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Comportamento

Ecomuseo: un’Ipotesi di Gestione

Molti Ecomusei soffrono di una forte frammentarietà gestionale. Le Amministrazioni pubbliche, infatti, si avvalgono di convenzioni con Pro Loco e associazioni per la gestione dei singoli siti.
Spesso sono le Pro Loco scegliere il personale (qualificato e magari laureato) per seguire degnamente le scuole ed i visitatori in genere, nei loro percorsi educativo-conoscitivi..
Al momento attuale, si tratta pertanto nella maggior parte dei casi di un livello minimale e appena sufficiente di gestione di una risorsa come l’Ecomuseo, che invece meriterebbe un’attenzione tutt’altro che marginale, dal momento che far riaffiorare le tradizioni e gli aspetti etnico-antropologici è forse l’unico vero modo di far rivivere un passato che ha ancora tanto da dire sulla realtà presente del territorio.
Tale frammentarietà, è dovuta anche alla rivendicazione, talvolta legittima, o perlomeno comprensibile, di autonomia decisionale delle stesse Pro Loco e associazioni, che molto spesso non si rendono conto di un contesto che va ben al di là del livello delle loro competenze e capacità valutativo che si inserisce in un ambito di più ampio respiro che prevede vere e proprie azioni di marketing territoriale.
Questo dipende dal fatto che da parte degli abitanti dei singoli paesi che accolgono le varie tappe del museo, c’è un notevole interessamento verso questa realtà, perlopiù vissuta come una forma di espressione della propria identità.
L’importanza del contributo che l’ecomuseo può portare a livello turistico, però, è ancora ben lontana dall’essere concepita come fonte di sviluppo locale e, più ad ampio raggio, provinciale.

Alla luce di queste considerazioni, possiamo concludere che l’ottica conservativa del patrimonio culturale è ormai superata per lasciare il posto ad una politica di valorizzazione che vede gli ecomusei come centri di dinamica culturale e di educazione al cittadino, nonché fattori di attrazione turistica e di sviluppo economico–sociale.
L’ecomuseo diventa così un punto di riferimento a livello locale, a cui fanno capo sia attività di ricerca scientifica e didattico/educativa, sia attività di interesse economico, sociale, storico ed ambientale.
Centro di riferimento, appunto, il cui elemento caratterizzante è il forte coinvolgimento delle comunità locali e di tutti quegli enti e associazioni che operano sul territorio.
Questo porta a ricondurre, da un punto di vista giuridico, l’attività degli ecomusei nell’ambito dei servizi di interesse generale, con una spiccata funzione sociale, di interesse della comunità.
E’ opportuno precisare che proprio gli elementi che caratterizzano l’azione ecomuseale, in particolar modo il coinvolgimento della comunità locale e la capacità di essere organo propulsore per nuove iniziative di sviluppo del territorio, lo rendono un servizio di interesse generale “di ultima generazione”.

Dopo queste premesse, è necessario ora chiedersi come si possa rendere davvero efficiente e attuale la realtà degli ecomusei, nelle considerazione, nella salvaguardia e nella valorizzazione della realtà locale.
Per perseguire questo obiettivo risulta fondamentale rispettare alcune condizioni irrinunciabili di carattere sia pragmatico che gestionale.
· Perché un ecomuseo funzioni e solleciti l’interesse di insegnanti e turisti è indispensabile che gli itinerari ed i singoli punti ecomuseali siano davvero veicolo di valori storico-culturali di carattere locale, strumento di comunicazione ed esternazione di un’identità tipica e strettamente radicata nel territorio. Perché questo sia garantito è necessario avvalersi di una competenza scientifica, sia essa incarnata in una persona fisica (docente universitario specializzato in materia, o soggetto qualificato per farsi garante scientifico), o un vero e proprio comitato, come abbiamo visto essere presente in alcuni degli ecomusei sopra analizzati.
· Gli itinerari devono poi essere ben mantenuti, gestiti in modo idoneo a ciò che si vuole presentare, accoglienti, a livello sia di ambiente sia di personale, che deve essere adeguatamente preparato e naturalmente predisposto a relazionarsi con il pubblico.
· Per avere la giusta presa sul mercato, deve essere supportato da un efficace piano di promozione e comunicazione, che parta dall’individuazione del target e che preveda una studiata commercializzazione, anche in termini di pacchetti e formule “Ecomuseo vacanza” da vendere alle agenzie turistiche, a cui si rivolgono i target/obiettivo.

Come si possono realizzare queste condizioni?
Tutti i soggetti pubblici e privati, in qualche modo interessati o coinvolti nell’Ecomuseo, devono collaborare all’unisono verso queste prospettive.
Mi riferisco alla collaborazione delle strutture ricettive, come pure dei pubblici esercizi (bar, ristoranti, ecc…) nella realizzazione di un unicum vincente e competitivo.
Deve esserci, quindi, una forte consapevolezza comune dell’importanza che questa risorsa riveste per uno sviluppo economico e culturale non solo del territorio nel suo insieme, ma anche di ogni singolo soggetto privato che dall’incremento dell’affluenza, eventualmente ottenuto con questa nuova concezione dell’ecomuseo, potrebbe ricavare un ingente aumento degli utili provenienti dalla propria attività.

Andando adesso ad affrontare la questione più strettamente gestionale, sembra rendersi irrinunciabile, perché si realizzi la concreta sinergia auspicata, la presenza dominante dell’Amministrazione Pubblica, magari con rapporti di consulenza e stretta collaborazione con soggetti privati.
Le motivazioni di questa scelta progettuale di una Fondazione di Partecipazione, di seguito riportate, sono molte e consistenti:
· L’Amministrazione Pubblica può farsi realmente garante del suddetto valore entico-antropologico degli itinerari, cosa che, se affidata ai privati, correrebbe il rischio di valutazioni inquinate da interessi personali.
· Gli investimenti che richiede un ecomuseo ( come ogni museo in genere), non sono alla portata di soggetti privati, in quanto non ammortizzabili con i ricavi provenienti dallo stesso.
· I finanziamenti pubblici concessi ai privati, inoltre, sono assai limitati: possono ricoprire un massimo del 15% dell’investimento e non possono superare complessivamente i 100.000 € in tre anni. Mentre i finanziamenti verso enti pubblici possono arrivare a coprire fino al 60% (e talvolta superarlo) dell’investimento, senza alcun massimale.
· Oltre alle questioni finanziarie, è anche necessario considerare lo spessore culturale dell’oggetto in questione e il rapporto con le comunità locali: sembra essere la natura stessa dell’ecomuseo a richiedere una forte presenza pubblica che tuteli gli interessi collettivi e che sappia rispettare quella fondamentale simbiosi tra la cultura locale e gli itinerari ecomuseali, affinché essi ne siano davvero custodia ed espressione vitale.
· Infine, ritengo importante anche un altro fattore: la continuità. Laddove l’ecomuseo è stato gestito dall’Amministrazione Pubblica, portatrice di un’esperienza e di una conseguente ampiezza di vedute difficilmente reperibile altrove, è irrinunciabile che questa cooperazione vada avanti nel tempo e che non si interrompa dopo la fase di start-up.

Tale sistema ha necessità di flessibilità e dinamicità: la gestione in economia, talvolta attuata, deve infatti rispondere a normative contabili e amministrative che non consentono di risolvere in tempi rapidi i problemi imprevisti e che ostacolano l’ottimizzazione delle risorse.
Riporto di seguito alcuni esempi concreti, a dimostrazione della difficoltà creata dalle suddette procedure burocratiche:
· Succede spesso che le risorse disponibili non siano conformi alla tipologia di spesa che deve essere sostenuta (magari per una manutenzione improvvisa, o per l’acquisto di spazi promozionali destinati a utenze particolari) ed è necessario procedere con la richiesta di variazione di bilancio, cosa che comporta di dover rinviare la spesa quantomeno di un mese; al momento in cui si ha la disponibilità della somma, l’intervento potrebbe rivelarsi inutile: l’ente gestore non sarebbe quindi stato capace di rispondere in tempo reale alle esigenze operative impreviste.
· Le procedure di acquisto di beni e servizi sono generalmente più complesse in un ente pubblico, piuttosto che in un soggetto di diritto privato, ancorchè partecipato in prevalenza da enti locali. Ciò anche se la normativa dell’ U.E. e nazionale tende ad estendere le procedure pubbliche alle società, associazioni o fondazioni composte da soggetti pubblici in misura totalitaria o prevalente.
· Un altro problema è quello di introitare gli incassi che pervengono dall’Ecomuseo, i quali sarebbero maggiori se questo fosse gestito in altra forma; infatti in tal caso si potrebbero incentivare le vendite di prodotti locali, la cessione di spazi per mostre e convegni, la realizzazione di eventi in collaborazione con operatori economici del territorio, con modalità senz’altro più affini al mondo del commercio e del turismo, piuttosto che alle competenze dell’ente locale.

A conferma di questo, occorre considerare che ormai da alcuni anni si è diffusa una tendenza di fondo, in atto a livello nazionale ed europeo: il modello dell’esternalizzazione, che si caratterizza per la scelta da parte dell’ente locale di provvedere all’erogazione del servizio, attraverso un soggetto esterno alla propria struttura.
Questo porta alla trasformazione del ruolo degli enti locali, riconducibile all’idea di un progressivo spostamento da funzioni prettamente operative di servizi e attività, verso mansioni di indirizzo e di controllo. Attraverso la formula dell’esternalizzazione, infatti, gli enti pubblici sono in grado di semplificare la loro struttura organizzativa e di adeguare l’erogazione del servizio alle esigenze del mercato.
Il modello dell’intervento diretto che, fino a poco tempo fa, rappresentava il modulo gestionale prevalente nel settore dei servizi culturali finisce con l’assumere un ruolo residuale, il cui declino è riconducibile all’esigenza che il settore acquisisca metodi di gestione manageriali, in un’ottica di economicità e di efficienza. Punto cruciale di questo percorso evolutivo è la spinta verso quella che si può definire una contaminazione tra la cultura gestionale delle organizzazioni (management) e la cultura dell’istituzione pubblica.
Le conseguenze in termini organizzativi vanno nella direzione di una maggiore diffusione delle tecniche manageriali all’interno delle istituzioni culturali.

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Sara Bonacchi

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