LA FRAMMENTAZIONE MNESTICA DELL’EVENTO TRAUMATICO
Quando un ricordo non può essere ricordato
Quando le persone si sentono enormemente sopraffatte dalle loro emozioni, i ricordi non possono essere trasformati in esperienze narrative neutrali. Il terrore diventa una fobia della memoria che frammenta i ricordi, separandoli dalla coscienza ordinaria o altrimenti organizzandoli in percezioni visive, preoccupazioni somatiche e reazioni comportamentali, per la gran parte disadattive ed estemporanee (Janet, 1889).
Il motivo di questo processo disaggregante è insito nella natura del ricordo traumatico, il quale non assume l’aspetto di un evento e consapevolmente attribuito al Sé, ma a causa della sua emotività fortemente impattante, viene disperso in una serie di frammenti mnestici in grado di spezzare la fluidità dei processi cognitivi e di alternarne la funzionalità.
Questi stessi frammenti contribuiscono a rendere il trauma un oggetto mentale amorfo, mancante di una dimensione storico temporale precisa e per questo riproducibile reiteratamente attraverso una serie di flashback invasivi, attivati in modalità incontrollabili nei momenti più inaspettati e nei contesti più diversi. Quasi come se l’evento dovessi ripetersi in continuazione.
L’effetto di cue può essere svolto da qualsiasi stimolo espositivo che abbia a che fare col vissuto traumatico: un odore, un colore, una percezione somatica, qualsiasi fattore sensoriale sia in grado di connettersi all’evento comporta la riattivazione mnestica del medesimo. E non si tratta di una rievocazione consapevole, come detto, ma di un ripetizione compulsiva e angosciosa, il cui fluire sfugge a qualsiasi controllo cosciente. La natura somatica, viscerale e non simbolizzata delle memorie traumatiche le sottrae alla possibilità narrativa, rendendole esprimibili soltanto attraverso l’agito. Scariche corporali che interrompono ogni collegamento col pensiero simbolico-linguistico, e fanno in modo che, per quanto accessibile alla memoria episodica, l’evento traumatico e il suo contenuto sfuggano totalmente alla memoria semantica. Di conseguenza, per quanto si sia consapevoli dell’accadimento dell’evento, non si riesce ad attribuirne al Sé il vissuto diretto, né di inserirlo nella propria dimensione esistenziale in una modalità sintetica, integrata, consapevole. In questo senso il trauma interrompe la simmetricità della memoria autobiografica, creando una cesura in cui il prima e il dopo si confondono in una commistione spazio temporale priva di contesto e organizzazione.
Ciò che non è integrato nel Sé non può essere ricordato, ma soltanto rivissuto. Ed è proprio questo mancato inserimento nell’esperienza narrativa e semantica del Sé a rendere il ricordo traumatico un frammento congelato e paralizzante, un elemento beta che con la propria presenza, minacciosa e incistante, rende il presente proiettato in un passato destinato a non passare mai.
Il fatto che il passato sopravviva nel presente è piuttosto la regola” (Freud 1929, p.562-564).
CORRELATI CEREBRALI DEL “CONGELAMENTO MNESTICO”
La memoria traumatica manca di capacità rielaborativa e non presuppone il coinvolgimento di alcun aspetto critico: è piuttosto un processo acronico, tendente a reiterarsi all’infinito e inconsapevolmente, sulla scia di immagini visive instanti che si riaffacciano alla mente nei momenti più inattesi proprio perché privi di un immagazzinamento mnesico funzionale.
Questa impossibilità di rievocazione mnesica trova riscontro in alcune conseguenze neurobiologiche direttamente scaturenti dal trauma:
– l’eccessiva scarica di cortisolo provocata dall’attivazione del sistema simpatico, che comporta una inibizione trofica dell’ippocampo compromissoria dell’immagazzinamento mnestico. Processo, quest’ultimo, ulteriormente impedito da un’emissione di sregolata di neuropeptidi (adrenalina, serotonina, noradrenalina) che, ove prodotti in quantità eccessiva hanno una funzione neurotossica sul funzionamento cerebrale e cognitivo;
– l’inibizione della zona cerebrale deputata al ragionamento- la zona frontale- a seguito una di risposta difensiva al pericolo, che lascia attivi soltanto riflessi automatici ed abitudini consolidate, depotenziando tutte le altre funzioni logiche: da qui il congelamento reattivo, la dissociazione (la sensazione di irrealtà, di essere altrove, scollegati dalle emozioni) e l’amnesia (cancellazione di parti o in toto dell’episodio).
– l’iperattivazione del sistema limbico e nello specifico dell’amigdala che, invadendo la corteccia prefrontale con una quantità eccessiva di neurotrasmettitori, compromette la possibilità di reperire nell’ambiente risorse di difesa adeguate. Da questo meccanismo deriverebbero in particolare i sintomi di flashback e di kindling, una sorta di sensibilizzazione neuronale da cui conseguono arousal generalizzato e attivazione sottosoglia, a loro volta fonte di episodi dispercettivi, disregolazioni della condotta, reazioni d’allarme sproporzionate allo stimolo (Post 2001).
Il trauma interrompe ogni funzione connettiva tra strutture cerebrali corticali e sottocorticali, impedendo l’attivazione delle prime a favore dell’iperfunzionamento di queste ultime.
Le Doux (1998) ha evidenziato come l’ansia parossistica generata dal disturbo PTSD- ma anche dal più comune disturbo di panico- rimanga letteralmente “imprigionata” all’interno dei circuiti primitivi dell’amigdala, e da qui non possa venir trasferita al tronco cerebrale attraverso il ruolo modulante della corteccia prefrontale (De Masi, 2004), come accadrebbe in un normale processo di long loop . la memoria traumatica si traduce dunque in un’autentica impronta, una traccia somatica che, complice la neuroplasticità cerebrale, è capace di modificare la stessa struttura del cervello alterandone le funzioni specifiche.
Van der Kolk (2015) parla di memorie impresse nel corpo, ma potremmo definirle anche cicatrici del trauma, segnali concreti del suo passaggio, a seguito del quale la stessa conformazione sinaptica subisce un contraccolpo in grado di ostacolare, talvolta irreversibilmente, le funzionalità cerebrale con cui sono andate a collidere.
Non diversamente da quanto si verifica in presenza di una ferita somatica, e dunque percepibile a livello visivo e sensoriale, il trauma comporta autentiche mutazioni nella sfera cerebrale, di cui modifica la precedente morfologia, la disposizione, la funzionalità: è una sorta di adattamento allostatico, che evidenzia quanto sia da approfondire, in un’ottica avvalorata dagli studi epigenetici, lo studio del concetto di embodied mind.
Una mente incarnata nel corpo che ribadisce, ancora una volta, la presenza di un legame inscindibile tra psiche e soma.
BIBLIOGRAFIA
De Masi, F. (2004), The psychodynamic of panic attacks: a useful integration of psychoanalysis and neuroscience, in International Journal of Psychoanalysis, 85, pp. 311-336;
Freud, S. ( 1929) Opere, Boringhieri, Torino 1989;
Janet, P. (1889), Trauma, coscienza, personalità. Scritti clinici di Pierre Janet. Raffaello Cortina Editore, 2016;
Le Doux, J.E. (1998) Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Baldini e Castoldi, Milano;
Post, R.M., (2001), Do the epilepsies pain sydromes, and affective disorders share common kindling- like mechanisms?, in Epilepsy Research, 50 (1-2), pp. 203-219;
Van der Kolk, B. (2015) Il corpo accusa il colpo. Mente, corpo e cervello nell’elaborazione delle memorie traumatiche, Raffaello Cortina, Milano;