I giovani neo-laureati delle migliori università di Economia non ci stanno: l’attuale sistema economico ha le sue responsabilità.
La crisi finanziaria della bolla speculativa. Le guerre economico-socio-politiche (secondo l’ordine di importanza) che si affacciano sullo scenario mondiale sconvolgendo regimi decennali utilizzati dall’economia forte come bacino di risorse primarie. Per non parlare (infatti se ne sente parlare sempre meno) dell’emergenza ambientale che si sta facendo sentire con i grandi disastri meteorologici e non solo.
Le nuove leve dell’Economia mondiale auspicano politiche economiche volte non solo al profitto, ma che abbiano un occhio di riguardo per il contesto in cui agiscono, l’ambiente, il sociale e il rispetto di quei valori etici troppo spesso travisati in bigottismo o adottati in maniera ipocrita.
Si intravede la diffusione un nuovo pensiero: politiche economiche indirizzate non solo a un miglioramento dello status quo e del profitto, ma anche al miglioramento ambientale, naturale, sociale e del singolo individuo.
E in tutto questo come risponde il marketing, testa e cuore oramai anche delle aziende più piccole che vogliono sopravvivere alla globalizzazione?
Si evolve, diventa marketing 3.0, attenzione alla salute e al benessere del cliente, trasformazione dei prodotti in versione green, attenzione all’ambito sociale e/o artistico tramite fondazione e sovvenzioni. Insomma è il marketing dello spirito e dell’anima.
I primi ad aver notato questo importante spostamento dell’attenzione del cliente su questi temi sono gli attori del marketing alimentare che si sono abbondantemente appropriati di certi valori di sostenibilità: dal biologico ai no-OGM, dal benessere della persona ai prodotti a km 0.
Anche in altri mercati alcune singole aziende iniziano a pensare a sistemi di riciclaggio dei materiali prodotti come stadio ultimo della propria filiera, con sistemi di raccolta per lo smaltimento. Pensare all’ambito sociale dell’ambiente in cui opera: forse così si riuscirebbe a superare il vecchio cliché da “Tempi moderni” in cui il padrone impone e gli operai protestano. Pensare all’abbattimento dell’utilizzo del petrolio nel ciclo di produzione. Pensare alle conseguenze dal punto di vista salutistico della produzione, dell’utilizzo e dello smaltimento dei prodotti, anche a lunga scadenza.
E il marketing delle aziende di moda come si muove?
Insieme a altri settori come l’elettronica e la tecnologia delle telecomunicazioni, il fashion system si identifica sempre di più categorie come l’usa e getta, il profitto a tutti i costi e l’importanza dell’apparire contro l’essere.
Catene distributive che incentivano l’acquisto compulsivo. Aumento del divario fra qualità e prezzo di un prodotto, purché i margini di profitto siano sempre più alti. “Modelli di vita” che una volta indossati non tornano bene a nessuno.
La crisi per il mercato del fashion sembra superata, alcuni marchi sono spariti, altri sono stati inglobati dalle multinazionali, ma in linea generale la ripresa sembra alle porte, in particolare per il settore del lusso. Per ora continuano a esserci margini per proseguire con i vecchi valori di marca, quasi con il pilota automatico, ma come è successo con il sistema finanziario – speculativo, prima o poi ci dovremo rendere conto di stare tutti dentro una grande e meravigliosa bolla che galleggia in una stanza piena di spigoli.
Così le nuove leve dell’economia pensano non a nuovi modelli economici, ma a sistemi locali che abbiano come obiettivo il riequilibrio delle forze in atto.
Sistemi che devono essere impostati dalla politica, ma le responsabilità sulla situazione ambientale, sociale e economica non è soltanto della politica, ma di ognuno di noi così anche delle singole aziende.
Il marketing potrebbe pensare di arricchire i Brand di valori etici, per la salvaguardia, non solo per il profitto, perché il consumatore attento lo premierà.
Nell’ambito del fashion questi valori si possono tradurre in sistemi, e non solo occasioni, di scambio e riutilizzo dei capi usati; nella diffusione del gusto vintage per la riparazione, la trasformazione e il ringiovanimento dell’abito; nella ricerca di materiali eco-sostenibili non solo in fase produttiva, ma anche nel loro percorso di vita, alta sostenibilità dal lavaggio allo smaltimento. Per non parlare di tutto quell’ambito di ricerche da sviluppare per fare dell’abito un sistema di benessere, tipo l’adozione di materiali che ci proteggono dall’elettromagnetismo o dallo stress.
Insomma, i fashion Brand si arricchirebbero di valori etico-sostenibili che sommati potrebbero, forse utopisticamente, cambiare il mondo. Quanto meno ci farebbero sentire moralmente appagati quando non riusciamo a rinunciare a quel paio di scarpe che fondamentalmente non ci serve, ma a cui non riusciamo proprio a rinunciare.