voltare lo sguardo verso la fonte del rumore, mettendo in secondo piano la voce del relatore.
Questi esempi assolutamente intuitivi mettono in luce la doppia natura dell’attenzione selettiva, che infatti è sottoposta a due tipi di controllo:

a. il “controllo bottom-up”, legato a fattori ambientali, come stimoli improvvisi e inattesi;
b. il “controllo top-down”, determinato invece da fattori psicologici come le aspettative, i desideri, i progetti e gli obiettivi del soggetto.

3.1. Il controllo bottom-up

Alcuni input provenienti dall’ambiente hanno la capacità di attrarre la nostra attenzione quasi indipendentemente dalla nostra volontà. Tali input possono interferire nello svolgimento di un compito rallentando la risposta e rendendola meno accurata (Posner 1980; 1990; 1994)[2].
Grazie alle più sofisticate tecniche di neuroimmagine è stato possibile localizzare le aree coinvolte nel controllo bottom-up; si tratta di aree circoscritte all’emisfero destro, le quali attivano una rete di neuroni localizzati nei lobi parietale e frontale (Chelassi, Corbetta 2000; Kandell, Schwartz, Jessel 2003).


3.2. Il controllo top-down

Le nostre prestazioni cognitive migliorano quando riusciamo ad anticipare alcune caratteristiche dell’input che giudichiamo importanti per lo svolgimento di un compito.
Nel processo di apprendimento linguistico, ad esempio, portiamo a termine con maggiore successo un’attività o un esercizio quando ne conosciamo il focus didattico, ossia quando siamo riusciti ad individuare l’obiettivo glottodidattico di quella attività. Di conseguenza, adottiamo strategie specifiche per selezionare gli aspetti dell’input rilevanti per lo svolgimento dell’attività. Sulla base del focus didattico possiamo perciò adottare strategie di comprensione globale o analitica, focalizzare l’attenzione sulla forma o sul messaggio, sulle informazioni nuove o su quelle già note. Queste operazioni cognitive sono possibili grazie allo sviluppo dell’attenzione selettiva volontaria, che viene sintonizzata rispetto ad un determinato compito.
Questa tipologia di attenzione è connessa inoltre alle strategie di anticipazione (Posner 1980; Bear et al. 2003), che ci consentono di processare l’input più velocemente prevedendone alcuni aspetti. Nell’apprendimento linguistico ciò si realizza attraverso l’expectancy grammar, un sistema di strategie cognitive che, sulla base delle conoscenze sul mondo e della competenza comunicativa, consente di prevedere ciò che accadrà in una situazione comunicativa, nonché alcuni aspetti lessicali, morfo-sintattici e semantici dello scambio comunicativo[3] (Balboni 1998:18-19).
A livello neurofisiologico i centri cerebrali del controllo top-down risiedono nel sistema frontale-parietale dorsalee si attivano bilateralmente (Chelassi et al. 2000; Lavadas et al. 2003), a differenza dei centri per il controllo bottom-up, che sono lateralizzati a destra. In entrambi i tipi di controllo assume un ruolo fondamentale il lobo frontale, che gestisce non solo alcuni fenomeni attentivi, ma anche l’autocontrollo, la pianificazione, la risoluzione di compiti complessi e le strategie di problem solving (Fabbro 2004; Aglioti, Fabbro 2006).

4. Indicazioni glottodidattiche

I dati provenienti dalla ricerca neuropsicologica sui processi attentivi ci consentono di proporre alcune considerazioni circa il ruolo dell’attenzione nella classe di lingua e le possibili strategie per sostenerla. Un risultato negativo nelle performance dei nostri studenti, infatti, può essere connesso non tanto ad un problema di mancata acquisizione, quanto piuttosto ad una serie di fattori neuropsicologici legati all’attenzione, come ad esempio:

a. l’interferenza strutturale o da risorse;
b. un calo di attenzione sostenuta;
c. l’incapacità di focalizzare l’attenzione selettiva correttamente rispetto agli obiettivi di una determinata attività didattica.

Vediamo dunque nel dettaglio questi tre aspetti, fornendo indicazioni che possano risultare utili a livello glottodidattico.

4.1. Problemi di interferenza strutturale o da risorse

Quanto illustrato nel primo paragrafo circa le tipologie di interferenza legate ai processi attentivi, ci induce innanzitutto ad evidenziare l’importanza per il docente di riflettere sulle singole tecniche glottodidattiche che utilizza comunemente in classe e sulle relative consegne.
Quando si pianificano attività per lo sviluppo di un’abilità linguistica è essenziale evitare di chiedere allo studente di esercitare altre abilità linguistiche simultaneamente. Se ad esempio proponiamo la visione di una sequenza video per lo sviluppo dell’abilità di ascolto, dovremmo evitare che gli studenti durante l’ascolto completino griglie, o frasi, o attività di vero/falso. Ciò infatti causa un’interferenza strutturaledovuta al fatto che chiediamo contemporaneamente comprensione orale (sequenza video) e scritta (esercizi di completamento). E’ dunque più produttivo che gli studenti:

a. dapprima leggano l’esercizio scritto e ne comprendano la consegna;
b. si concentrino poi sul brano orale;
c. completino infine le attività scritte sulla base di quanto ascoltato.

Solo nel caso n cui si lavori con sequenze audio o video piuttosto lunghe può risultare utile chiedere agli studenti di prendere appunti durante la visione o l’ascolto del brano. In questo caso però è necessario che l’allievo abbia sviluppato l’abilità di prendere appunti, in modo che la scrittura sia limitata alla semplice individuazione di parole-chiave e la maggior parte dell’attenzione sia concentrata sull’ascolto/visione della sequenza.
Va precisato inoltre che la stesura di appunti durante la visione di una sequenza video è un’attività potenzialmente rischiosa in quanto:

a. si crea un’interferenza strutturale: sebbene la scrittura e l’ascolto coinvolgano aree cerebrali diverse, nel caso delle sequenze video entrano in gioco anche le aree deputate alla visione, che sono importanti anche per la scrittura; accade pertanto che mentre si prendono appunti si perdono inevitabilmente i dettagli extralinguistici della sequenza, che invece potrebbero facilitarne la comprensione;
b. si può creare un’interferenza da risorse,in quanto l’attività è molto impegnativa a livello sia cognitivo sia attentivo, perché richiede di focalizzare l’attenzione su due compiti distinti.

Ciò non significa affatto che questa attività vada evitata in toto; riteniamo però che l’insegnante la debba utilizzare coscientemente, conoscendone anche le possibili controindicazioni. E’ necessario infatti:

a. ovviare all’interferenza strutturale limitando la scrittura all’individuazione di parole-chiave, e quindi lavorando sullo sviluppo della capacità di prendere appunti, la quale richiede sempre meno energia cerebrale, cognitiva e attentiva man mano che diventa un processo automatizzato;
b. ovviare all’interferenza da risorse, facendo seguire a questa tecnica glottodidattica altre attività meno esigenti a livello cognitivo e attentivo.

4.2. L’attenzione sostenuta nella classe di lingua

Come abbiamo visto precedentemente l’attenzione in classe costituisce uno dei punti critici per l’apprendimento/insegnamento delle lingue. Alla luce degli studi effettuati sulle strategie per limitare la curva di attenzione, l’insegnante è chiamato a promuovere innanzitutto l’attenzione sostenuta proponendo una metodologia caratterizzata da:

a. “auto-apprendimento”: ogni studente deve poter approfondire ciò che è stato affrontato in classe, secondo i propri interessi e le proprie inclinazioni, ed è compito dell’insegnante fornirgli indicazioni o materiali di approfondimento, stimolandolo al lavoro autonomo, da svolgere anche al di fuori della lezione; l’attenzione sarà così stimolata da una spinta motivazionale ed emozionale in quanto l’apprendimento in questi momenti farà leva sugli interessi personali dell’allievo, e dunque sulla sua motivazione intrinseca;
b. “differenziazione”: la stimolazione dell’attenzione attraverso gli interessi degli allievi può avvenire anche in classe, qualora le condizioni lo consentano, prevedendo momenti di didattica differenziata durante un ciclo di lezioni, in cui gli studenti possono approfondire alcuni aspetti del curricolo a loro scelta, connessi comunque a quanto è stato affrontato in classe;
c. “flessibilità”: l’insegnante deve essere attento alle dinamiche di apprendimento della classe, intervenendo con scelte strategiche tese al continuo coinvolgimento degli studenti, stimolandone l’interesse e la curiosità;
d. “rilevanza” psicologica, linguistica, socio-relazionale e culturaledelle attività e dei materiali proposti in classe.

Un’altra parola-chiave per una glottodidattica rispettosa delle dinamiche attentive connesse all’apprendimento linguistico è la “varietà”, intesa come strategia per ridestare l’attenzione dell’allievo ed evitare stili d’insegnamento che raggiungono solo parte della classe. La progettazione di qualsiasi intervento didattico andrebbe basata sulla varietà a livello di:

a. “modalità di gestione della classe”: l’alternanza di modalità di lavoro individuale, a coppie, a gruppi, oltre a favorire l’interazione tra pari, consente di spezzare la potenziale monotonia del lavoro in classe;
b. “distribuzione dei compiti” all’interno dei gruppi, in modo da valorizzare le predisposizioni individuali e rendere ciascun allievo protagonista nello svolgimento del compito;
c. “materiale didattico”, attraverso il quale proporre input che attivino più canali sensoriali; si dovrebbero alternare con equilibrio testi orali e scritti, prevalentemente linguistici o iconici, e presentare realia ed oggetti autentici da vedere, toccare, usare; la varietà del materiale didattico può aiutare l’insegnante a tener desta l’attenzione degli studenti stimolando i loro stili di apprendimento;
d. “tipologie di attività”, cercando di organizzare una sequenza di attività progressivamente meno impegnative a livello cognitivo e attentivo.

4.3. Educare all’attenzione selettiva

Abbiamo visto che l’attenzione selettiva è governata da due meccanismi distinti: un controllo bottom-up, indotto da fattori ambientali che possono attirare la nostra attenzione in modo automatico, ed un controllo top-down, generato da fattori cognitivi e psicologici (rapporto tra l’input e le aspettative, i bisogni, i progetti dell’allievo).
Stimolare il controllo bottom-up, ossia richiamare l’attenzione attraverso la varietà e la novità dell’input, è certamente utile per rendere più efficace l’insegnamento e può portare ad effetti positivi. Questi effetti tuttavia rimarranno temporanei fino a che l’input non raggiungerà gli interessi profondi e sulla motivazione degli allievi (cfr. 2.3).
L’insegnante deve dunque mirare a stimolare soprattutto il controllo top-down, e quindi la focalizzazione volontaria sull’input da parte dell’allievo.
Molto spesso, tuttavia, accade che gli studenti non abbiano ancora sviluppato adeguatamente le strategie di attenzione selettiva, manifestando difficoltà:

a. nell’individuazione del focus didattico, ossia degli obiettivi glottodidattici di una determinata attività;
b. nella conseguente attivazione di strategie di apprendimento funzionali allo svolgimento del compito;
c. nell’adozione di strategie di anticipazione.

Tali difficoltà, che si possono riscontrare tanto nei bambini quanto negli adulti[4], possono interferire in modo consistente sull’acquisizione linguistica. Spesso infatti accade che durante la fase di comprensione globale alcuni studenti si concentrino su aspetti irrilevanti dell’input ai fini di quella fase dell’Unità Didattica, e non riescano a concentrare l’attenzione sui nuclei informativi essenziali; allo stesso modo, durante attività focalizzate sulla forma può accadere che alcuni studenti concentrino l’attenzione più sul significato[5].
E’ importante, quindi, che il docente educhi l’allievo ad una corretta focalizzazione dell’attenzione:

a. chiarendo fin dal principio l’obiettivo glottodidattico di ciascuna attività;
b. proponendo inizialmente attività più strutturate, in modo da guidare gli studenti all’uso di specifiche strategie di selezione dell’input e allo sviluppo dell’expectancy grammar;
c. aprendo momenti di riflessione meta-glottomatetica sulle strategie messe in atto, sulla loro utilità e sui risultati ottenuti.

5. Conclusione

In questo saggio abbiamo affrontato la relazione tra processi attentivi ed apprendimento formale delle lingue, cercando innanzitutto di mettere in luce le caratteristiche di alcuni tra i numerosi fenomeni neuropsicologici che vanno sotto il nome di “attenzione”. Abbiamo così distinto tra attenzione sostenuta e selettiva, descrivendone, seppur succintamente, le peculiarità.
Abbiamo poi sviluppato il nostro discorso cercando di individuare i risvolti didattici delle conoscenze neuropsicologiche sul tema, da un lato proponendo alcune indicazioni per stimolare l’attenzione sostenuta e dall’altro sottolineando l’importanza di sviluppare nell’allievo strategie di attenzione selettiva, in modo da renderlo sempre più capace di individuare il focus didattico di ciascuna attività, per poter poi attivare strategie di selezione dell’input adeguate al compito.
Quanto emerso nel presente contributo non solo consente di constatare il ruolo essenziale dell’attenzione nel processo di apprendimento linguistico, ma soprattutto evidenzia la necessità che ricercatori ed insegnanti inizino un lavoro congiunto su questo tema, al fine di elaborare modelli di educazione linguistica che non ignorino i complessi processi attentivi che rendono possibile l’apprendimento.

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Michele Daloiso

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