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Azienda e Organizzazione

Il Difficile Rapporto delle Donne con la Politica

Viviamo una situazione manifestamente contraddittoria.
Le donne manifestano nella società un’identità adulta: sono cresciute, studiano, lavorano, esprimono competenze alte, sanno capire e comprendere, scegliere e decidere, si appassionano e si impegnano su molteplici terreni: nelle associazioni, nei movimenti, nel mondo della cultura e dell’arte. Eppure non si notano – se non per singole personalità che proprio con la loro presenza sottolineano l’eccezione – sulla scena della politica. Avviene così che si lascino rappresentare con uno sguardo maschile, che sembra abbiano introiettato e fatto proprio: attente a piacere, più che a essere piacenti, soddisfatte e realizzate non per autonomo valore, ma per effetto riflesso degli uomini che le hanno scelte, con il culto di una bellezza stereotipata secondo modelli imposti, fino alla trasformazione in aliene mutanti che sembrano aver dimenticato i pregi dell’autenticità, come televisioni e rotocalchi patinati ci ripropongono quotidianamente.
Ripenso agli slogan femministi degli anni 70, a quell’ “IO SONO MIA” gridato con gioiosa rabbia adolescenziale da tante ragazze desiderose di uscire da una dipendenza secolare e mi chiedo il perché del paradosso dell’attuale coesistenza di affermata maturità che non ha bisogno di rivendicare e di regressione profonda, dove la libertà dei costumi e dell’uso del corpo sono funzionali ad un’immagine di femmina fatta per piacere al maschio.
Scorgo peraltro una drammatica difficoltà della politica nostrana a rappresentare e dare prospettive autentiche ai bisogni di costruzione di nuove identità sociali. Una politica dove sembra scomparso il senso della polis, spazio comune dove si confrontano posizioni e si costruiscono strategie per il futuro. Si assiste quotidianamente ad un imbarbarimento della dialettica, dove i “barbari” sono gli estranei alla “polis”, coloro che non ne conoscono il linguaggio, che si alimenta della dialettica tra le posizioni: confronto sì di parole, ma parole significanti, espressione di un ragionamento capace di favorire il discorso e con questo l’apertura di nuove possibilità di azione. La politica non sa più parlare perché le sue parole –spesso urlate per coprirne la vacuità- non sanno dire i bisogni profondi, non sanno esprimere le preoccupazioni più autentiche dei cittadini, alimentare il discorso ed il confronto, quindi nemmeno dar corpo alle speranze possibili. Soprattutto non sanno far vedere una prospettiva di futuro per la quale mobilitare le energie.
In questo vuoto di relazioni autentiche e profonde, in questa monotonia di temi che si fa sordità a voci “altre” io scorgo uno dei motivi alla base dell’estraneità delle donne alla politica. La ri-generazione della politica potrebbe passare anche per la autonoma capacità delle donne di usare parole “di senso” a partire dalla concretezza della propria condizione, parole che sappiano esprimere la propria identità e le proprie aspirazioni ed insieme dichiarare e quindi prefigurare le proposte di cambiamento possibili. D’altra parte il fatto che ci siano così poche donne nei luoghi che contano è una delle ragioni che non fanno esprimere qualità e competenze femminili di cui tanto i nostri tempi e la politica necessiterebbero.
– L’ascolto, non un generico prestare orecchio, ma farsi toccare dalle richieste dell’altro nelle corde più profonde, alla ricerca di una risposta che risuoni consonante,
– L’accoglienza, non formale accettazione, ma l’aprirsi, il fare spazio perché possa insediarsi quello che arriva da fuori, così che possa contaminarci e dare origine al nuovo,
– La cura, attenzione puntigliosa, rispettosa ed amorosa al crescere e al rafforzarsi dell’altro,
– La creatività infine, la straordinaria capacità generativa che a partire da sé, attraverso l’incontro fecondo con l’altro, produce il nuovo e alimenta il cambiamento e il divenire.
Di queste qualità necessita oggi più che mai la politica, quella capace di ri-trovare e attualizzare nel presente una lingua non imbarbarita, quella attraverso la quale cittadini e cittadine, originari e nuovi arrivati, comunicano tra loro. La polis è oggi aperta, i ritmi sono veloci ed incostanti e i cambiamenti continui, proprio per questo il “discorso politico” necessita di una grande capacità ricettiva, unita alla costante cura delle relazioni.
In questo spazio della politica, mutevole e dinamico, sempre più complesso, dove coabitano l’esigenza forte di fondamenta stabili e di estrema flessibilità, il contributo delle donne potrebbe essere in grado di ri-fondarla e insieme ri-generarla.
Si assiste invece ad un processo inverso. Da qui scaturisce con urgenza la domanda: “Perché la straordinaria potenza delle donne non si fa potere?”
Non ho la risposta.
È però diventata per me una domanda assillante, che ripropongo in varie sedi, alla ricerca di risposte possibili, risposte plurali da parte di donne e uomini che non rinunciano ad interrogarsi, a dialogare, a coltivare la speranza.
Una domanda che apre una riflessione forte sul potere, che sottende ogni ragionamento sulla politica.
Quale potere?
Tante forme di potere.
Quello che ha a che vedere con l’agire, che le donne amano perché rimanda alla concretezza delle risposte da dare, all’espressione della creatività, all’impegno per veder migliorare l’ambiente circostante.
Quello che scaturisce dall’energia che si può sprigionare grazie alla capacità di mettere in relazione e far reagire persone diverse, orientandola verso traguardi condivisi.
Quello che sorge dalla posizione che si ricopre e dalla responsabilità del ruolo.
È, quest’ultima, una forma di potere che è più estraneo a noi donne, dal quale vorremmo rifuggire, temendo la solitudine connessa all’esercizio del potere e il rischio che, assumendolo fino in fondo, possiamo trasformarci e perdere il nostro femminile.
Nella nostra difficile relazione con la politica, non possiamo però eludere questa assunzione piena di responsabilità, anche se dobbiamo cercare forme nuove per esercitarla, trovando la voce per manifestare il nostro disagio e le nostre difficoltà, costruendo forme di relazione che favoriscano la condivisione e rendano più leggero e gioioso il gioco dei poteri.
Centrate sulla nostra più autentica fiducia, responsabili verso noi stesse e verso gli altri, aperte al nuovo e al domani, potremo così essere una straordinaria risorsa per la politica in una società, come quella attuale, caratterizzata dall’incertezza e dalla precarietà, se sapremo contaminarla con la capacità che abbiamo appreso di stare nel flusso della vita, riprogettando continuamente il nostro modo di essere, vivendo il cambiamento come momento di crescita, possibilità di re-inventare l’esistenza e aprire così nuove prospettive di speranza.

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Elettra Lorini