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Disturbi e Psicopatologie

Eventi traumatici e condizionamenti clinici.

I quadri clinici più complessi, sono caratterizzati da ipervigilanza, pensieri ricorrenti correlati al trauma e “flashback” del vissuto traumatico (Jessika Boles, 2017, p. 251). Dalle testimonianze di diversi pazienti è emerso che spesso rivivere l’episodio tramite i flashback ed i sintomi consecutivi è peggiore del trauma stesso. Uno degli effetti causati dall’ipervigilanza post-traumatica è l’alessitimia, che consiste nell’incapacità di esprimere a parole le proprie emozioni e/o sensazioni diventando vittime di reazioni psicosomatiche (Liotti & Farina, 2011, p. 34). Inoltre, è stato osservato che gli stimoli ambientali come odori, colori, rumori che prima non avrebbero suscitato risposte significative, ora possono rievocare l’evento traumatico e innescare nell’individuo delle importanti reazioni di allarme. Quindi i pazienti vivono il riemergere psichico dell’esperienza traumatica con sentimenti di impotenza, disperazione, dolore, panico e paura della morte. Solo analizzandone i ricordi e studiandone la sintomatologia, il terapeuta può arrivare a comprendere la realtà psichica del paziente (Bohleber & Leuzinger-Bohleber, 2016, p. 71–72).

Per il paziente traumatizzato “la sfida non è imparare ad accettare le cose terribili che sono accadute, ma imparare ad ottenere la padronanza sulle proprie sensazioni interne ed emozioni” (Van der Kolk et al., 2015, p. 77). Gli studi sull’esposizione all’evento traumatico hanno permesso di distinguere due categorie differenti: gli eventi traumatici imprevedibili (una catastrofe naturale o il lutto di una persona cara) e gli eventi prevedibili (subire uno stupro o un incidente stradale). Gli eventi traumatici prevedibili comportano maggiori danni alla salute dell’individuo: (Lassemo, Sandanger, Nygard & Sorgaard, 2017, p. 18) il riconoscimento di questi fattori come causa dell’insorgenza traumatica all’interno del DSM-5, ha comportato un aumento del 59% nelle diagnosi (Jones & Cureton, 2014, p. 258).

Il vissuto traumatico sposa l’idea di un continuum di sofferenza interiore che riaffiora anche nel transfert relazionale. La ricomparsa improvvisa di ricordi legati ad un trauma infantile, per esempio, può essere suscitata dall’interazione con persone che il soggetto identifica come responsabili dell’evento traumatico stesso (Bohleber & Leuzinger-Bohleber, 2016, p. 67). Per questo motivo il terapeuta, oltre all’analisi dell’evento traumatico, deve anche approfondire il contesto socio-relazionale e la storia di vita del paziente: il supporto della famiglia, la sua storia evolutiva, le esperienze vissute precedentemente all’evento o l’ingresso all’interno di una comunità terapeutica. In questo modo si potranno individuare più facilmente le necessità e i punti di forza su cui far leva per fronteggiare il problema (Jessika Boles, 2017, p. 251).

“Il trauma psichico non genera idee patogene ma divide la mente in più parti. Ma questo non è tutto. Insieme all’azione distruttiva vi è sempre un’azione costruttiva: con il contributo della personalità della vittima e del suo ambiente umano, le parti si ricompongono in vario modo, dando luogo a una infinità di possibili geografie della mente” (Carlo Bonomi, 2001, p. 24–25).

Il disturbo post-traumatico da stress (PTSD: “Post-Traumatic Stress Disorder”) viene definito come una risposta psichica di sofferenza permanente al vissuto traumatico (American Medical Association, 2014, p. 44). Il range di popolazione che svilupperà un PTSD va dall’1.3% all’8.8% (Liu et al., 2018, p. 271) e raggiunge il 9% di incidenza qualora l’attività lavorativa comporti un maggior rischio di esposizione, come esperienze di violenza interpersonale tra cui torture, azioni di guerra o bombardamenti (Walton et al., 2017, p. 254).

Le previsioni stimate dall’APA (“American Psychiatric Association”: Associazione Americana degli Psichiatri) riguardo la comparsa di un PTSD all’interno della popolazione negli Stati Uniti, evidenziano un aumento del disturbo (fino all’8.7%) ed una maggiore persistenza nel sesso femminile rispetto a quello maschile (Blankenship, 2017, p. 276). Le statistiche rivelano che tra i giovani colpiti da un evento traumatico, il 16% ha sviluppato un PTSD. Se non corretto terapeuticamente nelle prime fasi dell’esordio, questo disturbo può comportare delle disfunzioni persistenti nelle fasi successive della vita (Roos et al., 2017, p. 1219).

Il PTSD è stato introdotto all’interno del DSM per poter categorizzare e approfondire il dolore dei reduci da esperienze traumatiche (Liotti & Farina, 2011, p. 20). La diagnosi di questo disturbo è nata nel 1980 (durante la stesura del DSM-III), tramite uno studio sulla varietà dei sintomi presenti nei reduci tornati dalla guerra nel Vietnam. Costoro risultavano essere affetti dalla psicosi da guerra, chiamata anche “shell shock” o stress da combattimento che comporta un continuo rivivere il trauma, un aumento della reattività, della vigilanza ed una forte sensibilità alla minaccia; inoltre risulta essere l’espressione del trauma da combattimento e post-bellico (Van der Kolk et al., 2015, p. 13–14).

Studi analoghi sono stati condotti inizialmente dallo psichiatra Kardiner, (A. Kardiner, 1977) sui militari tornati dalla Prima guerra mondiale (1915-1918): questi presentavano uno spiccato senso di inutilità e di freddezza. Kardiner ha chiamato questa condizione psico-fisica “nevrosi da guerra”, essendo il corrispettivo di ciò che oggi definiamo Disturbo post-traumatico da stress (Abram Kardiner, 2009, p. 55–58). Si tratta di una sindrome psichiatrica che suscita sentimenti di orrore, di paura e la sensazione di non avere via di scampo. Il PTSD era stato inizialmente collocato in una sottocategoria dei “Disturbi d’ansia” all’interno del DSM, a causa delle manifestazioni psico-fisiche dei superstiti ricoverati all’interno delle cliniche.

Gli individui reduci da un trauma sono persuasi che questi eventi siano improvvisi ed incontrollabili e tale concezione provoca in loro un’irrefrenabile paura che l’evento, e lo stress che ne deriva, possano ripetersi. Questo disturbo è caratterizzato dall’ansia anticipatoria che attiva un sistema di allarme e di eccessiva reattività. Infatti, il PTSD si verifica quando un evento traumatico lascia il suo segno nel sistema nervoso (SN), dando origine a sintomi complessi. Tutti i soggetti sottoposti ad un evento traumatico sviluppano nell’immediato una risposta allo stress. La maggioranza dei sintomi si attenuerà con il tempo mentre solo una piccola minoranza dei pazienti consoliderà i ricordi traumatici originando un disordine (Bryant et al., 2017, p. 136).

Con la pubblicazione del DSM-5, questo quadro diagnostico è stato spostato all’interno di una categoria denominata “Disturbi correlati a eventi traumatici stressanti”. La classificazione del disturbo in un contesto diverso da quello precedente è avvenuta perché, benchè l’ansia e la paura abbiano un ruolo dominante, la maggior parte degli individui traumatizzati mostra sintomi dissociativi, rabbia ed aggressività estreme o anedonia (APA, 2014, p. 337).

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Dott.ssa Cristina Peluso

Psicologa Clinica e della Comunità

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